Vento che incendia, terra che soffoca
Anno DVIII D.D.
III mese del sole
IV Giorno della Luna
L’alba, un momento di quiete, silenzio e pace. All’esterno, solo il frusciare del vento tra le fronde degli alberi intorno alla torre della mezza Luna. Tutto il luogo era avvolto da un silenzio innaturale, un silenzio che, di lì a poco, sarebbe stato scacciato dal clangore delle armi e dalle urla dei soldati in allenamento. Il sole compariva lentamente da dietro i monti accorciando sempre di più le ombre degli alberi e illuminando pigramente i dintorni di quelle tonalità rosate, Efrem era già in piedi da diverso tempo, ennesima notte insonne disturbata sempre dallo stesso incubo, ormai ne aveva perso il conto. Sempre le stesse immagini, le fiamme, sua madre che lo chiamava a se e lui, piccolo e gracile non aveva alcun potere contro tutto, contro quella distruzione che aveva portato via sua madre e sua sorella poco dopo. Scosse la testa ricacciando quei pensieri e, dopo essersi procurato un catino con dell’acqua fredda, si immerse totalmente e riemerse poco dopo quando ormai il fiato cominciava a mancargli, sentì gli occhi già gonfi per il poco sonno sgonfiarsi poco a poco fino a che ogni traccia dell’insonnia non fu svanita totalmente. Abbandonò il freddo pungente della vasca e si rivestì. Rimanere in camera ed aspettare il risveglio degli altri cominciava ad annoiarlo, sarebbe andato in armeria allenandosi un po’ da solo fino a che qualcuno dei soldati non si fosse svegliato. Per i corridoi non si udiva altro che il suono leggero dei suoi stivali sul pavimento in marmo e il frusciare della sua casacca azzurra, presto però quell’apparente silenzio sarebbe stato interrotto dal via vai di soldati e servi che si affrettavano a raggiungere i vari punti della torre. Chi nella sala degli allenamenti chi a tavola per consumare forse l’ultimo pasto della sua vita visto che, di lì a poco si sarebbe svolta l’ennesima guerra in difesa dell’onore e del regno di Dohaeris. Un gemito sommesso arrivò alle sue orecchie. Gli parve uno scherzo del sonno, magari il vento che soffiava all’interno della torre o attraverso qualche crepa nei muri, non gli diede troppo peso. Un altro gemito, stavolta più forte simile ad un urlo soffocato seguito da un altro dal diverso timbro «qualcuno si sta divertendo con qualche servetta!» le labbra del giovane si piegarono in un ghigno mentre riprese a camminare,
i rumori si fecero sempre più distinti man mano che Efrem avanzava per il corridoio per raggiungere l’armeria. Non era mai stato uno spione o uno a cui piacevano i pettegolezzi ma la vista di uno spiraglio di luce da una delle porte lo incuriosì, si avvicinò cautamente alla porta ma non appena vi posò la mano sopra, questa si aprì rivelando i corpi nudi dei due amanti riversi sul pavimento, lui era di spalle mentre sovrastava con rapidi movimenti del bacino la donna sotto di lui, i tatuaggi rendevano quel corpo inconfondibile e riconoscibile agli occhi del giovane: Ryuk.
Guardò la figura sotto di lui cercando di riconoscervi una delle tante conquiste del soldato, la pelle candida, delicata e al pari di una bambola di porcellana gli appariva troppo familiare, il seno di lei, procace e abbondante era stretto in una morsa dalla mano dell’uomo. I capelli, biondi come sottili fili d’oro erano sparsi in boccoli disordinati sul tappeto ma quando vide il viso della donna, qualcosa si ruppe nell’animo del giovane Efrem. Sentì il suo cuore perdere un battito, le mani tremarono e gli occhi iniziarono a bruciare colmi di lacrime di dolore che fremevano dal fuoriuscire «Lumen…» disse quasi in un rantolo mentre chiamava il nome della donna amata.
Quel suono, così poco sommesso e nascosto fece voltare immediatamente i due amanti, la donna si alzò di scatto coprendosi il volto e i seni con le mani «Efrem! Aspetta posso spiegare…»,
Ryuk si voltò osservando compiaciuto l’espressione stravolta sul volto dell’altro «ciao pivello, non mi dire che non hai mai visto un paio di tette in vita tua, stavo scopando sul pavimento per non fare troppo baccano col letto... ma a quanto pare ci hai sentiti lo stesso, Lumen non sa proprio contenersi», solo un misero asciugamano a coprirne la parte inferiore del corpo.
La donna tentò di aprire bocca, forse in difesa, forse per tentare di scusarsi con il ragazzo che, ormai non aveva più occhi per lei, il suo sguardo furente era puntato nelle iridi dorate dell’altro.