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  1. #31
    GdR Master L'avatar di Eclisse84
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Il Grifone ed il Corvo
    Anno CDLXXXIV D.D.
    III mese della neve
    II Giorno di Venere

    Quello era un giorno triste per Dohaeris, non solo per la famiglia reale, ma per il regno tutto. Rickard era tornato vittorioso dalla battaglia contro gli Estranei, aveva tenuto fede alla propria parola: lui ed Yasotta erano tornati entrambi vivi, riportando la sconfitta dei nemici. Ma con sé non portò alcun trofeo, non c’era gioia ad illuminare i volti per aver scongiurato un pericolo di quella portata per il regno, le bandiere sventolavano basse, non c’era un coro ad acclamare i vincitori, non c’erano soldati ad esultare, c’era solo il silenzio ed un corteo di uomini e donne col capo chino e la morte nel cuore, la morte del Principe Joseph.
    La famiglia Raeghar, da generazioni, celebrava i funerali dei propri defunti di notte, così che il bagliore della Luna, loro progenitrice, li indirizzasse verso L’Elisio, ma quella sera era buia, persino la Luna sembrava voler vestire di nero, coprendosi con le nuvole dense e pregne di lacrime. Vi erano solo poche fiaccole a rischiarare l’ambiente ed il barlume di qualche lucciola che danzava al di sopra di quella tomba di freddo marmo.



    Il Re osservava impassibile quello che sarebbe stato l’ultimo giaciglio del suo amato figlio, lo sguardo di pietra e la mandibola serrata ad indurire l’espressione, aveva seppellito parte di se stesso in quella tomba, ma le lacrime erano troppo per un uomo come lui, un uomo straziato che sentiva il proprio cuore creparsi ad ogni battito, ma che non riusciva a lasciarsi andare alla tristezza, tutte quelle lacrime non versate lo stavano facendo affogare dall’interno.



    La regina era bianca come un lenzuolo, il corpo tremolante e la voce spezzata dai singhiozzi bassi, il figlio Rickard la teneva stretta per la paura che potesse accasciarsi su stessa da un momento all’altro. Il ragazzo aveva gli occhi arrossati, quasi prosciugati, sentiva che la propria anima scivolava via dal suo corpo con tutte quelle lacrime, aveva la netta sensazione di svuotarsi mentre l’eco del cuore si affievoliva nel proprio petto.



    Ysotta era lontana da loro, accanto a lei c‘era Jorah , le mise una mano sulla spalla cercando di smuoverla, visto che sembra essere diventata di pietra, mentre i suoi occhi rimbalzavano dalla tomba al suo amore che pareva sempre più lontano da lei, ma non avendo risultati, la lasciò stare.



    la ragazza avrebbe voluto avvicinarsi a lui e stringerlo, avrebbe voluto alleviare quel dolore che sapeva essere atroce ed incontrollabile, avrebbe voluto fare qualsiasi cosa, ma non era quello il suo posto, non poteva trovarsi accanto a lui e piangere assieme a quella famiglia la quale, per un momento, aveva sentito già sua, ma ora c’era la consapevolezza che non lo sarebbero mai stati.





    Nel folto gruppo di persone quella notte, vi erano anche loro: I Leithien. Ramsay e Melisandre si erano procurati i posti in prima fila, osservavano quella scena come se fosse la cosa più normale al mondo, forse la più noiosa a giudicare dallo sguardo di lei, gli stessi occhi che aveva trasmesso al figlio Tywin ed al nipote Ryuk. Rosalinde aveva lo sguardo triste e basso, la mano sinistra poggiata sulla spalla del figlio, avrebbe voluto evitargli certe scene, ma il consorte non era della stessa opinione, la morte di un Raeghar andava vissuta con lo sguardo fiero di chi li osserva dall’alto, una persona in meno a gravare sulle finanze Leithien.





    Dall’altra parte Gordon, secondogenito di Ramsay, stringeva tra le braccia la propria promessa sposa, Ginevra, una donna buona d’animo tanto quando Rosalinde, ma ingenua per certi versi. A vederli sembravano una coppia innamorata come tante, l’amore c’era, ma un amore malato: l’accondiscendenza di lei combaciava perfettamente con gli scatti di ira di lui, Ginevra si stringeva al proprio amato, convinta che un giorno sarebbe riuscita a calmare quell’indole violenta che tanto la spaventava, ma temeva ancor più di perderlo ed al solo pensiero che al posto di Joseph ci sarebbe potuto essere il suo Gordon, le tremavano le gambe.



    Quando la cerimonia ebbe termine, lentamente la folla diminuì, ma i fedelissimi ai Raeghar rimasero a sostegno della famiglia reale, non avrebbero mosso un passo, se ne sarebbero andati solo quando anche il Re e la Regina avrebbero lasciato quel luogo.





  2. #32
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story



    Era quasi l’alba quando Rickard lasciò la propria madre tra le braccia del consorte, era stanco e sopraffatto dalle emozioni, sentiva la necessità di isolarsi e pensare al fratello da solo, senza gli occhi dei sudditi, senza che ci fosse quella fredda lapide avanti a lui, aveva il desiderio di abbandonarsi ai ricordi di una vita col fratello maggiore, che tanto gli aveva insegnato e dal quale aveva deciso, ormai da tempo, di prendere esempio. Rickard si chiuse nella propria stanza, si avvicinò alla finestra in cerca della Luna, aveva bisogno di osservarla nella sua pienezza, quella luce riflessa che gli donava forza, ma era ancora oscurata dalle nuvole, così il ragazzo si accasciò in quello stesso angolo con le spalle al muro e lo sguardo perso nel vuoto, tanto assorto nei propri pensieri che non si accorse dello scricchiolio della porta ed una figura femminile a varcarne la soglia.



    Ysotta rimase ad osservarlo qualche secondo, quando il ragazzo si rese conto della sua presenza non si voltò neanche, sapeva che avrebbero dovuto affrontare una discussione e non sapeva se ce l’avrebbe fatta, visto lo stato del proprio animo. Lei si avvicinò a passo lento, conservando lo sguardo basso e quando gli fu vicina gli accarezzò i morbidi ricci, restando in silenzio, un silenzio fatto di respiri, respiri che parlavano e preannunciavano già le parole che si sarebbero scambiati da lì a poco, ne erano entrambi consapevoli.



    Il ragazzo sollevò il capo, aveva gli occhi lucidi ed arrossati, il viso di chi aveva visto il volto della morte mentre abbracciava il proprio fratello e lo portava via, un volto che a tratti identificava con il proprio: si sentiva in colpa, avrebbe potuto salvarlo ne era certo, ma con tutti i se che gli rimbalzavano per la testa non avrebbe potuto riportarlo in vita e sentiva un peso farsi sempre più opprimente al petto. Si sollevò di scatto ed abbracciò la propria amata, singhiozzava a tratti, nonostante cercasse di trattenersi, ma si sentiva al sicuro in quella stretta, in quella vicinanza fisica che tante volte gli aveva fatto presagire un futuro meraviglioso.



