Epilogo di Lantis (seconda parte) - Una mano nel buio
Il tempo sembra sia passato lento, come i fiori di ciliegio che danzano nel vento prima di riposarsi sulla terra. Questa stanza che ho scelto della Torre Ovest non è poi tanto diversa dalla prigione che occupavo fino a poco fa. Non ho voluto fronzoli, giusto l'indispensabile per una vita modesta.
Sarei andato via dal Castello quando Reneè mi ha liberato, ma non l'ho fatto, raccontandomi di aver scelto di restare solo per Shen. No, so bene che non è solo per questo: quella flebile fiamma di verde speranza brucia ancora dentro di me.
Shen è venuto quasi tutti i giorni a trovarmi, mi ha raccontato di cosa studia con il septon, degli amici con cui si diverte a giocare, degli allenamenti con sua madre. Un giorno, si è arrampicato al mio braccio e ha iniziato a dondolarsi: "Vorrei allenarmi con te, papà... mi alleno con mamma ora ma... non sono tanto bravo" e io... l'ho sollevato, stringendo il muscolo: "Magari un giorno, chissà. Hai il sangue mio e di tua madre, col tempo verranno i risultati".
Non so se Reneè me lo permetterebbe, dovrei chiederglielo. Sono ancora frastornato per la sua decisione di avermi liberato, anche perchè non mi sento affatto libero. Libero di allenare mio figlio se lo vuole, libero di parlarle, libero di avvicinarmi a lei. In realtà, la mia prigione ha solo spostato domicilio perchè è il cuore ad essere in gabbia. Ma per lo meno, posso abbracciarlo senza che ci siano sbarre tra noi, possiamo parlare da soli, possiamo passeggiare nei giardini.
Posso giocare con lui alla luce del sole, con il calore dei raggi che ci scalda la pelle, senza carcerieri a fissarci. In prigione non riuscivamo ad avere del tempo per noi, in quella cella così buia e angusta. Ora, per la prima volta, mi sento davvero un padre... suo padre.
Come corre, come gioca, come sorride... Shen è il nostro amore che cammina e respira. L'altro giorno era piuttosto pensieroso. Mi ha chiesto a bruciapelo: "Papà, perchè sei così triste?" e io non sono riuscito a mentirgli. Non ho avuto il coraggio di inventarmi scuse davanti ai suoi occhi trasparenti. Mi sono ammutolito e ho abbassato il capo ma lui ha incalzato quasi subito: "Ti manca Drako, vero?".
L'ho guardato esterrefatto. Su questo, è molto simile a me, osserva con attenzione gli altri, come a volerne carpire i segreti e i turbamenti. Ha fatto lo stesso con me. "Non può mancarti una persona che non è mai esistita" ho replicato incupendomi.
"All'inizio mi mancavano molto i Saggi, ero un po' triste a pensare di non poterli più rivedere. Poi, ci ho pensato meglio e mi sono detto che non c'era motivo di essere triste. Loro sono qui, nel cuore, nei miei ricordi. Sono sempre con me, quindi non devo sentire la loro mancanza. I Saggi erano ombre per gli altri, spiriti, fantasmi, ma per me erano vivi, umani. Sono stati un pezzo del mio mondo e della mia famiglia. Conta solo questo" mi ha risposto sorridendomi.
L'ho guardato sempre più sbalordito: Shen aveva proprio ragione. "Sei un bambino molto saggio, Shen"
Gli ho sorriso e mi sono alzato per accarezzargli la testolina, scompigliandogli i capelli. "Elanor me lo diceva sempre" e un velo di malinconia gli è apparso sugli occhi.
Mi sono così piegato, gli ho messo le mani sulle spalle, osservando bene il suo visino. D'un tratto, però, Shen mi ha guardato e mi ha sorriso: "A volte mi pesa la loro assenza... ma tu... perchè sei triste per Drako? Lui non è mai andato via... mamma non è mai andata via". Il suo viso così sereno, innocente e puro: è stato disarmante per me. L'ho abbracciato stringendolo a me e avrei voluto piangere. Piangere perchè Shen ci ha sempre visto giusto su di me, come se il sangue che ci unisce gli fornisse una mappa per i miei pensieri. Drako, Reneè... non importa quanti nomi abbia avuto, quanti corpi e quanti volti abbia indossato... quella persona è la persona più importante della mia vita. Lei e Shen sono le persone più importanti della mia vita stessa. Tutto ciò che mi sembrava difficile e complicato all'improvviso mi è apparso semplice, naturale. Grazie a Shen. Grazie a mio figlio. A nostro figlio, Reneè.
