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  1. #41
    L'avatar di mary24781
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Nella fossa dei leoni

    Lo spettacolo dei monti Adamantem, il loro rigido e geometrico profilo che si scaglia nel cielo plumbeo, quell'aspetto così severo che racchiude immense e quasi infinite ricchezze, contrasta nella candida neve con la bellezza e la raffinatezza dei diamanti, con la loro luce, con il loro preziosissimo valore, con cui poter ottenere tutti i piaceri e i vizi che il mondo può offrire. Il Castello Nero è silenzioso, spartano ma elegante, i colori della casata Leithien sono ridondanti ad ogni angolo, persino nella grande sala del camino, quella che è quasi sempre vuota, adibita ai balli, ai banchetti che però sono eventi rari, perchè il Lord non ama la marmaglia se non gli è utile in qualche modo.


    E quando sei così ricco e potente, l'utilità degli altri viene a svanire sempre di più. Lantis avanza con passo deciso, inquieto; è indispettito per questa richiesta di Lord Tywin, per questa sua arroganza ostentata.


    Eppure, il giovane Re immagina che ci sia qualcos'altro dietro un gesto che può apparire avventato. Mai, mai Tywin Leithien si è mostrato poco saggio. Le alte figure bionde dei due fratelli Leithien si stagliano alla fine della sala e il maggiore di loro è poggiato al camino di pietra, il fuoco è acceso e dà luce al lugubre ambiente. Alla Barriera, sembra che sia sempre notte, sembra che sia la neve l'unica fonte di luce, anche quando il sole è alto in cielo, così il fuoco divampa nella penombra della stanza, illuminando il viso dei tre uomini.


    Gordon Leithien è in silenzio, le storie narrano di un uomo efferato e crudele, ma Lantis non l'ha mai conosciuto bene, perchè è raro sentirlo intervenire in una conversazione, con quell'espressione atona perennemente dipinta sul viso: un enigma, ecco cos'è per lui il padre di Lady Lumen.


    Lord Tywin è, invece, emaciato in viso, sembra provato, stanco, esausto. "Ben arrivato, Re Lantis. Allora, quanto è pesante quella corona che portate sul capo?" domanda sarcastico il Gran Maestro degli stregoni. "Le mie spalle sono abbastanza forti, Lord Tywin, non scordate mai che ho il sangue di mio padre che scorre nelle vene... e quello di mia madre" risponde serio, decisamente sospettoso sui modi di fare del Signore di Adamantem. Inutile rimarcare l'affronto che poteva rappresentare l'aver convocato il Re al Castello Nero, Lantis sa bene quanto poco queste facezie possano impensierire un uomo come lui. Un accenno di un ghigno sulle labbra del Gran Maestro... ricorda bene Margarete, la sua freddezza, la sua eleganza, la sua distaccata nobiltà. Quell'atteggiamento di dignitosa superiorità che l'ha resa oggetto delle sue brame per così tanti anni. "Non ne avevo dubbi, sono certo che darete il via ad una nuova Era per Dohaeris, Voi... e la Vostra consorte ovviamente..." ribatte con sagacia, come un sibilo di serpente il Leone. Il più giovane dei Leithien piega la bocca in un mezzo sorriso, quegli occhi dorati così simili al male che ha generato fissi sul Raeghar: "Mia figlia come sta, Maestà? Purtroppo i numerosi impegni che traviano le mie giornate mi hanno impedito di assistere agli ultimi eventi di Dohaeris... la guerra non conosce sosta" apostrofa malignamente lo Sterminatore di Clan.


    Assottiglia lo sguardo, Lantis del Fulmine e sente l'ira divampare nel suo animo.


    Ma deve acquietarsi: persino suo padre ha dovuto farlo, ha dovuto scendere a patti con la potente casata. Con questi due spregevoli mentecatti. "Vostra figlia, Sir Gordon, gode di ottima salute, era così radiosa all'incoronazione da nascondere bene il dolore lacerante che certamente la consuma per la perdita di un marito eccelso come Re Rickard" esclama con ironia il giovane Re. "Miei Lord, io sono un uomo pratico, così come lo siete voi, quindi credo sia sciocco perder altro tempo. Vostro figlio, Lord Tywin... entrambi sappiamo bene che non tornerà a vestire l'armatura del Regno... il sacrificio di mia sorella Esperin è decisamente fuori luogo" spiega con serietà il Domatore del Fulmine. "Ed è per questo che sarete Voi stesso ad unire le nostre casate, non è vero? Re Lantis?" insinua il Lord della Barriera.


    "Non avete diseredato vostro figlio... e io sono per stipulare patti chiari. Sposerò vostra nipote e figlia, convolerò a nozze con Lady Lumen riconfermandola Regina di questo Regno... ma i vostri uomini, i vostri soldati, le vostre ricchezze... mi dovete dare la garanzia che sono al servizio della Corona... anche se Lord Horas rifiutasse la mia proposta di pace" afferma sicuro di sè, serio, determinato. Lantis del Fulmine sa che non avrà garanzie certe, ma sposando Lumen avrà comunque metà famiglia Leithien con gli stessi interessi in comune. E' questa l'unica cosa che tiene fedele un uomo come Tywin: l'interesse per il suo clan. Sa anche che vorrebbe distruggere tutto e tutti, radere al suolo quel luogo impregnato di male e di arroganza, ma non può, nessuno può farlo. Nemmeno suo padre ha potuto. "Ve lo garantisco, avrete i miei diamanti, le mie truppe e le spalle coperte dalla nostra casata, inutile rimarcare che nessuno è al pari dei Leithien. Non ho diseredato Ryuk e non lo farò, il suo è solo un capriccio, quando inizierà ad annoiarsi tornerà all'ovile. Date pure la notizia dello scioglimento del..." dice tossendo forte Lord Tywin "... del fidanzamento". Poi, rivolgendo uno sguardo a suo fratello Gordon, esclama: "Sapete, Re Lantis... convolerò a nozze unendo il mio nome a quello dei Feralys, ho fatto durare il lutto per mia moglie fin troppo tempo, non che me importasse molto, a differenza di mio fratello che si ostina a voler conservare il velo nero sul suo capo".


    Un momento, un istante di sorpresa lascia Lantis attonito a fissare il volto cupo e inespressivo di Sir Gordon. Se un Leithien deve prendere moglie, certamente una casata di fuoco come i Feralys è adatta, ma mai avrebbe immaginato che un uomo con il suo potere e la sua età potesse pensare di risposarsi. Anche lo sguardo di Lantis diviene più pensieroso, perchè Lady Adamantia è bella e giovane e tanti altri piccoli demoni biondi può mettere al mondo. Ryuk Leithien... un capriccio? Non lo pensa, ma Lord Tywin ha sottovalutato questa guerra sin dall'inizio e gli uomini superbi spesso perdono il contatto con la realtà. Eppure prenderà moglie, conoscendolo le darà altri figli, altri eredi. E' Gordon a rompere il silenzio, con una frase schietta, asciutta, crudele. "Mettere al mondo due demoni è stata un'impresa inarrivabile. Nessun'altra donna potrebbe darmi lo stesso onore" dice senza emozioni, spento, come qualcosa lo avesse svuotato della malizia precedente.


    Si congeda, ha da fare, le mani prudono, il fuoco divampa nel suo cuore tanto che potrebbe sciogliere tutta la neve di Adamantem se volesse. Tywin guarda il Re compiaciuto, i giochi stanno procedendo come egli voleva, non proprio come aveva previsto, ma ha saputo ribaltare ancora una situazione precaria a suo vantaggio. Vorrebbe sedersi, è esausto, ma la sua volontà si impone, si avvicina al Re e gli porge la mano. Lantis lo guarda torvo... nessuno dovrebbe avere lo stesso potere di Tywin Leithien. Non dovrebbero esistere gli animali come i Leithien. Ma ci sono e sono potenti, più di chiunque altro. Horas Waters è un buon uomo... ma non è uno stolto. Oserà davvero mettersi contro Adamantem e la Corona? "Allora è deciso, su vostro figlio non penderà nemmeno alcuna taglia, lo comunicherò immediatamente al Primo al mio ritorno. Lady Adamantia è una donna seducente e proviene da un casato importante, avete fatto un'ottima scelta, come sempre. Me ne congratulo" ribatte il Grifone ricambiando la stretta. Se solo potesse stritolargli la mano, cavare quegli occhi di serpente, distruggere ciò che resta del suo corpo. Mai aveva provato un odio così profondo per qualcuno. Ma non è il momento, non è questo il giorno. Arriverà, Lantis lo attenderà pazientemente. E appena il leone sarà distratto dalla gazzella, il grifone scenderà dal cielo e lo arpionerà con i suoi artigli, lo divorerà con le sue fauci.