    “Scusami” le sussurrò senza muoversi, senza lasciare quell’abbraccio “Nessuno ti ha consolato oggi, lascia che sia io a farlo”. Restarono fermi in quella posizione per un tempo incalcolato, i battiti si sincronizzarono, così come i respiri, una calma apparente ed altre mille parole silenziose in quel contatto prolungato. Rickard decise di spostarsi a fatica, era il momento di parlare, sperava che le parole sarebbero venute fuori nonostante il nodo alla gola.




    Lei lo guardò negl’occhi e cercò di sorridergli per rassicurarlo, per poi sussurrargli “Non era destino Ric, rimarrà un bel sogno…” Non riuscì più a trattenersi, le lacrime iniziarono a scivolare calde e copiose, mentre il cuore riprese la sua corsa, staccandosi dall’equilibrio che aveva instaurato con quello di lui. “Vorrei poterti dire che non è così…” rispose, mentre la ragazza si voltò di spalle, ormai consapevole di aver perso il controllo sulle proprie emozioni, non voleva farsi vedere il quel modo, non voleva arrecargli ulteriori sofferenze. “Sarai tu il prossimo Re ed io non potrei essere più felice per il popolo di Dohaeris, succederai degnamente a tuo padre e…”




    “E mi sposerò ed avrò dei figli con una donna che non sei tu!” Rickard pronunciò queste parole come se fossero parte di una sentenza di morte “Sì… ti sposerai ed avrai dei figli con una donna che non sarò io” Lasciò le sue braccia ricadere lungo i fianchi, rimase in silenzio come se quella sentenza di morte fosse la sua, una morte interiore che, in realtà, era certa essere già giunta in cuor suo. Il ragazzo accorciò le distanze e le cinse la vita, l’abbracciò alle spalle e restò qualche istante in silenzio prima di continuare a parlare con tono basso “… ma non l’amerò” “Lei amerà te, è impossibile non farlo Ric, tu sei…” “Io non sono niente, sono solo il Principe di Dohaeris e futuro Re, sono un uomo con dei doveri, sono solo… un ammasso di titoli e doveri… nient’altro!”




    “Sarai felice, me lo auguro, ma non resterò qui a guardare, io devo andarmene, avrò una mia vita lontano da te ed è l’unico modo perché tu riesca a vivere la tua di vita. Lascio il mio ruolo di comandante, me ne andrò stasera stessa. Addio Ric”



    La ragazza sciolse quell’abbraccio, sciolse quelle catene che li teneva legati, era consapevole che il suo Rickard, non era mai stato solo e soltanto suo, era un uomo legato ai propri doveri e quei doveri lo avrebbero portato ad onorare la promessa di matrimonio tra i Blackfire ed i Raeghar, la promessa che avrebbe dovuto legare suo fratello Joseph a Margarete. Il ragazzo l’afferrò in tempo per la mano e la tirò a sé, non era pronto per lasciarla in quel modo, desiderava sentire quelle labbra un’ultima volta e quel profumo che non avrebbe mai lasciato sul letto nuziale.



    Ed in quel momento annegarono nel mare di ricordi che li legava e bruciando nel fuoco che li aveva uniti. Non si guardarono in viso ancora una volta, non lo avrebbero più fatto, ognuno avrebbe seguito la propria strada.




    “Addio… amore mio”







  3. #33
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Anno CDLXXXIV D.D.
    II mese delle rose
    I giorno della luna

    Trascorsero alcuni mesi dal quel triste giorno, la statua in onore di Joseph venne eretta nel viale Ecate come coda alla lunga schiera dei suoi avi Raeghar ormai deceduti. Rickard si era dedicato anima e corpo al benessere del popolo, era un Principe amato e rispettato, orgoglio del Re e della Regina suoi genitori, aveva accettato di buon grado, come si sa, di convolare a nozze con Margarete Blackfire primogenita dell’omonima casata, al posto del fratello Joseph. Anche Margarete, in realtà, non era entusiasta di quell’unione forzata, in cuor suo si era già fortemente invaghita del suo promesso sposo ormai defunto, tra i due era scattato il classico colpo di fulmine, al primo incontro formale delle rispettive famiglie avevano occhi solo l’uno per l’altra. La cerimonia non fu eccessivamente fastosa, i Raeghar non amavano mettersi troppo in mostra, l’esagerazione non è mai stata caratteristica di famiglia, il tutto si svolse in maniera sobria e con le porte aperte al popolo, i quali acclamarono a gran voce la futura Regina di Dohaeris. Quella notte Margarete se ne stava accanto la finestra con lo sguardo a mirare lontano, in realtà era immersa nei propri pensieri, senza che gli azzurri occhi si posassero in alcun dove di preciso, la vestaglia di seta azzurra le fasciava il corpo giovane e statuario, mentre la chioma corvina era finalmente libera dall’acconciatura nella quale aveva costretto i capelli tutto il giorno.


    Rickard sedeva sul letto, la guardava in silenzio, avrebbe voluto dire qualcosa, ma nella realtà dei fatti aveva la testa totalmente vuota, quella donna era bellissima eppure non riusciva a provar nulla per lei se non una velata attrazione fisica, quella era la loro prima notte di nozze, ma in quella stanza c’erano due sconosciuti, che avrebbero desiderato trascorrere quella notte con un’altra persona, che non fosse l’attuale consorte.



    “Avete intenzione di restare in silenzio ancora a lungo?” La donna restò immobile nel pronunciare quelle parole, per l’intero arco della giornata avevano dispensato sorrisi a chiunque, ma non tra di loro, non si erano praticamente rivolti né uno sguardo, né una singola parola. “Cosa volete che vi dica? Stanotte dormirò sulla sedia, domani mi farò portare un divano con la scusa di rendere più confortevole la stanza, il letto è vostro” Fu allora che la giovane si voltò verso il consorte e rimase a guardarlo in silenzio a sua volta, prima di parlare di avvicinò a lui “Sappiamo entrambi che abbiamo dei doveri, tra questi quello di avere dei figli”



    Rickard si limitò a sospirare ed a voltare lo sguardo verso il basso “Nessuno di noi desidera questo matrimonio, ma non possiamo restare due estranei per sempre” lasciò cadere ai suoi piedi la veste, scoprendo la pelle ambrata al bagliore della candele“Prima concepiamo un erede e prima adempiremo al nostro dovere più ingombrante”



    Mosse ancora un passo verso l’uomo e con la mano destra ancorata al viso di lui, cercò di spingere il suo busto verso il materasso, in modo da potersi fare spazio ed adagiarsi su di lui “Non fate così, ve ne prego…”


    Riusciva a guardarla a stento in viso, l’espressione di lei era fredda, gli occhi azzurri sembravano vibrare nelle tenebre, così come il fulmine che la dominava squarciava la notte più buia, Rickard aveva una morsa al petto, chiunque al suo posto avrebbe approfittato di una donna tanto bella e ben disposta verso di lui, ma si sentiva impietrito come se quello che stavano facendo fosse sbagliato.


    “Amate un'altra donna forse?” “Cosa ve lo fa credere? Sono solo un uomo impacciato alla sua prima notte di nozze” Allora lei gli spostò una ciocca di capelli dal viso, era il primo gesto gentile che gli aveva riservato da quando i loro visi si erano incrociati per la prima volta “I vostri occhi, sono come i miei…” entrambi si guardarono per la prima volta, si guardarono realmente per la prima volta, ognuno riflesso negli occhi dell’altro, ognuno con le lacrime a rigare il volto, ognuno col proprio amore perso per sempre, quei battiti del cuore saltati iniziavano a trovare sincronia ed a compensarsi, forse… iniziò a balenare l’idea che quel matrimonio sarebbe stato sopportabile.