Passo come un fantasma nel giardino della Torre, non credevo di poter rimettere piede in questo luogo, per lo meno non da uomo libero... magari da condannato a morte.
La statua di Margarete è stata spostata nel giardino delle ortensie, ora c'è un'effige di Reneè accanto al grifone dei Raeghar, un simbolo che mi stranisce a guardarlo.
Su ogni vessillo per cui ho combattuto, era sempre presente... era mio, era quello che credevo di essere. Il Grifone dei Raeghar, figlio di Rickard. Nonostante ciò, tutti mi conoscevano come Lantis del Fulmine Nero, qualcuno come dotato di chiaroveggenza, il Dio del Fulmine. Non combattevo come Rickard, non avevo il suo elemento, non avevo nemmeno i suoi movimenti o la sua arma: i Blackfire, somigliavo più a loro che ai Raeghar.
Drako, invece, era così diverso da me, così cavalleresco nella lotta... fin troppo leale, lo giudicavo. Gli volevo bene, era il mio più grande amico eppure... eppure ogni volta che notavo il modo in cui Rickard lo guardava, sotto la pelle sentivo strisciare la serpe dell'invidia. Drako è stato il mio unico e grande rivale e condannarlo a morte è stato davvero difficile ma anche facile in modo disarmante.
Da una parte, la frustrazione di non essere mai abbastanza per Rickard, di non essere come lui, di non essere quello che tutti mi dicevano che dovevo essere; dall'altra, gli occhi limpidi e fieri di mio padre che si posavano su Drako, il rispetto e l'amicizia che suscitava negli altri. Sono sempre stato un solitario, ho sempre instillato timore negli altri, sia per il carattere schivo ma anche per il mio rango. Quel demone verde che qualche notte annegavo nel vino mi tormentava sempre di più, soprattutto dopo la malattia di Rickard: tutti gli occhi puntati su quanto fossi diverso dal loro re. Persino gli occhi di Esperin urlavano di quanto Drako potesse essere un fratello migliore di me. Quelle parole che lui mi sussurrò prima del Giudizio si erano incarnati in demoni, quella verità cui non volevo credere... di non essere figlio di Rickard... avevo totalmente perso il controllo. Questi due anni di prigione mi ha dato tempo di riflettere molto su queste cose... se solo fossi stato meno orgoglioso, se solo avessi detto a lui questi miei tormenti forse non avrei perso il senno. Adesso a vedere questa statua, mi sembra la cosa più giusta del mondo.
E mi sembra follia che ci sia stato un momento in cui ho pensato che non dovesse finire così. Shen mi raggiunge nella passeggiata, chiamandomi a gran voce per poi trattenersi subito: sta cercando di fare i conti con l'etichetta di corte, ma ha lo spirito impetuoso di sua madre. Ha ragione lui quando mi dice che Drako non è stato un'ombra per me, che Reneè è sempre stata al mio fianco e che devo superare questa separazione che ho su di lei. Tutto ciò che so di Drako la so anche di Reneè. "Senti? In armeria si stanno allenando, papà. Ci sta pure la mamma... vuole che io la raggiunga" mi dice un po' intimorito.
Alzo gli occhi verso la finestra del primo piano da cui proviene il clangore delle armi: ci stanno dando dentro. "Vedrai che andrà bene, hai solo bisogno di esercizio... abbiamo già fatto questo discorso, mi pare" lo incito con dolcezza. I miei primi allenamenti ero nervoso, non volevo fare brutta figura e puntualmente la facevo, intestardendomi ad usare una spada a due mani, troppo grande per me ancora. L'orgoglio... brutta bestia.
"Sai Shen, l'orgoglio è un animale che ti siede sul petto e non ti fa respirare. Potresti imparare tante cose, apprezzare tante cose se l'orgoglio non ti levasse il fiato" mormoro scompigliando i suoi capelli rossi. "Meno male che l'hai capito" mi fa fingendosi offeso, per poi aprirsi in un disarmante sorriso. "Mi accompagni? Dai!" esclama d'un tratto, tirandomi dalla casacca.