    Si dirige al Glados, che lo porta alla Torre dove intravede subito il Decimo Idra. Gli ordina ciò che è stato pattuito dal mefistofelico accordo e si congeda al Castello. Non gli interessa di nessuno, non cerca Lady Lumen o sua sorella. Vuole stare solo, coi suoi pensieri, coi suoi ricordi, perchè è bruciante ancora il pensiero, il rimpianto fatale di quei capelli rossi, di Reneè, di come le cose si sarebbero evolute diversamente. Della gioia che ora lo attenderebbe al Castello che invece è ora vuoto, oscuro e pieno di terrori.

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  2. #42
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Acqua che sfugge, Fulmine che tuona

    "Maestà... la Regina chiede di vedervi... dice che è importante"

    La voce agitata della guardia fuori le camere del Re rompe il silenzio che aleggia in tutto il Castello. Lantis si desta dal suo sonno agitato e guarda dalla finestra... è il cuore della notte.


    Colpisce il soldato con uno sguardo freddo e severo: che vorrà la megera a quell'ora? Discorrere di Adamantem, dell'incontro che ha avuto con suo zio e suo padre? Tanta è l'impazienza della donna? "Fatela entrare" dice indispettito. Si alza dal talamo, si infila una casacca di raso e inizia ad abbottonarla. Si versa un po' di vino... il disgusto per Lumen è enorme, ha bisogno di bere. Tre Leithien nel giro di poche ore proverebbero la pazienza di chiunque. E il giovane Re non è famoso per la sua pazienza. Il passo piccolo e candido della fanciulla avanza titubante nella stanza e fa chiudere la porta alle sue spalle. Vuole essere sola, quel che sta per dire è grave.


    Lui la guarda con rancore, ha gli stessi abiti indossati all'incoronazione ma non vi fa caso. Un manto sul suo braccio. "Non ti avrei disturbato a quest'ora se non fosse stato urgente" inizia a spiegare Lumen con riluttanza. Teme la reazione di quel ragazzo che conosce da tanto ma che le resta lontano. Ma lei è una Leithien, convive con i demoni da quando era bambina, lei stessa è diventata una di loro. "Se vuoi chiedermi del mio incontro con i tuoi infernali parenti... non credo che si possa considerare una questione urgente" replica stizzito, mentre beve un altro sorso di vino. "Non è di quello che voglio parlarti... Lantis... riconosci questo mantello?" domanda porgendo la stoffa raffinata, blu e leggera come usano le nobildonne. Il giovane osserva bene quella manta, la conosce, tante volte l'ha vista. "Certo, v'è anche ricamato il simbolo dei Raeghar e le sue iniziali... è di Esperin" spiega fissando l'interno del bicchiere quasi vuoto. Poi volge lo sguardo a Lumen, in quelle iridi dorate che sanno di malvagità. Ci vede però una donna dubbiosa, incerta... sgomenta. Cosa avrà mai sconvolto una come lei? "Non mi chiedi dove l'ho trovato?" aggiunge la bionda, guardandolo di sbieco. Lantis sospira scocciato, deve mantenere la calma, lui odia questi giochi.


    "Sei così meschina che potresti anche averlo rubato" le replica con sarcasmo, rivolgendole un mezzo sorriso maligno. Lumen resta seria, i muscoli del viso distesi senza esprimere alcuna espressione. "L'ho trovato nelle prigioni" si limita a dire, senza lasciarlo con gli occhi. Lui assottiglia lo sguardo, lo scambio di battute si sta facendo esasperante. "Mia sorella ha un animo buono, spesso porta Agatha con sè nelle prigioni per dissetare i carcerati, come faceva nostra madre... va anche negli orfanotrofi a portare del cibo ai bambini affamati... dovresti iniziare pure tu, sei una Regina... a che altro servono sennò le Regine come te?" continua il giovane, rimarcando la sua ironia. Ma la Leithien non accoglie la provocazione, resta impassibile, senza reagire. "Accanto al cadavere della Consigliera Niniel" decreta la donna come una sentenza, come se avesse calato l'ascia sul collo del condannato a morte.


    Il Re di Dohaeris resta un attimo stupito ma poi... poi comprende fin troppo bene l'intento della vipera. "Cosa osi insinuare? Accusi mia sorella, la mia augusta e nobilissima sorella cui la tua bocca di veleno non è degna nemmeno di sussurrare il suo nome, di omicidio?" tuona Lantis facendo un passo imperioso verso di lei. "Non insinuo niente, ti ho solo esposto i fatti così come sono... andiamo alla Torre, domandiamole spiegazioni" propone Lumen arretrando di qualche passo. "Cosa? Sei l'incarnazione della faccia tosta! Tu andrai solo a dormire ora e domani all'alba, dopo la partenza delle guerriere per il Sinelux, le restituirò il suo mantello, chiedendole chi abbia potuto rubarglielo o a chi l'ha prestato. Perchè certamente non ci sono altre spiegazioni. Per quanto mi riguarda, potresti essere stata tu a uccidere Niniel" accusa abbassando il tono della voce, guardandola fissa con gli occhi sottili.


    "Mi ero recata da lei per quello... per ucciderla! Quindi perchè dovrei mentirti?" esplode di rabbia la Regina. Il bel volto è alterato, la sua voce melodiosa giunge dura e affilata. Lantis solleva il capo, come a scrutarla dall'alto in basso. "Guardia! Convocate mia sorella al Castello, ho bisogno di parlare con lei" ordina il Re aprendo la porta dei suoi appartamenti. Si volta verso la strega, la faccia cupa, paurosa. "Non sottoporrò certo mia sorella alla gogna della Torre. Sei una sciocca, perchè volevi morta Niniel? Non credere che io non abbia capito che l'unica persona che merita la forca in questa storia è proprio Lord Tywin Leithien" afferma avvicinandosi a lei e guardandola minaccioso. La lancetta dell'orologio compie il suo giro completo e il soldato torna con le mani vuote. "Maestà... non c'è traccia della Principessa... alla Torre non c'è, tutti gli abitanti sono stati allertati... alcuni di noi sono andati al Valmorghuli e non è nemmeno là, i Saggi non parlano... Lady Esperin sembra sparita nel nulla... forse è stata rapita" dice ansioso l'uomo inchinato ai piedi del Re. Ambasciator non porta pena, questo è il detto, ma nei fatti non è mai così. L'ira di Lantis si dipinge in tutta la sua furia sul suo viso, i lineamenti regolari e aggraziati si deformano, si contorcono. Gli occhi di fuoco, il fulmine nero lampeggia intono a lui. La mascella serrata, le labbra piegate con rabbia. Pochi hanno visto il suo scudo di tenebra e ancor meno sono coloro che possono ancora raccontarlo. Un oscuro ammasso di elettricità circonda il suo corpo e si agita nervoso che sta quasi per esplodere. "Rapita?" domanda con la voce gutturale come quella dei demoni.


    Ed è un attimo... Lumen si ritrova a terra, ferita, le vesti lacerate e tutto intorno sembra un campo di battaglia, con i mobili e la tappezzeria in mille pezzi.


    Il soldato giace poco lontano, inerme, forse morto. Lantis è avvolto dal potere difensivo della sua magia, forte, potente, spaventosa. L'ombra elettrica che lo racchiude sembra aver preso la forma di un angelo nero, di un demone dell'Abgruntis.


    Non osa profferire verbo, Lumen, e annuisce meccanicamente quando egli le ordina di andarsi a cambiare. "Andiamo alla Torre... togliti quel diadema del cazzo, abbiamo capito che tuo zio caga diamanti" dice lo stregone con un ruggito.


    La regina ubbidisce silenziosa e si lascia curare dai guaritori della Torre. La mano che tiene la veste trema un attimo ma la blocca con l'altra. Non deve avere paura, deve stare calma, deve pensare. Lei è cresciuta al Castello Nero, questo è nulla. Deve mantenere il sangue freddo e tacere finchè Lantis del Fulmine non tornerà in sè. Attraversano il Glados in silenzio, il volto dell'uomo è imperscrutabile e le torna... torna ancora quel desiderio con cui ha convissuto tutta la vita. Fuggire, fuggire lontano.

  3. #43
    L'avatar di mary24781
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Quel dì che ti tenni la mano...

    Nella stanza buia e silenziosa, si udiva leggiadra e dolce una cantilena, la nenia di una madre che tiene la mano del figlio in preda ai deliri della febbre. S'era diffusa come un fuoco improvviso questa malattia, i curatori potevano attenuarne gli affetti ma non riuscivano a debellarla del tutto, al che la cosa non era di fondamentale importanza, il morbo spariva da sè dopo qualche settimana. Anche il Principe Lantis l'aveva contratta, nonostante la Regina era stata attenta che non s'immischiasse con gli altri bambini.