    Rickard prese fiato per un lungo attimo e poi lo perse nuovamente, quando in un impeto incontrollato spinse il volto di lei conto il suo, affondando per la prima volta le proprie labbra in quelle carnose di lei.


    I pensieri si annullarono ed i sensi presero il sopravvento, le carni vibrarono mentre entrambi si lasciarono andare a ciò che di più naturale sarebbe dovuto accadere quella notte, ma ciò che nessuno dei due aveva previsto è che quel desiderio sembrava cresce senza controllo, le pulsioni di entrambi erano ormai senza freni, compensandosi e sfamandosi a vicenda.


    L’intesa inaspettata fu solo il primo punto fermo di quel matrimonio, i giorni passarono, le attenzioni di entrambi si fecero più intense, cercando quegl’attimi di intimità sempre più spesso, forse erano solo meri momenti di soddisfazione fisica reciproca, forse era solo un modo come un altro per distrarsi a vicenda ed evitare di perdersi nei ricordi, ma le mani che s’intrecciavano sempre più spesso la notte, il desiderio di sentire il respiro l’uno dell’altra furono solo il preludio, di quello che sarebbe stato un amore senza eguali.


  4. #34
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    The night is dark and full of terrors

    Anno DXIII D.D
    I mese delle foglie
    II giorno di marte/ II giorno di mercurio


    La notte è buia e piena di terrori… recita il motto di un’antica casata, ma chi lo inventò doveva trovarsi nei pressi dell’Adamantem, dove il cielo è più buio della notte nella sua ora più oscura e le stelle fuggono così come la luna si nasconde, vestendosi di nubi dense ed oscure. La neve che scendeva placida, lenta, non un fil di vento, solo il bianco candido del manto e delle montagne a fare da cornice al grande edificio dalle pareti nere. I gargoyle che immobili, ma dagli sguardi quasi vivi, ad osservarli bene, sembravano al pari di guardiani vigili e pronti a scattare nel caso qualche sventurato si aggirasse da quelle parti.



    I passi pesanti di un uomo calpestavano il marmo viola e tanto scuro da sembrar nero, di un corridoio che si estendeva per diversi metri, prima di giungere ad una porta che tanto gli pareva la soglia della bocca dell’inferno e tutti i demoni ad urlargli nelle orecchie, erano nella realtà i quadri degli avi che lo puntavano con le iridi di tempera. Con la mano incerta bussò al pesante portale in legno ed una voce tuonò dall’altra parte, invitandolo ad entrare. Era seduto sulla poltrona, intento a leggere un libro, con la tazza di verbena fumante e solo fioche luci ad illuminare l’ambiente, gli occhi famelici sembrano riflettere i fiochi barlumi che lo circondavano, come quelli di una bestia che si nutre nella notte.




    “Mio Signore” Il Mago Callien chinò il capo in segno di rispetto “Ho delle nuove da riportarvi ed una confessione, che spero gradirete”
    Il Lord l’osservò come fosse un verme strisciante in cerca di attenzioni, era sicuro che interloquire col mago sarebbe stata una grossa perdita di tempo come sempre
    “Ho agito senza avvisarvi mio Signore, in questo modo ho preservato la Vostra incolumità, come persona non a conoscenza dei fatti non avreste corso alcun rischio, Vi sono fedele e le mie azioni sono sempre state mirate al Vostro compiacimento”




    Tywin alzò un sopracciglio, non capì dove l’uomo volesse andare a parare e qualche fosse l’argomento in corso “Prosegui” si limitò a rispondere atono.
    "Ho avvelenato io il Re, ho fatto in modo che agisse per lungo tempo in modo che, se eventualmente, fosse venuto a galla, sarebbe stato troppo tardi per salvarlo ed ammetto che ho avuto la convinzione che non avrebbero mai scoperto cosa sia e come agisce. L’ho fatto per Voi Mio Signore, l’ho fatto perché so che lo desideravate in cuor Vostro, ma ora ho il timore che scoprano la mia identità ed in questo modo non potrei più servirVi, perdonatemi”
    Il Lord rimase qualche secondo in silenzio a fissare il Consigliere, che restò in piedi come una statua di cera avanti a lui. Callien era stato al servizio dei Leithien per lungo tempo come alchimista e Maestro del conio, priva di rivestire lo stesso ruolo alla Luna di Diamante per i Raeghar, ma quella era stata più una scelta di convenienza per amministrare un patrimonio già conosciuto da qualcuno di affidabile, piuttosto che lasciare ogni cosa nelle mani di un qualunque.




    “Non te l’ho mai chiesto, Callien.” Tywin rispose telegrafico con lo sguardo di chi cercava di trattenere l’ira “Cosa hai fatto e perché temi che lo scoprano?”
    “Diversi anni fa, venni a conoscenza di alcune proprietà racchiuse nelle radici del grande albero dell’Abgruntis, il sangue dei bambini offerti a Raiden, filtrando attraverso la terra, ha bagnato ed irrorato il sottosuolo con l’essenza della morte, il male ancestrale e pregno di oscurità, in netta opposizione con la luce di noi maghi. Sono riuscito a trovare un modo per estrarre l’essenza di questa oscurità, con estrema difficoltà ed a filtrarlo in modo da ottenere un veleno al massimo delle proprie potenzialità. Se un mago lo avesse ingerito, il veleno avrebbe risucchiato l’aura opposta, se ne sarebbe nutrito espandendosi sempre più, fino a consumare letteralmente il corpo dall’interno. Non vi è cura, Mio Signore, almeno non c’è per ora, solo dei rischiosi riti di magia nera arcana, ormai persi nei millenni, potrebbero servire come rimedio per l’anima del Re, ma il corpo… quello è irrimediabilmente compromesso. La Septa… le hanno permesso di effettuare delle analisi a Re Rickard, non avrei immaginato che gliel’avrebbero mai permesso e… ed è riuscita ad estrarlo, sicuramente ha capito di cosa si tratta e come agisce”



    Tywin rimase impassibile ad ascoltare ogni singola parola, ogni spiegazione e non mosse un muscolo, neanche involontariamente, neanche quando Callien menzionò la Septa ed i risultati delle analisi. “Non c’è nulla che porti a me, solo un piccolo errore, una negligenza, ma che verrà addossata a Taras, ho già pensato a tutto”
    “Taras… quell’uomo è sempre stato fortemente ambiguo, non sono mai riuscito a comprarlo, anche se ha proposto mia nipote in sposa a Lantis, la sua è stata una mossa politica dettata per il bene del regno, quell’uomo non mi serve a nulla”




    “Mio Signore, sono certo che farete in modo da salvaguardare gl’interessi di un vostro servitore che ha cercato di onorarvi in ogni modo, quando il Re perirà non vi saranno più ostacoli per questa immensa casata”
    “Capisco… puoi andare, necessito di ponderare bene sulle notizie acquisite, farò sicuramente qualcosa nel caso il tutto venga scoperto… stanno certo!” Il mago, ancora tremante, chinò il capo e restò fermo per qualche istante, temeva che si scoprisse della sua implicazione nell’avvelenamento del Re, ma ancor più l’ira del Lord dell’Uragano.