"Io non credo che sia una buona idea, tua madre..." cerco di oppormi quando mi interrompe: "Secondo me è contenta se mi accompagni". Mi convinco, non riesco quasi mai a dirgli no... pensare che "no" era quasi la mia parola preferita. Quando arriviamo, Reneè sfoggia le sue kopesh con le lame però coperte da protezioni, insomma le stesse che usava quando era Drako ma adeguate ad un mondo in cui non esistono guaritori.
Mi sento un po' a disagio, sebbene abbia buoni propositi, è difficile accantonare l'immagine di quelle due armi con il volto del mio amico. Mi guarda severa, lo sapevo che dovevo evitare di farmi vedere da lei.
"Mamma, papà può restare a vedermi, vero?" le chiede con dolcezza. Forse eccessiva dolcezza.
All'assenso di lei, mi rivolge un sorriso furbetto: "Visto?". Rassegnato e un po' divertito, mi metto in un angolo, buono e silenzioso a guardare i combattimenti.
Reneè è ancora in forma, non ha problemi a sconfiggere tutti quelli che si azzardano a sfidarla. Più la osservo, la guardo e più tutto mi sembra famigliare. Certo, ora i suoi movimenti sono più aggraziati ma... non riesco a non rivedere Drako in lei.
Rickard diceva sempre che lo specchio dell'anima è il modo in cui si combatte: aveva ragione anche in questo.
Tocca a Shen, che stringe una spada d'allenamento, la presa è salda, ma le mani sono disposte in modo non proprio perfetto, la posizione delle gambe non è corretta e faccio fatica a trattenermi nel dire qualcosa.
Reneè lo sistema, gli indica come deve impugnare, come deve stendere le braccia e come stare in guardia. Shen esegue tutto in modo obbediente ma è un po' goffo e lei non fa molti affondi prima di disarmarlo.
Il bimbo viene mogio dalle mie parti ma non resta triste a lungo, riprende subito a ripassare ciò che la madre gli ha mostrato poco prima.
"Nessuno vuole sfidarmi?" prorompe Reneè guardando i presenti. Li osservo uno ad uno, le facce intimorite, le stesse di quando eravamo ad allenarci da ragazzi e tutti ammiravano le nostre capacità belliche. Vedere quelle kopesh, essere qui in armeria, vedere le uniformi dei soldati... mi manca... sono un guerriero di Dohaeris e nessuno dei miei peccati potranno mai cancellare questo. "Io, se ho il tuo permesso" dico rompendo il silenzio, avanzando di qualche passo.
Si mette allora sulla difensiva, seguendomi con gli occhi mentre prendo uno spadone di allenamento. Così, stringendo l'elsa forte tra le mani, è come se il tempo non fosse mai passato.
Roteo in diagonale la spada, facendole fare un giro completo fin sopra la mia testa, così da prendere forza e velocità e miro alla spalla di Reneè, che pronta nei riflessi, incrocia le kopesh per parare il fendente.
La guardo, siamo vicinissimi, abbozzo involontariamente un sorriso: io e Drako... io e lei iniziavamo sempre così i nostri duelli. La danza comincia, per un tratto le nostre forze sono equivalenti, poi lei prende un po' il sopravvento, approfittando di alcuni miei punti deboli nella difesa che conosce fin troppo bene.
Spingo di più la lama verso di lei, quando sento un tonfo violento all'altezza dello stomaco, una ginocchiata ben piazzata che mi lascia senza fiato. Non si scherza, si fa sul serio, come sempre con lei. Paro un suo pugno e le storco il braccio, lei tenta allora di sferrarmi l'altro gancio in faccia ma con una spallata cadiamo a terra, uno sopra l'altro. I nostri visi non sono mai stati così vicini, posso sentire il profumo del suo respiro, il calore della sua furia, le onde sinuose del suo corpo sotto il mio che si irrigidisce, che preme ancora contro il suo in una morsa per immobilizzarla.
Come una pantera in trappola, Reneè cerca di liberarsi, i suoi occhi emanano il fuoco che la dominava prima che Shen ci togliesse la magia e io non posso che restare ammaliato dalle sue labbra, da quelle labbra rosse che vorrei baciare e fare mie ancora una volta. Un pugno mi ridesta dal torpore, un pugno di quelli che solo Drako sapeva spaccarmi in faccia.