    Il piccolo le aveva disubbidito grazie all'accondiscendenza paterna, aveva da poche settimane un amico al Castello e amava passare con lui i pomeriggi dopo le lezioni della septa. Drako Kalisi era più grande di circa tre anni, era un ragazzotto di quattordici anni già alto e forte, mentre Lantis era poco più di un bambino, con le mani ancora piccole per impugnare una spada da adulto. Eppure, Drako riusciva a insegnargli quel poco che aveva appreso e il piccolo Raeghar si sporcava volentieri di fango pur di tirar di scherma e incrociar le spade di legno fino al tramonto. La Regina Margarete si alzò da accanto al letto e andò alla finestra, per scostare le tende e illuminare un poco il viso del figlio, dato che i medici avevan detto che il sole avrebbe accelerato la guarigione.


    Una vista dritta sul cortile, dove per un attimo si soffermò a guardare suo marito alle prese con il suo allenamento. "Tuo padre è ben cocciuto, con questo male su Dohaeris egli non mi ascolta di stare al riparo, esattamente come te" disse severa e un poco accigliata.


    Ma quando si voltò verso il figlio, gli sorrise dolcemente e tornò a stringergli la mano, sedendosi al suo fianco nel letto. "Perdonatemi madre" mormorò colpevole il Principe, che si strinse ancora di più al corpo della Regina, così da sentirne il calore, il profumo, la sicurezza.


    "Esperin ha fatto i capricci, vuole assolutamente vederti e mi tiene il broncetto perchè gliel'ho proibito... come quando le ho detto che non poteva tener gatti" gli raccontò dolcemente, mentre gli accarezzava il viso.




    Era caldo, lo sentiva al tocco, la febbre non era ancora scesa. D'un tratto, la guardia fuori dalla stanza informò la Regina che c'era una visita per Lantis, ovvero il giovane Drako, preoccupato per la salute dell'amico. Margarete di accigliò, non gradiva la presenza di questo nuovo compagno nei pomeriggi di suo figlio. Un ragazzino senza stemma, senza storia, senza quel sangue nobile che era stato sempre così importante per i Blackfire. "Si è preoccupato per me! Fatelo entrare! Voglio vederlo!" disse di slancio l'erede dei Raeghar, con gli occhi felici di chi non si sentiva più solo.


    Ma arrivò tempestiva la voce fredda della Regina Margarete, imperiosa e inappellabile: "No, mandatelo via. Per giocar con lui all'aria aperta che il Principe si è ammalato. E tu hai bisogno di riposare, la febbre è ancora alta". Si scostò dal bambino e gli rimboccò le coperte, passandogli amorevolmente la mano sulla fronte e poi sui capelli. Era sempre stata molto protettiva nei confronti del suo primogenito, come una leonessa che tiene al sicuro il suo cucciolo. Fauci feroci contro gli estranei, bocca dolce e premurosa con i suoi bambini. Dalla finestra, osservò il giovane Kalisi dirigersi tristemente verso le fucine e sentì di essere riuscita a tenere Lantis al sicuro, anche se questo contrastava in lei con il senso di colpa di aver lasciato dispiaciuto suo figlio.


    Lantis dormiva nel grande letto, che lo faceva apparire ancora più piccolo e indifeso di quel che in realtà fosse. Margarete lo guardò addormentarsi, non lo avrebbe lasciato da solo, avrebbe vegliato su di lui finchè non si fosse ristabilito. Ma non poteva, ne era cosciente, controllarlo per il resto della sua vita. Doveva lasciarlo andare... ma non quel giorno. Il momento sarebbe giunto, ma non era quello. Scacciò via questi pensieri ma mai l'abbandonarono del tutto, l'amore per suo figlio era smisurato, così come la preoccupazione che però pian piano cercò di accantonare, soprattutto quando Lantis diventò cavaliere. Li osservava spesso, Drako e Lantis, allenarsi all'arte della scherma, senza sosta, con indefessa volontà. Ammirava la loro forza crescere ogni giorno di più insieme alle loro abilità guerriere e gli pareva sempre più evidente che il figlio, cupo e schivo di carattere, si fosse rasserenato, fosse più gioviale, più sorridente. Iniziò per questo a guardare con simpatia al giovane Kalisi: aveva avuto il potere di sciogliere il gelo del suo bambino. "Drako..." gli disse un giorno, avvicinandolo dopo l'addestramento quotidiano "... sono una Blackfire, siamo gente scioccamente orgogliosa, con la testa troppo alta per piegarla a chi cammina sotto di noi. Non sei l'amico che speravo di vedere accanto a mio figlio ma... Lantis sorride. E questo mi basta per darti il mio affetto... grazie".


    La Regina non era una donna che si perdeva in pomposi convenevoli, era una donna onesta e schietta, glaciale qualcuno l'avrebbe definita... dolce solo con i suoi figli. Eppure, quel giorno il suo viso si illuminò per Drako Kalisi, per quello che il ragazzo sconosciuto era riuscito a fare a suo figlio, per la felicità che esso sapeva dare al piccolo Raeghar.


    Gli anni passarono e la stima che Margarete aveva per il mago di fuoco crebbe sempre di più... gli diede la sua fiducia, il suo rispetto... Drako era come un membro della famiglia, lei lo avrebbe difeso a spada tratta come fosse suo figlio ed era sempre pronta ad appianare le divergenze dei due ragazzi quando litigavano per delle sciocchezze. Lo avrebbe visto bene accanto ad Esperin, gli avrebbe dato terre e titoli, ricchezze e nobiltà. Perchè il dono di Drako Kalisi era unico e speciale: sapeva rendere felici i suoi bambini.

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  4. #44
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    In medio stat virtus

    La notte sembra avanzare lenta, lenta quanto i passi del giovane Elfo che avanza tra i fitti cespugli di un luogo a lui tanto conosciuto quanto sacro. Il bosco di Smeraldo, il luogo ancestrale ove sorge L’Elisium, il terreno sacro agli elfi sin dalla notte dei tempi.


    Si narra che i Siamesi abbiano avuto i natali proprio in questo luogo, che la Madre terra abbia generato una bambina raccogliendo la rugiada dalle foglie di ogni albero del bosco ed un bambino dalla linfa dei robusti ed alti tronchi che sorgono imponenti, gli Dei dell’acqua e della Terra. Efrem è deciso, seppur timoroso di questo incontro che desidera ardentemente da quando è scoppiata la guerra, sa che la persona della quale è in cerca non è dotata di un carattere malleabile e soprattutto è poco incline alla conversazione, ma il suo apporto è fondamentale, il giovane uomo è convinto che una creatura dotata di tali poteri eccezionali sarebbe la chiave per avanzare di un passo rispetto ai suoi nemici. Il bosco è immenso, le probabilità di girare a vuoto sono alte, ma Efrem ha studiato per giorni la conformazione del luogo, ha calpestato questo suolo già numerose volte e sa, almeno crede, dove si trova sulla destinazione ultima. Cerca il Salice gigante con lo sguardo, ma l’oscurità della notte non gli è amica, avanza ancora di qualche passo finché delle imponenti radici di espandono per una vasta area sotto i propri occhi, eccolo… imponente e maestoso nei secoli di vita che ne segnano la corteccia, è qui… è proprio qui che si narra che la Gran Maestra degli Elfi ami trascorrere le proprie notti in solitudine. «Nimoe!» chiama a gran voce voltandosi in ogni direzione, nel tentativo di scorgere l’alta figura «Nimoe… ho bisogno di parlare»


    Ripete ancora quel nome, toccando la corteccia dell’immenso Salice, voltando gli occhi verso l’alto nell’ammirare l’imponenza dell’albero «hai abbandonato i formalismi giovane Targaryus?»


    la voce femminile e carismatica proviene dalle spalle del ragazzo, il quale si volta con un giro veloce, fin quando si ritrova ad ammirare la Gran Maestra degli Elfi, forse la più potente di tutti i tempi «perdonatemi» Efrem si inginocchia,


    un gesto che non riserverebbe a nessun altro, perché nessun altro rappresenta un’autorità per lui. «Alzati!» un’altra voce giunge alla sua sinistra, accompagnato da un forte bagliore ed una ondata di calore: è un clone che si mostra in tutta la forza e bellezza. «Noto che siete già in fase difensiva Gran Maestra…», la donna l’osserva nell’accerchiarlo con il resto dei propri atronach di fuoco, cloni immateriali che non possono essere distrutti, ma che, al contrario, rappresentano un potente potere offensivo.