  5. #35
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    Non appena l’uomo varcò l’uscita una figura si mosse nell’oscurità



    “E’ stato a dir poco esilarante osservarti mentre ascoltavi quel mentecatto” L’ombra si mostrò al bagliore della fiaccola, mostrandosi in viso: La consigliera Niniel vestiva di nero con la lunga chioma nascosta da una cappuccio del medesimo colore.
    “Sai che non apprezzo le tue visite al Castello”
    “Non Temere Tywin” disse la donna con tono confidenziale, lasciando che il mantello scivolasse via dal capo “Non mi ha visto nessuno e comunque ho i miei metodi per preservarmi, dovresti saperlo”
    “Lo so bene ed è per questo che non credo sia tutto frutto di una iniziativa di Callien”
    La donna mosse un passo, posizionandosi di fianco alla poltrona, incrociando le braccia



    “Non sarebbe neanche capace di infilarsi gli stivali da solo, ma con un piccolo aiuto… anche i più codardi sono capaci di compiere mirevoli azioni, certo è possibile che qualche dettaglio sfugga, ma è solo il piccolo prezzo per aver contribuito alla riuscita di un piano perfetto”
    Il Lord ponderò per qualche istante, ricollegò tutti i pezzi e sorrise alla donna “Tuo Padre sarebbe fiero di te”
    “Oh certamente, ma mi sono spinta dove lui non avrebbe osato. Da secoli i membri della mia casata sono fedelissimi ai Raeghar, il titolo di consigliere è quasi un diritto acquisito, peccato che nessuno abbia mai capito il doppio gioco, che siamo semplicemente degl’infiltrati che gestiscono l’interesse dei Leithien dall’interno. Fino ad ora, non c’era mai stato bisogno di un intervento radicale, ma quando ho capito che Lumen non avrebbe mai dato un erede al trono, beh… ho pensato di dare una spinta agl’eventi.” Strofinò con la mano lungo il cuscino in tessuto, abbassando di un tono il suono della voce



    “Ammaliare Callien è stato un gioco da principianti, basta sapere quando intervenire con lo charme a discapito dello scudo mentale: Il mio volere, quello di annientare Rickard, è diventato il suo, mentre la sua conoscenza è divenuta mia, è bastato asservirlo al casato Leithien, un tappeto da calpestare e fargli dimenticare il mio intervento, per assicurarmi di ottenere un risultato certo e di restare semplicemente ad osservare, senza che nessuno potesse puntare il dito su di me.”



    “Sono sempre stato affascinato dalla tua mente, sin da quando ero solo un ragazzo. Vorrei brindare alla dipartita di Rickard se resti a farmi compagnia”



    La donna sorrise “Ho altro da fare prima che giunga l’alba. Ora che si sa da dove trae origine il male del sovrano, ho dovuto accertarmi che ci sarebbe stata una svolta alle indagini. Ho inviato delle missive al capo dei Reietti, Kalisi è famoso per essere un mollaccione appeso alla sottana del Re, l’ho reso partecipe delle analisi, con l’aggiunta di qualche piccolo indizio che portasse ogni sospetto su Callien, casualmente questa missiva capiterà in mano di tua nipote, la quale non esiterà un attimo a trascinarmi in Giudizio. Lei, come ogni Leithien sa del sodalizio con la mia casata, penserà che io abbia voluto tradirti”




    “Stai rischiando grosso Niniel, avresti potuto rendermi partecipe, avremmo trovato un altro modo…”
    “Grazie a quelle lettere crederanno che io tenga alla vita del Re, che sia preoccupata e che agisca in suo nome, nulla di più sbagliato e lontano dalla realtà ed in più… stasera ho un’udienza privata con le guardie di Taras, hanno un grosso punto debole quei due, ho una certa età, che non ha intaccato l’avvenenza, creerò un po’ di caos, solo per il gusto di confondere le idee. Sarà la fine di Callien e di Taras, probabilmente crederanno che il secondo abbia manipolato il primo, sicuramente verrò punita anche io in qualche modo, magari imprigionata, ma tra qualche anno riavrò la libertà, mentre loro periranno miserevolmente”




    La donna non aggiunse altro, sorrise compiaciuta del proprio operato e col passo leggero, uscì dalla stanza, sotto gli occhi ammirati del Lord.

  6. #36
    L'avatar di mary24781
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Quelle antiche parole...


    Il passo greve come la terra, come i pensieri che affollano la mente del Principe Lantis, scandiscono il ritmo del suo cuore, del suo cammino fino a giungere all'uscita del castello. Non c'è più molto tempo, lui lo sa, lo sente che la sabbia nella clessidra è scivolata giù, che non restano molti granelli ancora. Deve farlo, deve restare lì ad attendere l'arrivo di colui che tanto gli era caro, di colui che ora è il nemico più acerrimo.


    Mercur ha fatto il suo dovere, ne è certo quando il piede di Drako Kalisi varca il magico portale, calpestando l'erba del giardino su cui tante volte avevano riso come fratelli. Nessuno è nei paraggi, nessuno può vederli, sono totalmente soli. Lantis se ne è accertato.


    E' da quel giorno, da quando Drako era in piedi come imputato e Lantis seduto sul trono del giudice che non hanno più incrociato i loro sguardi. Tante cose sono successe, troppi avvenimenti li hanno divisi eppure, sotto la luna pallida di questa notte, i loro cuori sono ammantati della stessa angoscia, della stessa tenebra. Kalisi avanza, sente il fuoco vibrare sotto la pelle, sente che la sua guerra interiore è solo agli inizi. Vuol bene a quegli occhi gelidi che lo osservano con ira, ma sa quanto si sono allontanati dal giusto, dal sentiero che Rickard aveva segnato. Non può cedere ai sentimenti, non può cedere alle sue debolezze: il fuoco illumina la notte più oscura e indica il cammino. Drako è disposto a morire per questo.


    L'ultimo dei Dragoni si avvicina, supera il fianco di Lantis e in breve lo lascia alle sue spalle possenti. Lantis sussurra: "E' nella sua stanza, va e fa presto. Non sopporto la tua vista".


    Kalisi accenna un assenso, ma quante parole vorrebbe rivolgergli, quanti appelli disperati vorrebbe ancora urlargli contro. Quanto vorrebbe che tutto si risolvesse con un abbraccio. Ma sa che Lantis non cambierà idea, non devierà la sua marcia. Il principe sente l'uomo allontanarsi, l'eco dei passi farsi sempre più lieve, più sfumata. Resta con gli occhi al Glados, senza voltarsi, come se dietro le sue spalle ci fosse Gomorra in fiamme. Come se voltandosi, potesse diventare di sale. Resta lì immobile, come silente guardiano del dramma che sta per consumarsi in quelle mura. Il re sta morendo, la fiamma della candela alla sua finestra è sempre più fioca, vacilla come fosse in preda ai venti, come se anche lei partecipasse alla lotta contro il male che sta divorando il sovrano.


    Il cielo inizia ad adombrarsi di pesanti nuvole, come se gli dei stessero partecipando a quell'evento segreto, seppur importante, che mai bardo, probabilmente, potrà mai cantare. Lantis le osserva come vorticano lente nel cielo, sente pizzicare il fulmine sulle dita, ascolta i tuoni lontani che si stanno avvicinando.