Mi allontano così, mi asciugo un rivolo di sangue dall'angolo della bocca, la guardo e... non Reneè, non sei solo tu quella che ha covato rabbia in questi anni. Un momento e mi sento il guerriero di un tempo, con gli occhi determinati e freddi sul mio obiettivo, ma questa volta l'emozione non può essere nascosta, così come il desiderio che ho di lei, un desiderio che mi consuma da anni. Mi fiondo con tutta la mia velocità per afferrarle con entrambe le braccia la vita, così da premerla con le spalle al muro con veemenza
lei ancora mi colpisce con forza con un montante sotto la mascella e io la ricambio, cercando di tenerla ferma per la gola con la lama di piatto, in modo da non ferirla gravemente.
Un altro calcio allo stomaco - che forse mirava più giù - mi costringe a lasciarla e ad allontanarmi, a prendere fiato, a prepararmi per un altro assalto. Tutto famigliare, tutto come sempre: la sensazione è... piacevole. Il modo in cui mi attacca e si muove: come ho potuto essere confuso? Lei non è solo la donna che amo... è anche il mio migliore amico. E' la madre di mio figlio, la mia famiglia, la luce delle mie tenebre. La persona che mi ha fatto comprendere che non devo per forza necessitare di qualcuno per tenere accesa la mia luce. Reneè è semplicemente il mio mondo. Ho avuto modo di riflettere molto durante la mia prigionia e anche di allenarmi... con uno scatto, cerco di forzare e vincere la sua barriera, della magia non me ne infischia nemmeno più niente: siamo io, lei e le nostre armi. I nostri cuori, i nostri occhi, le nostre braccia. Quando riesco a disarmarla, resto un po' sorpreso: non è stato facile, non è mai stato facile con lei. Ed è questo uno dei motivi per cui non posso che amarla ancora più profondamente, anche se ora mi fissa con rabbia.
"Vorrei parlarti, se hai terminato l'allenamento" le chiedo con il fiatone, passandole accanto. E' il momento di rompere gli indugi, è il momento di rispondere a quelle parole che mi rivolse quando mi liberò dalla cella.
Appena siamo soli, prendo un respiro profondo, cerco di calmare il cuore che mi batte all'impazzata e di apparirle calmo.
"Quando mi sono risvegliato quella mattina... non mi sono mai sentito così solo al mondo. Il vuoto affianco a me in quel letto è stato incolmabile. Mi ha assalito con una forza che non credevo possibile. Ti ho cercata ovunque, Reneè, in ogni posto del mondo che conoscevo. Quando non ti ho trovata, sono andato dai Saggi, per chiedere dell'altra parte che non conoscevo. Il loro verdetto è stato così difficile da capire, così faticoso da ammettere. Impossibile da accettare. Sono tornato a Luna di Diamante che ero un uomo distrutto, vuoto".
"La mia mente non faceva che tornare alle sue domande, ai nodi che non riuscivo a sciogliere. Con Drako, tra uomini, ti sono sembrato arrogante e fiero delle mie conquiste? Invece ero solo patetico e solo".
"Troppo orgoglioso per ammetterlo, ma cos'altro è se non patetico un uomo che non accetta l'abbandono tanto da arrivare a cercare questo rosso nei capelli di altre donne? Mi sono illuso che così era come avere una parte di te, ma era solo follia".
"Man mano che il tempo passava, il sesso non mi arrecava nessun piacere, l'ho persino usato come arma per umiliare gli altri. Perchè è me che umiliavo, è così che mi sentivo e volevo trascinare nel mio baratro più persone possibile. La distruzione è diventata, poi, la mia unica compagna, la distruzione come maschera della mia rabbia, del mio dolore. Trovi ancora fierezza in quello che un ragazzo ti ha raccontato o ti ha mostrato credendoti il suo migliore amico?" domando lei resta in silenzio per qualche attimo che mi sembra un'eternità. "Conosco fin troppo bene cosa è accaduto in passato e credimi, mi sono sforzata di capire, ci ho provato sul serio. Credi che non avrei desiderato urlarti chi io fossi? Credi che per me sia stata la scelta più facile tener fede alle mie promesse, a tua madre che ho odiato così... così disumanamente?"