    Il ragazzo li osserva affascinato, più che intimorito, non è uno spettacolo al quale tutti possono dire di aver assistito, è un dono raro che pochi nella storia possono vantare di aver visto coi propri occhi ed ancor più raro è possederlo. «Dimmi, perché sei qui, Figlio della terra?», la sua voce si espande nell’aria come un eco ripetuto da ogni clone, un suono che diventa metallico e distorto. «Sono qui per chiedere il Vostro aiuto, Dohaeris è preda del Caos che io stesso ho contribuito a generare, si necessita di un intervento… invasivo per ripristinare un equilibrio!» Efrem non riesce a trattenere una espressione sarcastica, con un sorriso accennato a segnargli il volto


    «cosa intendi con equilibrio? Non esiste equilibrio in guerra.» Il ragazzo avanza di un passo sicuro di sé, vuole mostrarsi deciso, fiero, certo dei propri ideali, sicuro che la sua causa sia quella giusta. La Gran Maestra sostiene il suo sguardo, resta impassibile, sul suo volto non c’è traccia di emozione alcuna, i suoi occhi non lasciano trasparire i propri pensieri, ma un clone di fuoco si scaglia veloce contro Efrem, rapido… troppo rapido per schivarlo d inevitabilmente lo investe bruciandogli le carni e parte degli abiti «non muovere un altro passo!» intima la donna, continuando a restar ferma, fissandolo come fosse un nemico.


    «Sono venuto per proporvi di schierarvi dalla nostra parte, Drako è il Gran Maestro dei Maghi, Lord Tywin è il Gran Maestro degli Stregoni, tra il bene ed il male, Voi, non rappresentate forse l’equilibrio? Voglio radere al suolo Dohaeris, ormai rappresenta il Caos e per ripristinare il controllo, va eliminata, così come chi ne detiene il potere!» Il silenzio cala tra i due, un vuoto che dura un lasso di tempo imprecisato, ma che al ragazzo sembra durare fin troppo, la donna non risponde, semplicemente si volta di spalle e s’incammina nuovamente all’interno del bosco «vattene!» è l’unica parola che aggiunge, ma Efrem è determinato e decide di insistere, ancora avanza verso di lei, ma ad ogni passo un atronach gli si scaglia contro, il secondo, il terzo e di seguito i restanti, si infrangono contro il suo corpo esplodendo in fuochi vibranti, le ferite si accumulano, la pelle è quasi carbonizzata e le forze cominciano ad abbandonarlo. Efrem si accascia al suolo, ma non demorde, spinge il suo sguardo lontano, oltre la donna e sprigiona la propria energia, la volontà che lo lega alla terra, la stessa terra che permea in parte il potere della donna, e libera una barriera imponente di radici, che si ramificano innanzi a lei, al solo scopo di impedirle di proseguire il proprio cammino «No, non me ne andrò, combattete contro di me, se vincerò vi unirete alla mia causa, vi sfido…»



    A quelle parole Nimoe si volta, il suo sguardo è diverso, consapevole della propria forza e dell’insulso potere dell’aura del ragazzo in confronto alla sua, inarca un sopracciglio e nello stesso istante la terra trema ai piedi di Efrem, il suolo si spacca e si apre in una voragine, ma la donna è clemente, fa sì che il pozzo lavico non abbia lui come centro e che il ragazzo scivoli all’interno del baratro lungo il margine laterale. Il fuoco che si mescola alla terra, ribolle sotto gli occhi del ribelle, che colto alla sprovvista scivola verso la lava che brucia ad altissima temperatura, non fa in tempo a reagire ed una gamba entra totalmente nel pozzo, un dolore lancinante si mescola alle urla strazianti, la carne si consuma velocemente, i muscoli ed i tendini vengo divorati dalla lava, raschiando fino all’osso. Con uno sforzo immane si tira fuori da quella prigione di morte, aiutato dalla stessa Gran Maestra che ritira il proprio potere, richiudendo la terra ad un solo schiocco di dita.

    *Immagine dal contenuto forte*


    Efrem urla dal dolore insopportabile, mentre porta le mani a quel che resta della propria gamba, inorridisce realizzando che dal ginocchio in giù sono rimaste solo le ossa, la pelle, la carne e i muscoli sono andati tutto distrutti, sciolti in quella vasca di terra e fuoco. «Mai.»



    L’affermazione arriva dura e perentoria, è la sua decisione, Nimoe non ha intenzione di schierarsi da parte alcuna, quella non è la sua guerra, così la donna si volta, senza aggiungere altro, erroneamente convinta che il suo avvertimento sia bastato per far desistere il ragazzo dal suo intento, inconsapevole che la volontà del ribelle va ben oltre le proprie aspettative. Il muro di radici si sgretola su se stesso, la figura della donna si allontana, mescolandosi alla vegetazione ed Efrem, colpito nell’orgoglio più che nel corpo, si solleva a fatica per tornare al rifugio, straziato da un dolore fisico mai provato prima, ma con una idea folle che ha preso corpo nella sua mente…

  5. #45
    GdR Master L'avatar di Eclisse84
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    L'ombra del gigante

    I passi riecheggiano per le alte pareti dell’imponente struttura, La Sala del Giudizio è vuota, riempita solo dagli sguardi indiscreti delle numerose statue, le quali rivolgono tutte i loro occhi di pietra verso i Troni reali. Lantis avanza fiero ed eretto, vestito dei colori della propria casata, i Raeghar da sempre uomini e donne rispettati e temuti nei secoli della loro lunga discendenza, a monito che mai e poi mai, chinerà il capo innanzi ad un Leithien, che un Grifone vola alto, mentre il Leone è vincolato al suolo.


    I fiochi raggi solari attraversano le alte vetrate, disegnando giochi di luce sul pavimento marmoreo, il silenzio è rotto unicamente dall’incedere del giovane, il quale si arresta alla vista del Lord del Castello Nero, seduto al posto che spetta unicamente al Re.


    Lo fissa con aria di superiorità, con quegl’occhi che trafiggono l’anima e la divorano dal suo interno, Tywin è considerato alla stregua di un demone sceso in terra, con la capacità di annientare le menti altrui con un minimo cenno, ma Lantis è forte e determinato, l’osserva a sua volta nelle iridi, senza abbassare mai lo sguardo, ingoia di forza, ma non cede e riprende ad avanzare verso l’imponente figura, la quale gli sorride sarcastica di rimando. “E’ comodo qui, si ha una prospettiva diversa, non è vero Lantis?”


    Il Raegar dal fulmine nero giunge ad un passo dalle poche scalinate, che lo dividono dal Lord dell’Uragano, resta fermo con lo sguardo saldo e le mani strette in un pungo "La prospettiva che compiace un Re, non ad un Lord che non saprebbe apprezzarla" ride sommessamente Tywin dall’alto della sua posizione “Tu credi realmente che la corona ti conferisca potere?”



    Risponde abbandonando le formalità volutamente, alzandosi poi in piedi, continuando ad osservare il giovane dal basso verso l’alto. "Se lo pensassi, Lord Tywin, non sarei venuto al castello Nero e non avrei promesso di sposare vostra nipote. E voi, pensate davvero che quei diamanti che tenete stipati ad Adamantem vi diano il diritto alla corona?"





    Avanza di un passo il Leithien scendendo di un gradino “E qui che ti sbagli, a me non interessa quella corona…” continua verso il basso “… quella la puoi tenere, ma Dohaeris sarà una mia proprietà, un piccolo tassello per la mia collezione, dopotutto… tu ed i tuoi sudditi, vi reggete già sulle mie spalle da lungo tempo…” giunge in fine di fronte al giovane staccandolo ancora in centimetri, data la mole del Lord “… non è un grosso cambiamento per te in fondo” "Dohaeris appartiene alla legge che io rappresento e voi Lord, insieme ai vostri pari, ne siete il custode. Non sventolerà mai il viola e il nero su Luna di Diamante"




    Tywin piega la testa di lato, come si fa per assecondare un bambino quando reclama la proprietà del suo gioco “Certamente, se questo pensiero ti consola, non ti toglierò anche la possibilità di fantasticare, Mio Re”







  6. #46
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    Tywin resta in silenzio per qualche istante, è tentato di liberare la propria aura e piegare il giovane con la forza, ma si trattiene, trova più soddisfazione a calpestarlo con le semplici parole, piuttosto che all’ausilio di un potere concesso da Raiden. “Mi diverti, Lantis. Non quanto tuo Padre, ma mi allieti la giornata, vorrei avere uno specchio per mostrarti la faccia che hai in questo momento, stai quasi tremando, hai la fronte imperlata dal sudore e continui imperterrito a sforzati di conservare questa maschera da uomo ligio da temere. Lo vedo come cerchi di aggrapparti alla tua scintillante corona, come cerchi di frenare il tuo impulso distruttivo” Il tono della voce si fa sempre più alto, mentre le pupille si dilatano visibilmente dagli occhi ormai sgranati


    “Sei una serpe in grembo, non sarai mai rispettato come Rickard e tremi di paura perché ne sei cosciente, nessuno ti considera il suo Re, hai solo quella corona e quel cognome” Lantis indietreggia di un passo, avverte una fitta al petto farsi sempre più spazio ed una morsa alla gola che gli toglie il respiro, ma non è la presa di Tywin, lo stregone dell’uragano non sta attingendo alla propria essenza, è qualcosa di diverso, di devastante, qualcosa di esterno che blocca perfino il Lord. Lo vede aprire la bocca, come a voler prendere fiato, intento a portarsi una mano alla gola “Che cosa stai facendo?” Urla l’uomo iniziando a boccheggiare sotto lo sguardo incredulo del Re. Un rivolo di sangue si riversa all'interno delle orbite dell'imponente uomo, a renderne l'aspetto quasi al pari di un vero demone


    “Darei la mia anima per essere io la causa di questo ma... non... capisco che sta succedendo” risponde Lantis del fulmine piegandosi su se stesso, pronunciando ogni singola parola nel compiere un forte sforzo. Un risata metallica giunge alle spalle di Tywin, sonorità già conosciute dal giovane Re soli pochi giorni prima, alza lo sguardo incredulo di ciò che gli occhi gli stanno offrendo: quella figura oscura ed inquietante palesatasi nella sua stanza è là, accanto al trono, quel sorriso largo ed angosciante si rende sempre più visibile, ma questa volta anche i contorni della figurai iniziano a delinearsi, prendendo consistenza.