    Quel giorno, invece, era mattina, splendeva il sole, il Reggente riesce ancora a sentire... quel lontano clangore...

    ...

    Le urla degli spettatori nell'Arena di Dohaeris erano prepotenti, altisonanti.


    Il prode Cavaliere, Sir Drako Kalisi avrebbe affrontato il Principe Lantis in quella finale di torneo e tutti, conoscendo il grande valore di entrambi, erano febbricitanti per l'attesa. Uno scontro epico, che avrebbe regalato al pubblico ludibrio mosse spettacolari, fendenti di potenza e blocchi di eleganza.


    Drako da una parte, con le sue kopesh infuocate a fargli da guardiane, come due artigli pericolosi che s'avventano sulla preda;


    Lantis dall'altra, che brandisce la sua spada figlia del fulmine e della notte, divoratrice di anime e sangue.


    Nessuno avrebbe visto in quel giorno i soliti due ragazzi che s'affrontavano in allenamento: no, v'erano, ormai, due uomini che avrebbero incrociato le loro lame per l'onore, per la gloria. Al cenno del re, fiero dei due cavalieri, la melodia della guerra iniziò:


    Lantis attaccò al fianco, Drako parò e si divincolò. La danza era fluida e vivace e il valore di entrambi era sullo stesso gradino.


    I corpi incalzavano, le braccia tese e le gambe scattanti, le menti concentrate, l'occhio attento per carpire una zona scoperta dell'altro, un punto debole.


    Lady Esperin, dall'alta balconata dei seggi reali, sentì sussurrare a fianco a lei sua madre, ancora bella seppur il viso emaciato, una preghiera agli dei che il suo Lantis non si facesse del male.


    Lady Lumen, che invece era seduta affianco al re, come visione di ciò che sarebbe stato nei mesi seguenti, aveva la mente altrove, gli occhi fissi su Targaryus e totalmente disinteressata all'esito della lotta.






    Nello spalto accanto a quello della famiglia reale, la famiglia Leithien, con Lord Tywin in disappunto che non ci fosse suo figlio Ryuk tra i due contendenti: il ragazzo era stato pigro e sciatto e aveva preferito al duello, le attenzioni di tre ancelle di sua cugina.




    Ci fu d'un tratto silenzio e pochi videro l'occasione d'oro che si presentò a Drako: un secondo o meno, un fiato o batter di ciglia in cui Lantis, per errore, scoprì un punto della difesa. La kopesh del cavaliere di fuoco stava per dettare la sua condanna ma esitò, spostò l'attenzione del suo attacco su una zona più coperta. Lantis se ne accorse e un moto di rabbia e di delusione gli fece prendere la via della potenza e dal buon cuore di Drako nacque la sua vittoria.




    Un grande boato fece vibrare le mura degli spalti dell'Arena e il cuore di Lady Esperin si fermò di terrore: la lama di tenebra di Lantis puntata dritto alla gola di Drako, le sue kopesh volate via, gli occhi severi del principe su di lui.
    "Hai esitato... perchè?" chiese l'erede con un tono pesante come un macigno.
    "Sei un fratello per me e so quanto tieni a questa vittoria davanti a tuo padre" gli sorrise Kalisi.
    "Sei un debole, non hai avuto la forza di colpire... prega gli dei che mai diventeremo nemici, perchè io, come oggi, non avrò pietà" continuò Lantis, sempre più cupo e determinato.
    "Perchè gli dei dovrebbero desiderare una cosa tanto orrenda?" domandò il domatore del fuoco.
    "Non avere mai la presunzione di conoscere il volere degli dei e sii sempre pronto... se mai saremo nemici, sappi che la mia lama non avrà timore di lordarsi del tuo sangue. Perchè sono un guerriero e l'onore è tutto... risparmiandoti, toglierei onore a me, ma anche a te... non potrei mai toglierti l'onore, Drako, piuttosto la vita... non farei mai ciò che hai fatto tu quest'oggi" rispose il fulmine nero, apprestandosi a sollevare le braccia in segno di vittoria.


    "I soldati devono temere il loro principe, prima che il loro Primo Cavaliere, se gli dei avranno in serbo per noi tale atroce destino... allora non mi tratterrò" ribatté il cavaliere, con la dignità di un soldato di Dohaeris sul viso.


    ...

    Il ricordo di quelle antiche parole, di quelle promesse da guerrieri, questa notte non hanno molto valore. Rickard sta dicendo addio al mondo, dinanzi alla morte ogni parola può solo essere questo: vana. Eppure, quell'avvertimento risuona ancora, accende il cervello, fa sanguinare il cuore. Ritorna sui suoi passi, per un attimo si affaccia nella sala da pranzo ma i fantasmi del passato, di gioia, che aleggiano ancora davanti agli occhi di Lantis sono troppo dolorosi.


    L'immagine che quasi appare fioca, evanescente, di Esperin piccina e gioviale in braccio al loro amato padre; di quella volta che la loro madre aveva preparato da sè dei biscotti che ora sarebbero così deliziosi e preziosi; di quando Drako imberbe l'aveva chiamato con una spada di legno per tirar i primi affondi della scherma e lui ne era stato così felice. Si guarda intorno, l'erede di Dohaeris, e tutto è buio, enorme, silenzioso. Vuoto. Vorrebbe a tratti distruggere ogni cosa, ogni maledetta presenza di quei giorni perduti inesorabilmente, ma non può, sa bene che è solo la disperazione del momento. Ha un ruolo da mantenere, da sopportare, da prendersi con gli artigli. Sale la grande scalinata tappezzata di velluto, raggiunge a breve la soglia della camera da letto di suoi padre. Drako è ancora lì dentro, dovrà ancora attendere. Pochi rintocchi ancora di quella notte così oscura e la porta cigola, l'uomo si manifesta, il viso sconvolto, abbattuto eppure ancora fiero, ancora la luce della speranza negli occhi. "Puoi sparire dal mio cospetto, ora che hai finito di lagnarti" dice il principe rabbioso.


    Drako solleva gli occhi, ancora colmi di dolore, ma un fuoco si accende e divampa. "Che ti piaccia o no, quell'uomo ci vuole bene entrambi. E' un modello per entrambi. Ci ha insegnato a perseguire dei valori che tu stai cercando in tutti i modi di ignorare. Sta morendo e tu sei qui a fare l'offeso. Sono fiero di queste lacrime, anche se Rickard merita di più di questo: merita una Dohaeris giusta e pacifica... e io lo farò, con o senza di te" esclama il domatore del fuoco, cercando di trattenere la voce.