"Non siamo più le stesse persone di sette anni fa, Lantis. Ti ho amato in maniera così stupida, come fanno i bambini, come le cotte degli adolescenti e come accade quando si matura, ma ora no... io e te, no!" esclama con gli occhi arrossati probabilmente da lacrime che non vuole mostrarmi. "Il mio rancore nei tuoi confronti è ancora forte, ma ti chiedo di perdonarmi, perdonami se ti ho nascosto tuo figlio, è la mia più grande colpa e non posso scaricarla su nessuno" continua quasi affievolendo la voce per la stanchezza di un peso che ha portato sulle sue spalle da troppo tempo. Mi fisso gli stivali, avevo sperato in qualcosa che sapevo bene fosse irrealizzabile. Allora perchè fa così male sentirlo dire? "So di meritare il tuo rancore, il rancore di tutti. Non mi tirerò mai indietro davanti a questo. Maturare... forse io non sono mai davvero maturato... perchè ti amo ancora come amano i bambini... testardamente, in modo assoluto".
"Hai ragione su una cosa, però: siamo cambiati in questi anni e io soprattutto durante questo ultimo. Se prima ti ho amato senza conoscerti, ora ti amo ancora più profondamente sapendo chi eri, sapendo che sei stata sempre al mio fianco. Sai... i primi giorni di prigionia non facevo che ripensare a tutte quelle volte in cui avrei potuto capire... l'irritazione che ti provocava Lumen, le hai anche dato della grassona quando ti mostrai il suo ritratto" ricordo sorridendo "la tua disapprovazione quando ero con altre, il tuo negarti ad ogni ragazza che ti si offriva. E poi mi sono arrabbiato, perchè nonostante io fossi quel Lantis di cui ti eri innamorata, non ti eri fidata di me. Mi avevi condannato a non vivere la gravidanza insieme a te, non assistere ai primi anni di nostro figlio. Mi avevi privato di qualcosa che niente mi avrebbe restituito. Col tempo, ho iniziato a pensare che avessi fatto bene, che sarei stato un pessimo padre, che forse l'avevi fatto per questo. Non sono mai stato come Rickard... un tipo... paterno. Eppure, Reneè... ogni volta che Shen mi guarda sento che posso essere un buon padre. Lui... mi ci fa sentire così. Ho capito anche il pericolo che correva Dohaeris, i sacrifici che hai dovuto fare... la rabbia è svanita come vapore nell'aria. Voglio solo guardare al futuro, voglio solo essere il padre che Shen merita di avere... e non posso negarti che, follemente, in quel futuro ci sei anche tu" le rispondo prendendo la sua mano nella mia.

Per un attimo, solo per un infinitesimo istante... ma poi Reneè si ritrae, mi sfugge ancora.

"Sei un padre meraviglioso, posso dirlo senza remore, nostro figlio è pazzo di te e sai prendertene cura, vi ho osservato a lungo. Sono e resterò nella tua vita, ma come madre di Shen, come una persona con la quale hai condiviso qualcosa di importante. Il mese prossimo prenderò marito, sono una Regina sola, il Regno lo richiede"
risponde tutto d'un fiato. Cuore? Non lo sento più battere nel petto. Sangue? Se qualcuno mi pugnalasse ora, non ne uscirebbe una goccia. La bocca dischiusa, gli occhi spalancati su di lei.
Giro di poco il capo, fissando per qualche secondo il vuoto. Si sposa. La vedrò assieme ad un altro uomo. Cerco di inanellare lettere e parole ma la bocca è impastata, l'aria non si trasforma in voce nella gola. D'un tratto, però, mi sento avvampare, come se tutto il mio corpo fosse tornato con violenza a funzionare e il respiro è affannoso, tanto da non poter respirare senza l'ausilio della bocca. Addrizzo la schiena e la testa annuisce meccanicamente: "S-sì è... normale... sei la regina... devi prendere marito... normale... s-sì" ma sento la voce rompersi e con la mano mi gratto il petto per il nervoso, come a volermi strappare questo cuore che non mi dà tregua. "Meriti di essere felice. Spero che tu sarai felice... con chiunque sceglierai"
dico lasciandola lì, voltandole le spalle quasi fuggendo verso la torre solitaria in cui posso, finalmente, sfogare il mio pianto.
Foto di Eclisse84