    Tywin tanto sofferente, da essere privato della facoltà di parlare, non riesce a muovere un muscolo, mentre la trachea si occlude sempre più rendendolo viola in viso. “Mi hai servito per molti anni, ma ormai mi annoi” L’ombra di un colosso si espande sotto gli occhi di Lantis, il passo pesante della figura gli provoca un sussulto costante, poggia una mano sulla spalla del Lord e questo perde i sensi all’istante, accasciandosi su se stesso


    “Divertimi Lantis” pronunciando queste semplici parole, sfiora il capo del giovane uomo, il quale urla pervaso da un dolore lancinante ed insopportabile, un dolore inconcepibile, e straziante come se ogni fibra del proprio corpo stia esplodendo, trascinando la sua anima negli abissi più profondi dell’inferno.


    Lantis del fulmine giace sul pavimento freddo, il respiro lento ma regolare, troppo affaticato per alzarsi, ma pervaso da una sensazione nuova che gli scorre nelle vene, quella enorme figura si dissolve nel nulla così come apparsa, senza aggiungere altre parole... senza lasciare alcuna traccia.

  7. #47
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Fuoco che arde, Fuoco che soffoca

    Anno DXI
    II mese del sole
    II giorno di Marte

    Drako socchiude gli occhi e si lascia cullare dal silenzio sovrannaturale di quella stanza oscura, Shen è stretto a lui e dorme in tutta calma, mentre un sorriso gli illumina il volto, non sa immaginare cosa stia sognando il bambino in questo momento, ma è da così tanto tempo che Drako non se ne sta calmo e sereno, sospira profondamente dopo aver accarezzato la chioma di Shen e cerca di lasciarsi andare al sonno. Leithien... quel cognome così infausto, quella casata che tanto odia da anni ormai, ogni ricordo legato a quei visi dagli occhi di tenebra è immerso e contornato nell'odio più radicato. Drako ripercorre con la mente eventi passati, la notizia dell'unione di Esperin con Ryuk, gli ha causato un forte turbamento che, ad occhi altrui, probabilmente è esasperato, ma ciò che si annida nei ricordi e nelle consapevolezze celate è tanto forte da superare la ragione a volte. Ryuk, come Lumen sono portatori di sventura e questo lo sa bene l'Ex Dragone, un momento gli sovviene alla mente, qualcosa che mai ha raccontato a Lantis, nè tanto meno a Rickard, qualcosa che ha scelto di far marcire dentro se stesso.



    Drako quel giorno aveva fatto da scorta personale alla Regina, la donna piena dei suoi capricci aveva preteso di recarsi personalmente in una sartoria e di commissionare numerosi e costosi abiti, perché la propria immagine doveva risaltare al meglio su quel trono che, per lei, era impregnato della puzza della defunta Margarete. Dei ladri avevano osservato la scena dalle finestre della sartoria, Lady Lumen non passava di certo inosservata, così, durante il viaggio di ritorno, pensarono bene di tendere un’imboscata, per rapire la futura Regina, che tanto incautamente si era avventurata fuori dalla propria fortezza. A Drako non occorsero poi chissà quali sforzi, per metterli fuori combattimento, sembravano due ladruncoli qualsiasi, privi di magia e totalmente disorganizzati, decise di limitarsi a spaventarli, piuttosto che farli fuori, era comunque certo che il tutto era stato frutto dell’avventatezza dei due e che, con una dimostrazione di forza moderata, non ci avrebbero più provato, quando li vide correre via con il sedere in fiamme, non riuscì a trattenere una risata.
    Era il II mese del Sole e la notte arrivò tardi, l’oscurità avvolgeva ogni cosa ed il silenzio era sovrano lungo i corridoi del castello. Drako al termine di un lungo bagno rigenerante, si stava dirigendo ai propri alloggi pregustando già un sonno ristoratore



    ma varcata la soglia della propria stanza, si accorse di non essere solo.
    “Sei stato molto coraggioso nel salvarmi la vita”



    “L-Lady Lumen, non sono nelle condizioni più consone per poter conversare” Drako aveva spesso avuto visite da parte di ancelle troppo vivaci durante gli anni al Castello, ma la Regina accomodata sul proprio letto non era cosa da far trapelare, così l'uomo chiuse la porta alle proprie spalle
    “Non essere sciocco, non sei più vestito di ora quando ti alleni ed io ti ho osservato svariate volte”



    “Non ho compiuto gesta da eroe oggi, non occorre chissà quanto per spaventare due ladruncoli. Ma vi ringrazio per la visita, ora… vorrei poter riposare, domani…”



    La donna si alzò, mostrando il corpo fasciato da una sottile veste, che ne delineava la lunghezza delle cosce e ne esaltava le curve da donna.


    Si avvicinò sinuosa all’uomo che se ne stava immobile come una statua possente, quasi senza battere occhio e gli poggiò una mano sul petto ancora umido “Ho sempre desiderato vedere come sei senza l’armatura, senza quel metallo pesante che nasconde le linee della tua forza… sentire io stessa quando tu possa essere possente e virile”


    L’uomo ancora immobile, stentava a credere alla scena che si stava svolgendo sotto i propri occhi, ma la mano calda di lei che scivolava lungo il suo braccio, gli fece nascere un brivido che percorse l’intero corpo.
    “Siamo entrambe creature del fuoco, lo sento ardere nelle tue vene, come tu lo senti nelle mie…” Poggiò il corpo al suo, stringendo la presa sulle spalle, per tenerlo a sé maggiormente




    Drako a quelle parole e a quei gesti reagì come la donna mai si sarebbe immaginata: si voltò, la prese saldamente per i polsi e la porto contro il muro con forza, bloccandola
    “Lo sapevo… tu sei come me…”



    L’uomo si avvicinò a lei, premendo ancor più contro il suo corpo e scivolò con il viso all’interno dell’incavo del delicato collo “Il vostro profumo…”



    Lumen, avvertì il fiato caldo accompagnato da quelle poche parole, accarezzarle la pelle e trasalì all’istante. Trattenne quasi il respiro ed inarcò leggermente la schiena, mentre lo avvolgeva con una coscia.



    “… mi disgusta!” Drako alzò lo sguardo colmo di disprezzo e la osservò dritto negl’occhi, solo dopo qualche istante lasciò la presa su quei fragili polsi. “Sono fatto come qualsiasi uomo che indossa un’armatura, ho carne, ossa e sangue, ho anche io pulsioni e fremiti, ho anche io desideri e sì… la lussuria sgomita per avere il controllo spesse volte, ma non mi avrete, né ora, né mai!”



    “Eccolo il tuo fuoco Primo Cavaliere… gli eroi non esistono, ci sono solo occasioni e momenti fortunati. Tu non sei diverso, sei qui perché la fortuna ti ha scelto tra centinaia di soldati, non far si che giungano momenti infausti, solo perché sei troppo gonfio… del tuo onore.”


    Senza aggiungere ulteriori parole, la donna, conservando le movenze sensuali, si diresse alla porta, chiudendola alle proprie spalle.
    Drako, prima di abbandonarsi alle braccia di Morfeo, si sedette sul bordo del letto a riflettere, la fioca luce del lume era la sola compagnia che desiderava quella notte… non gli restava che rifugiarsi nei propri desideri, sperando che il suo unico sogno ricorrente tornasse ad accompagnarlo nel sonno.



    Probabilmente, se quella sera avesse ceduto, la donna avrebbe avuto la sua valida arma da usare contro di lui, ma la lingua di una serpe sa sempre dove insinuarsi e solo dopo poco tempo Drako affrontò il Giudizio.