    Si placa, però, d'un tratto, gli occhi del Principe sono offuscati da un pianto soffocato. Poi li vede riaccendersi di rabbia e ritornare asciutti: "Ha voluto parlare con te e questo mi è pesato molto. Se fossi il mostro che pensi, non saresti qui, ora. Vattene, la nostra tregua sta per terminare". Kalisi lo guarda inizialmente stupefatto, poi rimembra le parole di Mercur, le parole scritte da Lantis. "Per amore di re Rickard, questa notte non saremo nemici, ma due fratelli che piangono un padre. Fallo per lui, ha chiesto di te in punto di morte". Stringe i pugni Drako dalla kopesh di fuoco, l'orgoglio del guerriero lo trattiene eppure sente che tutto questo è una follia. Questa soppressione, questo soffocamento, questo imbarazzo. Drako Kalisi non ama stare in catene, così le strappa, le spezza, le distrugge. Le riduce in cenere. Conosce quell'uomo che ha davanti, ha conosciuto il ragazzo e il bambino, sa cosa è giusto fare, cosa è bene fare. Per questa notte, lascia ai demoni le maledizioni e le incomprensioni, gli odi e le vendette: lo abbraccia di slancio, petto contro petto, cuore contro cuore, respiro sul collo dell'altro.




    Lantis è spiazzato, sorpreso, furioso, triste... disperato che gli occhi riprendono a pizzicare. Si lascia abbracciare, di primo acchito, ma poi le lacrime sgorgano, quei dannati ricordi che riaffiorano. Anche le sue braccia cingono il nemico, cingono quell'uomo che, nonostante tutto, non potrà mai odiare fino in fondo.


  7. #37
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Valar Morghulis

    E la campana rintocca le ore della notte più buia, la cantilena del gufo accompagna i morti nei boschi tenebrosi, avvolti dalla nebbia più fitta, con alberi di scheletro a incorniciare il passo delle anime evanescenti. Questa notte è tutta per i demoni, un orecchio attento potrebbe percepire, lontani, i balli e le danze attorno alla carogna di qualche viandante, il loro baccanale attorno al fiero pasto che stanno consumando con inumana ingordigia. Gli spiriti maligni sembrano brindare, in questa notte, al calice di sangue del sacrificio che sta per compiersi, a quella vita strappata con così tanta fatica, che ha un valore così grande, sconfinato. La Luna di Diamante ha mura perlate e si adagia come un vecchio stanco sulle rive del fossato su cui poggia le sue antiche membra, pare che nulla lo perturbi, che nulla possa disturbarlo, che l'apparenza è un velo destinato, però, a squarciarsi presto. Nelle sue viscere, infatti, qualcosa di orribile si sta consumando. Le tende sono chiuse, a celare quei pensieri che ormai ronzano per la testa, che la dominano, che sono fuoco di una prospettiva che guarda lontano. Lantis cammina nervosamente per la stanza dove giace inerme suo padre, il re di Dohaeris, Rickard Raeghar. Un'idea che si espande silenziosa ma inesorabile ad incupire il viso del Principe, una visione di qualcosa che non è ancora accaduto. Ma il cuore sanguina, i ricordi lo ammoniscono. Ma la mano è ferma, gli occhi sono asciutti, la mascella serrata. Si avvicina al suo amato padre, al suo stimato padre, al suo odiato padre, gli si siede affianco, a quel corpo inerme ormai smagrito, così fragile, così delicato.


    "Ricordo quando tornasti da un lungo viaggio, ero piccino, forse tre o quattro anni. Ricordo... riesco a vedere solo qualche immagine sbiadita... ma è nitido il sentimento di gioia che provai nel rivederti. Quasi stentai a riconoscerti. Mi sorridesti, però, e mi venisti incontro... là ti riconobbi e ti corsi tra le braccia e tu... tu eri così forte, mi sollevasti come fossi un fuscello fin sopra il tuo capo... la tua chioma nera sapeva di mare, di avventura, di battaglie e di coraggio... lì, stretto tra le tue forti braccia e sopra la tua testa, mi sentii... felice. Sì, è il primo ricordo che ho della felicità. Ero così leggero, senza pensieri, senza doveri... ero così libero, sciolto da ogni catena, così piccolo eppure così... forte" dice sommesso il Principe Lantis, con le iridi bagnate che iniziano a tradire il suo sangue freddo.


    "Mi sono dibattuto tra mille tempeste pur di essere anche solo la parvenza di ciò che sei sempre stato per tutti... sai padre, per me è stato molto frustrante non riuscire ad essere come te e alla fine... ho preferito costruire la mia strada con le mie forze... e so che la percorro da solo. So che non ci sei al mio fianco, su quel sentiero... eppure, padre, qualcuno deve percorrerlo. Mi sono fatto carico dei problemi che hai lasciato in sospeso, delle aspettative utopiche di un popolo ingrato, degli artigli sudici e avidi dei Leithien sul trono... tutti ricorderanno la tua luce, nessuno comprenderà le tenebre, le mie tenebre, che consentono a questo regno di andare avanti. Le stesse che tu mi hai lasciato come una scia nell'ombra della tua grandezza. Cercavi sempre di sconfiggere il necessario, cercavi di rendere felici tutti... oh padre, questo è un mondo che ci vede nascere piangendo... tu che hai perso tuo fratello, che ti è morto tra le braccia... come hai potuto credere che ci fosse felicità in questo mondo?" si alza di scatto, Lantis Raeghar, sa che la sua domanda rabbiosa non avrà mai risposta. Le lacrime scendono violente, inarrestabili, come sale sulle ferite bruciano, bruciano gli zigomi reali dell'erede al trono. Nemmeno da bambino quel pianto è stato così dirotto, così disperato. Volge lo sguardo sulla sofferenza di quel vecchio che tanto ama, che tanto gli ha insegnato. La mano ora non è più ferma ma trema, trema per l'atto scellerato che sta per compiere.


    "Non posso più sopportare il tuo dolore, non posso più sopportare questo vacillare sul fil di lama... un'altra delle cose che ho il dovere di compiere, padre, ché la mia sciagura è quella di essere colui che deve fare ciò che deve essere fatto ma che nessuno oserebbe mai fare. Sono l'ineccepibile, sono l'inesorabile... questa mano..." mormora dolcemente, accarezzando il viso del genitore, così freddo, così scarno. "Perdonami, padre, semmai potrai perdonarmi... ma gli occhi sanguinano della tua sofferenza e io... sono incapace di reggerla ancora sulle mie spalle... perchè l'amore che ho per te... è troppo grande. Devo farlo, è il mio dovere, il Regno ha bisogno di un Re e io... ho bisogno di una tomba su cui piangere mio padre" sussurra con la voce flebile, rotta dall'emozione.


    Poi il silenzio... il lungo e ineluttabile silenzio di una notte cupa ed oscura.



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  8. #38
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Addio, Rickard

    E l'Auspex pare così silenzioso ora, che i clangori della lotta da poco terminata sembrano già lontani. E' una notte senza stelle, il cielo ingombro di nuvole minacciose come se conoscessero il destino che pende sulla testa di Dohaeris, come se ne comprendesse la tragedia e il dolore. L'altare dei bagliori tace, la luna si nasconde, tutto pare deserto e abbandonato, come se in questo mondo non possa più risplendere alcuna luce. Il corpo di Rickard giace inerme sull'ara di pietra, vestito del suo abito da cerimonia, con la spada stretta tra le mani, quell'arma che tanto gli era cara, quella lama che tante volte lo aveva protetto.





    La pira è maestosa, magnificente, quasi a voler imitare la grandezza dell'uomo che dovrà consumare. Il sudario candido e delicato che tra poco lo avvolgerà ricade dolcemente dai lati dell'altare e sembra avere una consistenza evanescente, eterea in questa penombra della notte e il vento leggero che lo smuove lo lascia danzare all'aria, sospeso nel vuoto, così come l'anima di Lantis, come l'anima di Esperin. Tutti gli abitanti della Torre sono presenti al rito che si svolgerà tra poco, indistintamente dalle razze cui appartengono, così come molti Lords che lo hanno servito e stimato.