  8. #48
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Ignis perpetuus et pereat mundus

    Avanza il piede candido in quello spazio indefinito, dove la luce non riesce a penetrare.


    Eppure, la Valmorghuli è perfettamente visibile nella sua completa oscurità.


    E' l'espressione del nulla, del vuoto, dell'indefinito senso dell'eternità delle anime. I tre troni dei saggi sono nitidi e sembrano risplendere di proprio, come fossero un sole all'interno dello spazio vuoto senza pareti. Quando le tre figure eteree, evanescenti, appaiono agli occhi dorati di Lumen, hanno già la conoscenza di cosa si cela nel suo cuore, nella sua anima.


    Sanno già cosa la donna vuole da loro. I tre antichi spiriti conoscono ogni dettaglio, la loro visione è d'insieme, totale, vedono il tempo come una sfera unica su cui si proiettano le ombre dei ricordi. Lumen non è per loro solo ciò che manifesta nel presente: lei è tutto ciò che è stata, che è e che sarà.
    "Ti è stata concessa udienza, Lumen Leithien, Efrem Targaryus ha accettato" tuonano severi dall'alto della loro posizione. Leithien: per loro, Lumen, sarà sempre una Leithien. Leithien non si diventa... Leithien lo si resta per sempre. La fanciulla con il passo leggero dischiude la porta nera oltre la quale sa di vedere a breve l'unico uomo che abbia mai amato. Vorrebbe corrergli incontro, vorrebbe stringersi tra le sue braccia, fuggire con lui, provare ad essere felice, ma sa che non può.


    Sa bene quanto pesa la maledizione del suo cognome. Lo ha sempre saputo. Sul volto di lui il disprezzo di chi è stato ferito, di chi non ne ha compreso il motivo. Di chi ha creduto nell'amore e da questo è stato tradito. "Perchè hai voluto vedermi" dice il ragazzo a muso duro. E' contrariato, non vorrebbe essere lì, eppure, non ha rifiutato. Non ha stracciato la missiva di Mercur. Quella maledetta parte di lui che non riesce a staccarsi da lei: è colpa sua. Lumen respira profondamente, lo guarda con un sorriso tirato, le lacrime pronte a sgorgare. Il cuore è inquieto, combattuto tra il non volersi arrendere e la spietatezza di ciò che probabilmente accadrà. Inesorabilmente. "Ho voluto incontrarti, Efrem, perchè penso che questi siano i miei ultimi giorni su questa terra... mi sembrava d'uopo dirti addio e domandarti perdono per tutto il male che ti ho fatto. Non voglio lasciarti senza darti una spiegazione" risponde sforzando un tono di voce dignitoso. Vorrebbe in realtà urlare che non vuole morire. Lumen non vuole morire: è giovane, ha dei sogni, molti infranti ma alcuni ancora vestiti del manto dell'illusione.


    Vive in un mondo in cui la guerra rende la vita una cosa sacrificabile. Invece, cos'è lei davanti a quei coraggiosi cavalieri pronti a sacrificarsi per ideali più nobili? Una ragazza che non vuole morire. Tutto qua, Lumen non è mai stata altro. "Bene, finalmente qualcuno si è deciso a farti la pelle" replica stizzito, più per rabbia che per convincimento.


    Dentro di lui, la sicurezza che lei stia giocando uno dei suoi schemi tattici, che stia intessendo un'altra tela di intrighi. Efrem pensa che Lumen li seppellirà tutti, scaltra com'è. Eppure, sente che quelle lacrime che ora sgorgano da quei bellissimi occhi in cui in passato ci ha perso il cuore, scintillano di verità. Una morsa inizia a insinuarsi nell'animo del giovane, gli rode lentamente lo stomaco, il cuore ferma la sua corsa, la fronte aggrottata e lo sguardo dritto in quello di lei. Qualcosa si accende negli occhi di Lumen, rabbia, stanchezza. E' stanca di non essere compresa, stanca di essere sola. Almeno lui, almeno Efrem, deve vedere. Deve sapere. Marcia contro di lui, accenna uno schiaffo, avrebbe tanta voglia di darlo.


    Anche a costo di essere rimproverata dai saggi o incenerita all'istante. Non ha più nulla da perdere: ha sempre avuto solo la sua vita ed è per quella che si è battuta con le unghie e con i denti. Nessuno deve permettersi di giudicarla, nemmeno Efrem. Men che mai Efrem. Desiste, però, abbassa la mano e lo guarda torva. "Quando smetterai di fare il bambino? E' per questo tuo aspetto che non sono fuggita con te durante il fidanzamento con Lantis... sei un bambino arrabbiato col mondo che non si rende conto della realtà! Quanto saresti durato, Efrem Targaryus, se a quei tempi fossi fuggita insieme a te, con mio zio, mio padre e mio cugino alle calcagna, che ci avrebbero trovato e trucidato senza pietà! In questo mondo non esiste un luogo in cui nascondersi dai Leithien!" gli urla addosso, con il pianto che si è fatto rabbioso, con il cuore che sanguina veemente. Quella libertà che tanto avrebbe voluto, quel senso pratico che aveva salvato la vita di entrambi: come faceva a non rendersene conto! Efrem le mette le mani da uomo sulle spalle delicate, tremanti, la guarda senza temere la collera. La guarda sicuro, irato, disperato. Rabbioso per quella disperazione soffocata. "Io sarei morto per te, sei tu quella che ha avuto paura. Io non ne avevo, perchè ero con te. A differenza tua, io ti amavo davvero. Ero disposto a perdere qualsiasi cosa, la vita stessa, per difendere il nostro amore. E mi fa rabbia pensare che ho dedicato un sentimento tanto nobile a te, quando ho ferito gente ben più degna di te" le parole come pugnali, come saette rapide e taglienti. Lo guarda disperata, straziata. Gli mette le mani sul viso dolcemente, quel volto tanto amato, tanto desiderato.


    "Odiami, ma almeno sei vivo. Ho preso lo scotto del tuo odio pur di poterti ancora vedere in vita. Non ti avrei mai permesso un sacrificio simile, proprio perchè non me lo merito. Sarebbe stato inutile, sciocco, infantile. Sarebbero stati giorni splendidi, ma poi? Stai facendo la storia di Dohaeris, ti ho impedito di fare una sciocchezza... io ho voluto solo proteggerti" gli dice accorata, con gli occhi che bruciano di pianto.


    Vorrebbe baciarlo, vorrebbe tornare a quei tempi in cui la guardava come un angelo. "Chissà, forse in un altro tempo, saremmo stati felici" gli sussurra chinando il capo. Cerca di fermare le lacrime, ma loro continuano impietose a scendere, a rigare il suo bel viso. Un dolore mai assopito esplode in lui a quelle parole. "Un altro tempo? Questo poteva essere il nostro tempo! Hai solo avuto paura di perdere i tuoi privilegi, le tue ricchezze del cazzo, il tuo castello e la tua fottuta corona! Senza ali non si vola, Lumen, il tuo cognome è senza dubbio una maledizione, ma è anche il tuo alibi... eri fidanzata a Lantis quando ti ho vista con lui... chi ti teneva ferma, chi ti costringeva a farti prendere come una troia da Ryuk!" le grida rimembrando quel giorno, quell'istante in cui le mani di quell'uomo tanto odiato lo aveva sollevato da terra come un fuscello, tenendolo per la gola. Può quasi avvertire ancora quella stretta, quello sguardo di derisione, quei denti da squalo, quegli occhi malvagi e sottili. "Mio padre mi guardava con orgoglio quando mi diceva che Leithien non si diventa... eppure nei suoi occhi v'era anche dell'altro..." inizia a raccontare la bionda, con un sorriso rassegnato sul viso.


  9. #49
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    "Diventerai la fanciulla più bella del Regno e un cavaliere dalla scintillante armatura si innamorerà di te. Sarà di bell'aspetto e gentile, cavalcherà eretto il suo destriero bianco e con il suo coraggio renderà onore alla sua famiglia. Egli ti chiederà in sposa e tu sarai felice, andrai a vivere nel suo castello, che sarà molto più bello di questo e avrai degli splendidi figli che amerai tantissimo. Prego tutti i giorni gli dei che ti concedano di essere felice, Lumen, perchè sei la mia adorata bambina, il sole dei miei giorni di pioggia. Lo stesso sole che vorrei splendesse sempre nella tua vita".
    Mia madre era seduta sempre lì, su quella panchina di pietra circondata dalle rose purpuree del giardino del Castello dei Petali. Io bambina, sei anni appena, con il capo poggiato sul suo grembo mentre lei mi accarezzava i lunghi capelli biondi, in un pomeriggio di tepore primaverile.