    Perchè Re Rickard era il Re di tutti e tutti ne sentiranno la mancanza. Ci sono anche Lord Horas Waters, che sperava di vedere l'amico in un giorno felice, al matrimonio dei loro figli e Lord Jubert De Lagun, fiero pur nella sua profonda tristezza. Esperin pare così fragile e piccola ora, così dignitosa nel suo vestito di lutto e il suo viso intristito, lei che qualche ora prima su questo campo ha combattuto da leonessa, lei che su questo campo ha messo il vessillo dei Raeghar, che sventola potente, veemente, inoppugnabile. L'alta figura di Lantis è poco più di un ombra ma il suo sguardo è sempre fiero, seppur contrito. Non piangerà Lantis Raeghar perchè un Re non piange. Questo lui crede. Eppure, quel suo cuore che tanto vuole mostrare duro, sanguina, sanguina a quel che ha fatto, a quel che ha macchiato le sue mani, a quel che vorrebbe ora urlare. Ma niente può il potere davanti la morte e Rickard è steso lì davanti ai suoi occhi, quel corpo che era animato dalla gioia, dalla bontà è ora vuoto, in involucro vuoto che rappresenta tante cose, moti dell'anima che si scontrano e sbattono per uscire ma che sono imprigionati con la forza lì sotto, che Lantis seppellirà sempre più sotto. Pare che dorma, che riposi, che si desterà dal suo sonno e che rivedranno il suo sorriso, che sua sorella gli correrà incontro, che lo abbraccerà e che torneranno insieme a casa. Ma il giovane Re abbassa lo sguardo e quel cencio di stoffa gli ricorda che non sarà così. Che lui non può farci nulla. Che tutti sono impotenti dinanzi alla morte. Che tutti finiranno così, un giorno, anche lui. Valar Morghulis. Tutti gli uomini devono morire. Questo il nome della zona dei Saggi perchè è questa la grande saggezza che vola su di noi. Questa l'unica fine di tutti gli affanni, gli amori, le sofferenze. Qualcosa si smuove però nell'aria, un arrivo, forse più di uno. Grande era Rickard e incredibili sono gli eventi che si manifestano in suo onore. Persino il Gran Maestro degli Stregoni, Lord Tywin Leithien, può calpestare il suolo sacro dell'Auspex, che si impregna della sua aura malefica e terrificante.





    Ma il suo clima di paura non dura a lungo: Drako Kalisi fa il suo ingresso a piccoli passi silenziosi, come a non voler svegliare l'anziano che dorme. E' il Gran Maestro dei Maghi, tutta la sua razza può riconoscerlo ora, la sua aura è divenuta sensibile, è legata all'Auspex a dispetto del Grifone che sventola.





    Ha sentito che succedeva qualcosa o forse Rickard ha voluto salutarlo ancora, perchè tanto gli era stato caro in vita. La sua luce si espande, tutto pare rasserenarsi. Ma Lantis lo guardo di sbieco, muove solo il capo di lato e serra la mascella, gli occhi pieni di ira. Anche qui, anche oggi Kalisi ha voluto rimarcare quanto il Re ci tenesse a lui. Più che a suo figlio. Non sa cosa sia successo durante quella visita notturna, sa solo che le ultime parole di suo padre erano per Drako. Nel silenzio più totale e religioso, perchè non è onorevole nelle tradizioni di Dohaeris turbare la pace del defunto, il giovane Re prende per mano sua sorella, che ancora gli riserva del rancore, ma che ora ha la mente completamente presa dal cuore infranto che le batte nel petto.



    Si avvicinano all'altare, al corpo di quell'uomo che un tempo era stato forte, che era la roccia, la loro speranza ed Esperin piange con calde lacrime che cadono dolci su quel viso tanto amato, lo accarezza, gli sussurra il suo amore come se egli potesse sentirla. Ne è certa, Rickard suo padre può ancora udirla. Potrà udire quelle parole per sempre, perchè per sempre riecheggeranno nella valle dell'Auspex.





    Lo scrosciare della cascata le sembra che diventi più lento, che il tempo stesso rallenti per dilatare quel momento fatale, quell'addio ineluttabile. Lantis del Fulmine la guarda che le sta di fronte, stringe l'altra mano di suo padre, così fredda e fragile e vorrebbe piangere anche lui, vorrebbe non avere quella gabbia di chiodi e ferro intorno al cuore. Gli sfila la spada, perchè sarà piantata sulla sua tomba, perchè era un guerriero Rickard Raeghar, nessuno dovrà mai dimenticarlo.



    Entrambi i ragazzi prendono un lato del sudario e dolcemente abbracciano il loro padre, lo avvolgono come fosse le loro braccia. Ne legano i lembi e Lantis fa per prendere in braccio quel fardello bianco quando Kalisi gli si avvicina e si offre di aiutarlo. Il Re non è pesante, è men che una piuma ormai e Lantis vorrebbe urlargli di rabbia che deve stare lontano, che quello era suo padre. Ma una lacrima scende meschina, più veloce e scaltra delle altre sue compagne soffocate dal rancore. Lantis e Drako ripongono insieme i resti mortali di Rickard sulla pira perchè ora non è momento di guerra, è solo il tempo di dire addio all'uomo più importante delle loro vite.





    Il Fulmine si arma di torcia, il Fuoco ci mette la scintilla. Violenta e potente brucia la pira, illuminando tutta l'oscurità che li circonda.



    E poi, d'un tratto, un miracolo sotto gli occhi degli increduli: tutta l'Auspex si risveglia insieme, le lucciole iniziano a danzare e brillare vivaci nella notte e sconfiggono il buio, come il più grande e maestoso trionfo dei Maghi. La luna vince sulle tenebre, le nubi si disperdono, le stelle scintillano come diamanti su un manto di seta.



    Forse Rickard è uno di loro, adesso, e lo stanno accogliendo. Sì, sarà sicuramente così. Lo spirito di Rickard sta ora volteggiando sereno e leggiadro così da illuminare i cuori di chi lo ha amato, di chi lui ha amato con ogni fibra del suo essere.



    Un tumulo di terra e marmo proteggerà le sue ceneri dal tempo, nel giardino della Luna di Diamante, accanto alla sua amata Margarete. Lui avrebbe voluto così, passare l'eternità accanto a lei. Lantis vi pianterà lì la sua spada, appena la pira avrà terminato il suo lungo incendio. Il tripudio di luce sembra adornare l'Altare dei Bagliori finchè il fuoco si esinguerà, finchè un nuovo sole porterà ancora sulla terra di Dohaeris, il vento della guerra.

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  9. #39
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    L'ombra del passato

    Avanza silente per i corridoi del castello, Lantis del fulmine ha il capo chino e l’animo in tempesta, un naufragio che si abbatte al centro del petto, che si infrange su ogni particella del suo corpo, ma lo sguardo è impassibile, non lascia trasparire emozione alcuna, neanche le lacrime riescono a farsi spazio su quel viso che appare di pietra.