    Nella Terra delle Rose era sempre primavera, il clima sempre mite e se qualche volta pioveva, non era mai per far danni, ma le lacrime del cielo erano sempre di gioia, scendevano leggere, solo a bagnare i petali dei fiori che sarebbero stati, dopo, ancora più splendenti. Il profumo nell'aria era delicato, gradevole, rassicurante. Ricordo come il mio cuore batteva lento, placido in quel tempo, a sognare di dame e cavalieri, a sognare del principe che avrei amato e che mi avrebbe trattata come una regina. Ma soprattutto, era l'amore caldo di mia madre a rilassare le membra, a fugare qualsiasi tipo di timore che potesse addensarsi all'orizzonte.
    "Sarà nobile e bello come il mio papà?" domandavo con la mia voce fanciulla, con tutta l'innocenza dei bambini.
    "Certo, Lumen, e non ti lascerà mai sola" mi rispondeva lei, con la carezzevole voce con cui sempre la ricorderò.




    Io la guardavo con gli occhi scintillanti, perchè le credevo, le credevo con ogni fibra del mio essere. Tutto mi pareva dorato e meraviglioso, non avevo ancora gli occhi per distinguere le ombre. Sposare un Leithien non era mai una buona sorte, eppure, mio padre le sembrava affezionato, le portava gioielli, fiori dal ritorno di ogni suo viaggio di morte, tra le fila dei soldati per sterminare qualche tribù oltre i confini o qualche famiglia rivale. I Leithien sono assassini di famiglie ed è proprio questo il soprannome di Lord Gordon Leithien: Signore delle Rose e Sterminatore di clan.




    Qualsiasi uomo avrebbe preferito un maschio, ma mio padre era stato felice del mio arrivo: una femminuccia da viziare, da poter sposare un giorno con qualche altra potente casata. Tutto sommato, eravamo una famiglia felice. Ed era un tripudio di gioia quando gli correvo incontro ed egli mi sollevava in aria, verso il cielo senza nessuna difficoltà, come fossi un fuscello delicato in mani forti e robuste. Mi sorrideva, mio padre, mi diceva quanto fossi diventata ancora più bella durante la sua assenza. La sua rosa più preziosa, questo ero. A volte, ci si dimenticava che fosse un Letihien. Ma lo era... per tutti i demoni dell'Abgruntis se lo era. A volte qualche campagna bellica non era andata bene, o mio zio Lord Tywin Leithien lo aveva rimproverato, umiliato. A volte, con un rovescio colpiva il volto di mia madre, che nemmeno reagiva a quei suoi moti di violenza. Subiva, come le era stato insegnato. Come lei cercava di insegnare a me. "Questo è un mondo di uomini, Lumen, loro hanno molte responsabilità. La donna ha il compito di acquietarli, di renderli sereni, di mostrare loro tutto il calore dell'amore di cui è capace. Possono sembrarti selvaggi e colmi di odio, ma in realtà non smetteranno mai di amarti" mi ripeteva sorridendo, nonostante il livido che spesso le si formava sull'occhio testimoniasse il contrario. Mia madre, come tutte le donne che hanno ricevuto la sua educazione, confondeva l'amore con il bisogno. Un uomo avrà bisogno di una moglie che lo attende a casa, che gli faccia sentire il calore che là fuori non avverte. Il mondo è crudo e spietato, l'uomo ha bisogno di sentirsi umano tra le mura di casa sua. Quando questa necessità cessa, essi smettono di essere umani e diventano come mio cugino Ryuk, come mio zio Tywin, come è oggi mio padre: degli animali, delle belve assetate solo di sangue. E' molto facile incrinare quel bisogno e infatti, il mio mondo di cristallo scintillante andò improvvisamente in frantumi. Mia madre aspettava un bambino, le nutrici erano convinte fosse un maschio e sarebbe nato nel primo mese delle rose ma qualche demone aveva voglia di giocare con noi: nacque settimino. Non dimenticherò mai quella notte. Mio padre era agitato, davanti al camino acceso; le fiamme, nella grande stanza buia, proiettavano sul suo viso ombre terrificanti di spettri.


    Lord Gordon dominava il fuoco, come me, e vederlo in quello stato di furia, con le lingue di fuoco che gli si contorcevano sulla pelle, per me fu davvero spaventoso.


    Mio fratello stava per nascere ed eravamo al primo dell'anno. Ricordo il cuore che mi si fermò nel petto, le membra scosse all'arrivo di mio zio Tywin, che urlava orgoglioso contro mio padre. "Sii fiero, i demoni hanno benedetto la tua famiglia e tuo figlio Axel, che diventerà uno di loro... gioisci Gordon! Avessi avuto io il tuo stesso onore con quell'inetto di Ryuk!" tuonava l'eco della sua voce baritonale, potente, cupa e terrificante come era il suo aspetto.


    Mi nascondevo sempre dietro mio padre quando zio Tywin ci faceva visita: quel suo andare claudicante, quei suoi passi trascinati ma pesanti, prepotenti, come a stuprare la terra ad ogni piede. I suoi occhi sottili e taglienti come quelli di un serpente velenoso, gli stessi che aveva ereditato mio cugino Ryuk, mi scrutavano dall'alto in basso, esprimendomi solo tutto il disprezzo che quell'uomo aveva per ogni cosa che lo circondasse. Vederli quella notte, entrambi alle prese con un discorso che non capivo... non ho mai avuto tanta paura come allora.


    La voce dell'allevatrice risuonò per la stanza, in netto contrasto con ciò di cui discutevano i due uomini. Io, ancora nascosta dietro una colonna, misi una mano sulla bocca per trattenere la felicità: avevo un fratellino, avevo Axel e non sarei stata più sola.




    Avrei giocato con lui, lo avrei curato, e insieme a nostra madre avremmo giocato nel giardino delle Rose e lui sarebbe diventato forte come il nostro papà, coraggioso e spietato come ogni Leithien. Corsi verso la camera di mia madre, aspettandomi di sentire le sue risa di gioia, perchè tanto aveva atteso questo figlio. Tanto avevamo fantasticato per lui. Ma ascoltai solo il suo pianto, il suo dolore, la sua disperazione. Non capivo, non comprendevo. Tutti dovevamo essere felici, era un momento di festa, perchè tutti avevano il volto del lutto? Tutti tranne mio zio Tywin. Mio padre mi adocchiò, mi guardò severo, mi ordinò di tornare in camera. Osai domandargli ma lui mi minacciò con il suo fuoco. Non mi aveva mai rivolto quegli occhi, mai un gesto come quello.


    Pietrificata e triste, mi rifugiai nella mia stanza. Piansi, non sapevo nemmeno il perchè stessi piangendo, ma il mio cuore traboccava solo di lacrime. Lacrime di una gioia che mi era stata inspiegabilmente sottratta. Un lampo, poi, mi passò per la mente: forse mia madre stava male. Angosciata, mi avvicinai alla porta smaltata di bianco della mia camera, la aprii di poco, uno spiraglio, giusto per capire, per sentire, per vedere. Ma uno stivale nero di pelle la fece spalancare del tutto. Ryuk entrò nella mia stanza con il suo solito modo spocchioso, prepotente. Era alto e già possente, lo temevo, sulla sua faccia era sempre dipinta l'espressione di chi sta per farti del male. "Oh ma stai piangendo, principessina? Sai che ti è nato un bel fratellino che domina il fuoco? Domani lo sacrificheranno all'Abgruntis, non avrai nemmeno la possibilità di vederlo... mio padre non vede l'ora di trafiggere il suo gracile corpicino con la sua spada sacrificale... sicuramente, riuscirà a spaccarlo in due parti" mi disse sadico, con tutta la cattiveria che aveva in corpo.


    Gridai qualcosa, ne ho un vago ricordo.


  10. #50
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Se ripenso a quel giorno, ho solo immagini dell'Abgruntis nella mente, non mi ci avevano mai portato prima, restai affascinata dal grande albero nero e rosso sull'altare ma ero terrorizzata dalle statue, che mi parevano quasi vive nel loro terrificante aspetto.


    Mia madre sorreggeva il bambino in fasce che io riuscii a scorgere solo per qualche istante.


    Era bello, ricordo i suoi occhi dorati. Forse un gioco del cuore, ma voglio credere che mi sorrise. Lo avrei amato, lo so. Quando la vidi salire le scale per l'altare, raggiungere mio zio, mi stavano strappando l'amore che avrei dovuto avere.


    Non ero stata lasciata libera nemmeno di amare mio fratello. Questo significa essere un Leithien. Mi strinsi all'armatura di mio padre e lui mi scostò, dicendomi: "Guarda e sii orgogliosa, oggi i demoni benedicono la nostra famiglia". Ma io sentivo solo il pianto straziante del bambino riempire l'aria, vedevo solo il sangue di mio fratello bagnare la spada di Tywin, gli occhi freddi e distaccati di mia madre, che iniziava già il suo percorso nella follia che la investì di lì a breve. Non riuscii proprio ad essere fiera, orgogliosa e gioiosa. Mi sembrò solo tutto inutile, crudelmente gratuito, insensatamente spietato. Fissai ogni azione di quel momento, la impressi nella mente come lo stilo calca sulla cera.


    Poi, d'un tratto, una mano gentile mi si posò sulla schiena. "Asciuga le lacrime, il tuo fratellino non sta più soffrendo" mi disse la voce calda e carezzevole della Regina Margarete. Non mi ero nemmeno accorta di stare piangendo.


    Alzai lo sguardo, gli occhi mi bruciavano e la vedevo confusa, sfocata per le lacrime. Me le asciugò, si piegò alla mia altezza. Il suo viso era radioso nella sua perfezione, i tratti gentili che lasciavano trasparire una natura gentile. Occhi azzurri come il cielo sereno, labbra rosee di un sorriso che scalda il cuore. "Una bimba bella come te non dovrebbe mai piangere" mi sorrise e io avrei voluto abbracciarla, sfogare tutto il dolore che provavo. Ma mio padre mi strattonò via. "Lord Gordon, non era necessario portare qui vostra figlia" rimproverò verso di lui. "Con tutto il rispetto, Maestà, una Raeghar non dovrebbe immischiarsi negli affari dei Leithien" replicò brusco, portandomi via.


    Mio padre partì il giorno dopo per chissà dove, lasciandomi sola con mia madre che restava tutto il giorno chiusa nei suoi appartamenti. La casa, che prima mi sembrava così bella e maestosa, ora mi pareva solo vuota. Un guscio vuoto, senza più quel calore, quell'amore che avvertivo. La luce del sole che brillava attraverso le vetrate preziose del palazzo, l'avvertivo come uno scherno. Dentro di me c'era solo il buio della sofferenza e quei raggi caldi e vivaci erano lì solo per prendersi gioco di me. Passarono i giorni nell'angoscia per la salute di mia madre, non mi aveva più parlato dalla notte del parto.


    Lei che era sempre accanto a me, ora era imprigionata nel suo dolore e io, troppo bambina per comprendere, mi ritrovavo sola, senza la sua guida. Cercai di renderla contenta, di riaccendere il suo sorriso portandole delle rose: le vide senza guardarle, con gli occhi spenti di chi ormai non ha appigli per vivere. Io stessa osservai quei fiori con gli stessi occhi, non erano ancora appassiti quando scoprii il corpo di mia madre che pendeva impiccato nella sua stanza.


    Era ipnotico l'ondeggiare di quello scrigno senz'anima che era ora la mia mamma, la osservai con gli occhi vitrei di chi non comprende e non vuole capire. Di chi non vuole vedere, come a scendere un velo sulla vista, una campana di piombo sul cuore. La sua voce, le sue carezze, il suo sorriso: tutto esalato via con il suo respiro, con l'ultimo battito del cuore. Chissà se avrà pensato a me anche solo per un istante. Mi piace credere che non l'abbia fatto, che non mi avrebbe mai lasciata. Restai davvero sola. Una solitudine che urlava dentro di me, che come un'eco, rimbalzava sulle pareti della mia anima come in una caverna oscura, come un antro buio di cui non si vede bene il perimetro. La morte di mia madre fu tragica non solo in sè, ma anche per le nefaste conseguenze che riportò nella mia vita. Pochi giorni dopo, mio padre ordinò il mio trasferimento al Castello Nero, la residenza di Lord Tywin. Non voleva più occuparsi di me, voleva cancellare tutto ciò che era stato, compresa la mia esistenza. Così, in effetti, fece. Il Castello dei Petali andò abbandonato e lui, cavaliere senza fissa dimora, dimenticò di avere una famiglia. Lo odiai per questo. Lo odiai per avermi lasciata in un posto così orribile, abitato solo da due mostri, soldati e bruti a pochi passi. Lo odiai per quel freddo pungente dei Monti Adamantem, per quella neve che cadeva fitta come proiettili di ghiaccio. Oggi, invece, l'esperienza mi ha resa più magnanima con lui: un Leithien che ha amato la sua famiglia al punto tale da rifiutare la sua distruzione. Lord Gordon Leithien è forse l'unico Leithien umano che sia mai esistito. E poi, anche lui doveva fare i conti con la nostra maledizione. Ho pena, oggi, di tutti i miei parenti, improntati da piccoli ad una malvagità estrema votata alla mera sopravvivenza. Ryuk può capirlo bene, cercò di farlo comprendere anche a me. I miei passi piccolini nell'enorme sala vuota e spartana del Castello Nero verso il Gran Maestro degli Stregoni erano incerti, lo sguardo basso, i capelli raccolti, un vestitino nero e semplice addosso. Quelle mura somigliavano così tanto alla mia anima, i suoi alti soffitti, le mura in pietra grezza, l'alto camino adornato di gargoyles. Mio zio mi guardò con aria di sufficienza, quel giorno, mi disse che avrei vissuto lì e che sarei stata utile alla causa della casata. Solo per quello ero viva e si sarebbe occupato di me.




    Non resistetti a lungo... un paio d'anni, forse meno, è passato così tanto tempo che non lo ricordo di preciso. Mi venne come un fulmine, mentre ricamavo. La septa mi insegnava e io mi fermai di colpo, come colta da una pugnalata al cuore. Le sorrisi, lasciai il mio lavoro... un unicorno, stavo ricamando un unicorno. Salii la scala a chiocciola, quella più irta che portava alla torre più alta del castello. Passi lenti, quasi in uno stato di dormiveglia, la pietra grezza scorreva sotto di me in un tempo che mi sembrò fermo, immobile. Arrivai in cima, mi arrampicai in una feritoia tra due merlature: volevo gettarmi di sotto.


    Non piangevo nemmeno, i pensieri erano lucidi, determinati. Vivere per cosa? Continuare la tortura dei ricordi, affrontare tutto quel peso, quella tristezza, quell'angoscia per che cosa? Ero solo una bambina, dieci anni appena, spalle troppo fragili per sopportare un peso che nemmeno un adulto forte potrebbe sorreggere. Senza via di scampo, senza via di fuga, in gabbia per tutta la vita, a quale senso? Era quello il Leitmotiv della mia intera esistenza? Domande che oggi hanno ancora rassegnate risposte. Mi ci sarei dovuta gettare davvero, quel giorno, è stato forse il mio più grande errore. Non lo feci. Ryuk mi fermò. Per Raiden, non mi fermò nel senso classico del termine. Semplicemente, cinicamente, mi ragguagliò su cosa mi sarebbe potuto succedere se non fossi morta sul colpo. "Ho visto persone lanciarsi dallo stesso punto e non morire subito una volta caduti al suolo, li ho visti agonizzare, li ho visti annegare nel proprio sangue, li ho visti con le ossa fracassate ed arti staccati dal corpo. Se credi che la parte più difficile e dolorosa sia lanciarsi, ti sbagli di grosso, ti attende una lunga agonia... morirai lentamente" mi disse con quel sorriso beffardo che si era marchiato a fuoco sulla faccia.


    Morire lentamente... scelsi di vivere. Vivere a tutti i costi, calpestando tutto e tutti, rabbiosamente mi dissi che sarei sopravvissuta, che sarei stata più forte. Anche quella notte, quando a dodici anni Ryuk abusò di me, mi martellavano quelle parole nella testa, mentre mi teneva ferme le mani e mi tappava la bocca, quando cercavo di dimenarmi con tutta la forza che avevo in corpo.






    Anche quando gli sputai in un occhio e lui mi rivolse una sguaiata risata. Sopravvivere, non ho fatto altro che questo in tutta la mia vita. Distesa nella neve insanguinata, al freddo, abbandonata dopo essere stata usata come il più inutile degli oggetti... ma la sua violenza non si fermò.






    Quando, terrorizzata e ingenua, mi confidai con mia nonna di essere incinta, perchè il maiale aveva atteso il mio primo ciclo di luna e fatto i suoi calcoli, tanto per mostrarmi che significava divenire donna, lei mi diede una pozione per abortire.


    L'infame donna lo disse anche a Ryuk, che mi prese a calci nella pancia fino a ridurmi in fin di vita.


    "Tanto per essere sicuro" mi disse la bestia con sarcasmo.






    Chiunque sarebbe morto, ma non io. Io sono una sopravvissuta, non è facile farmi fuori. Perchè è meglio sopravvivere che morire lentamente. Bellezza mortale è stato il simbolo di tutto questo: uccisi mia nonna, quella vecchia strega carica d'odio, anche per dimostrare a mio zio Tywin che ero utile al clan, così da restare viva, così da avere protezione.


    Efrem Targaryus: in tutta la mia esistenza, sei stata l'unica cosa che non ho fatto per mera sopravvivenza.


 

 
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