    Tutto attorno tace, solo poche candele ad illuminare il lungo percorso che porta alla stanza del defunto padre, dove l’ultimo respiro di Rickard è stato esalato sotto il peso delle braccia di un figlio dolorante, sotto il peso soffocante delle responsabilità di un regno in guerra.



    Vorrebbe poter urlare il giovane in tumulto, vorrebbe prendere a pugni ogni cosa in quella stanza, tirare i tendaggi e strappare i ritratti di famiglia dal muro, ma è come se le emozioni che si agitano nel suo interno non abbiano controllo alcuno sulla sua mente. Resta fermo, con lo sguardo perso tra le pieghe delle lenzuola ancora disfatte, resta con gli occhi vuoti, a tratti vitrei, a rivivere quella scena, che, ancora una volta, gli ha strappato via un pezzo di umanità.





    Rivede se stesso, con quel cuscino tra le mani, rivede suo padre inerme su quel letto e solo in quell’istante una morsa allo stomaco si fa più persistente, come un pugno che lascia il segno e non guarisce. Un alito di vento gli smuove i capelli, ma non ci bada e resta immobile, ma solo al secondo soffio decide di voltarsi per chiudere la finestra alle sue spalle, forse la sua immaginazione gli ha tirato un brutto scherzo, forse il corpo ha reagito con dei brividi a tutti quei ricordi, perché quella finestra di ferro battuto è in realtà chiusa. Lantis è confuso, ma decide di non dare peso all’accaduto, ha ben altro a cui pensare in quel momento, tra poche ore quella corona, tanto ingombrante eppure indispensabile, verrà poggiata sul suo capo e…



    “Mi sto divertendo, come mai avrei immaginato, ma si può fare di più…” una voce giunge ancora alle sue spalle, il giovane si volta di scatto colmo di ira, chi può aver mai osato entrare in quella stanza? Chi può mai essere lo sconsiderato che ha scelto di prendersi gioco di lui? Ma ciò che nota è un’ombra scura con le fauci in mostra, che rapidamente si dissolve nel nulla sotto lo sguardo attonito del giovane, il quale si ritrova a fissare il vuoto.



    Con gli occhi sgranati, totalmente incapace di capire cosa sia appena accaduto, il ragazzo non muove un muscolo, cercando di realizzare se la sua visione sia solo il frutto della sua mente devastata o meno. Quella voce non appartiene a nessuno di sua conoscenza, era profonda e calma, ma è certo di averla ascoltata altrove, cerca di scovare un ricordo nella sua mente, ma è tutto troppo offuscato dal momento, tutto così incomprensibile.



    Le luci che filtrano attraverso i vetri e che disegnano i contorni delle finestre sul pavimento, sono il segno che è ora di andare e che forse la stanchezza per la notte insonne è la sua più grande nemica in questo giorno che sta aver avere inizio. E' l’alba di una nuova Dohaeris, è l’alba di un nuovo Re.

  10. #40
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    L'incoronazione

    Occhi di ghiaccio, occhi crudeli, occhi senz'anima si specchiano nella preziosa cornice di marmo a Luna di Diamante.


    Lantis osserva quel vestito, sempre lo stesso per tradizione, accarezza quei colori che gli appartengono, quelle due sfumature di argento e azzurro in cui è stato fasciato sin dalla nascita.


    Preferisce indossare armature, come se il suo cuore fosse perennemente in guerra, perennemente sotto assedio da qualche forza oscura che si annida dentro di lui. Guarda di sbieco come gli cade la ricca casacca di seta e velluto, mentre le sarte cercano in tutti i modi di adeguarla alla sua taglia. Più magro di Rickard, che aveva un fisico più possente, ma allo stesso modo forte e muscoloso. Lantis del Fulmine è famoso per la sua velocità in battaglia e per i suoi fulmini neri, per quella discendenza dai Blackfire di cui va così fiero. La sua Cuore di Tenebra è un'eredità di sua madre, un'arma ancestrale che si dice forgiata all'Abgruntis da Raiden stesso. Sul fodero, che porta a fianco e trattiene quell'oscurità, all'altezza della chiusura per l'elsa, fa bella mostra un corvo nero di zaffiri scuri, il simbolo che Margarete Raeghar ha sempre portato con fierezza. Sperava di averla accanto a sè, Lantis, in un giorno così importante, nonostante la mente gli ha sempre detto sin da bambino che la cosa era poco probabile. La corona passa da una testa morta ad una viva, il suo passo verso il trono sarebbe stato solitario, è sempre stato così. Eppure pensa che se Reneè non fosse fuggita sarebbe qui al suo fianco come sua Regina a sistemare con la mano candida il merletto ribelle; che se quella malattia non avesse tranciato la giovane vita di sua madre, oggi lo avrebbe aiutato a legare la spada alla cinta. Forse ci sarebbero risa di bambini e non solo lacrime e dolore. Allora sì, avrebbe sentito quel calore al cuore che ormai lo ha abbandonato. Non ci sarebbe stata alcuna guerra, anche Drako sarebbe lì, al posto di Cassandra, a osservare divertito la sua vestizione, e sua sorella non sarebbe irata con lui ma magari sarebbe stretta al braccio dell'uomo che ama e sarebbe prossima alle nozze. Perchè gli dei non hanno voluto un simile quadro di perfezione? Capitava, a volte, che Lantis li maledicesse, ma mai a voce alta, perchè non è una cosa giusta da fare. Allontana con un gesto distaccato le serve che gli ronzano attorno con ago e filo e si volta verso il Primo Cavaliere. La guarda e le fa segno di precederlo, è pronto per la grande marcia. L'ampia Sala del Giudizio, gremita di gente, la solita che frequenta quel tipo di avvenimenti.


    Nobili che vogliono consolidare il loro potere, aristocratici decaduti che tentano di entrare nelle grazie del nuovo Re, faccendieri pronti a svendere i loro servigi per qualche pezzo di terra smesso.


    Lumen risplende nella folla, con il suo abito azzurrino di seta e organza, tempestato di fiori di diamanti. Un messaggio, elegante e sottile, di come l'azzurro dei Raeghar necessiti del bianco dei diamanti del Nord per brillare.


    Il Re si siede sul trono, un attimo la vista si annebbia, ma giusto un battito di ciglia, nessuno avverte il suo malore. Il Sacerdote lo incorona, il Primo si inginocchia e pronuncia il suo giuramento, tutti acclamano, tutti son pronti al rituale che per secoli ha seguito l'incoronazione di un Raeghar.




    Lantis si alza in piedi, il ciambellano di corte gli porge il calice dorato con dentro del vino rosso, prodotto dalle cantine del Castello. Lo solleva in alto, stira un sorriso sulle labbra. "Brindo a Dohaeris e agli dei, che mi proteggano dalle insidie e mi diano la luce del giudizio. Vino, signori, vino per tutti" esclama con la voce altisonante.


    Tutti berranno, come vuole la tradizione, persino Lord Tywin, pallido in viso più del solito, forse per l'aver festeggiato tutta la notte la vittoria su Rickard, che non ha lasciato con gli occhi un attimo Re Lantis.


    Dopo la cerimonia dovranno parlare, dovranno discutere, dovranno disegnare il grande progetto su cui fondare la Dohaeris del futuro.


 

 
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