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  1. #81
    L'avatar di mary24781
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    “Lantis Raeghar, possiedi un cognome che non ti spetta, questa guerra è scoppiata a causa dei tuoi soprusi. Mi hai ingiustamente trascinata innanzi al Giudizio con false accuse. Ammetti la tua colpa?” L’uomo tentenna restando col capo chino “Ammetti la tua colpa, Lantis?”



    Incalza la donna e, a questo ennesimo richiamo, l’uomo alza il capo con gli occhi rossi e carichi di lacrime che ormai non ha più intenzione di trattenere “E’ così”


    risponde lui con voce strozzata ed a questa vista, Reneè distoglie lo sguardo, cercando di non rispondere a quegl’ occhi, che la guardano in quel modo, con le stesse lacrime. “Efrem Targaryus e Lantis… Raeghar” non è ancora il momento di parlare di quel cognome che non gli appartiene, ogni cosa avrà il suo tempo. Reneè non distoglie la vista dal fratello, il dolore del tradimento è troppo forte, troppo doloroso, l'ultima cosa che si sarebbe aspettata al mondo.


    “Vi condanno alle carceri, non vi sarà Giudizio per voi né per i vostri seguaci ed alleati, la guerra ha sentenziato da sé” E con un gesto della mano diretto punta il dito sui due uomini, gesto al quale rispondono immediatamente le guardie reali.


    Tutti i ribelli e tutti i reali vengono condannati a scontare le proprie colpe dietro le sbarre, ogni uomo o donna che sia, al di là degli affetti al di là delle amicizie. Efrem viene scortato lontano dagli altri, così come Lantis, due celle isolate da ogni persona ed ogni cosa.





    Reneè si solleva dal proprio posto ed indica i reietti affinché la raggiungano “Onore e gloria ai guerrieri reietti, ognuno di voi verrà ricompensato adeguatamente per gli sforzi compiuti. Vi ho guidati con l'aspetto di un uomo, col nome di Drako Kalisi, il cognome di un casata decaduta, di un umile fabbro, che mi ha permesso di arrivare dove sono ora."





    "Ma questo è il mio vero volto, Reneè è il mio vero nome. Ysotta Martell, ex comandante delle guardie reali è mia madre ed il Re Rickard Raeghar mio padre, lui non ha mai saputo della mia esistenza fino a quando ho deciso di svelarmi la notte stessa in cui gli dei dell'Elisio l'hanno chiamato nel loro mondo. Benor Targaryus, padre di Efrem, mi ha cresciuta come fossi sua figlia ed io l'ho amato come fosse mio padre. Ma vi spiegherò ogni cosa a tempo debito.”


    Si sofferma poi su Esperin, non riesce a reggere il suo sguardo, forse è ancor più difficile che con Lantis. Passa oltre ed incrocia gli occhi di Ryuk, poi quelli di Dahmer “Ryuk Leithien e Dahmer Dreth un regno giusto non può essere costruito su fondamenta marce ed i vostri soprusi non resteranno impuniti, tuttavia… riconosco il vostro legame alla causa ed il vostro grande contributo alla vittoria che ci vede vittoriosi qui, ora."


    "Per tali motivi vi condanno all’incarcerazione per un tempo determinato che devo ancora valutare. Questo è quanto”



    Esperin si rifiuta, stringe il marito a sé, ma Ryuk sa che la decisione è quella giusta, le bacia la fronte e le accarezza la pancia, prima di seguire i soldati assieme a Dahmer



    Entrambi i guerrieri hanno il sorriso sul volto, al di là della condanna, al di là di ogni cosa, quando sarà tempo di lasciare le carceri saranno uomini nuovi con un futuro come lo hanno sempre desiderato.




    Qui muore il vecchio regno, qui si spegne la vecchia Dohaeris, dalle macerie prenderà vita una nuova epoca.
    Si vis Pacem para bellum, per una Dohaeris finalmente in pace.


  2. #82
    GdR Master L'avatar di Eclisse84
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    Dopo alcuni giorni di reggenza, Reneè scelse di abdicare in favore di Esperin, ma quest’ultima rifiutò categoricamente il ruolo di Regina, perché ancora provata dall'incarcerazione del marito, ancora rancorosa nei riguardi della propria sorella e desiderosa di iniziare la propria nuova vita lontano dal trono, assieme a Ryuk ed al figlio che presto sarebbe venuto alla luce.



    Reneè decise allora di conservare il proprio ruolo e di Regnare lei stessa su Dohaeris, quel trono non le sembrava poi così inospitale ed era ben voluta da tutto il popolo. I vari possedimenti degli sconfitti sono stati confiscati e ridistribuiti a seconda di ciò che la politica, l’economia e gli accordi imponevano.




    Sei mesi dopo

    Dal giorno dell’assalto al Castello sono cambiate molte cose a Doaheris, non solo il regno sta tornando lentamente agli albori, ma il mondo della magia ha subito una svolta decisiva. L’intervento di Shen sulla vita della propria madre ha alterato il corso degli eventi, riportare indietro un’anima strappata al proprio corpo richiede l’impiego di una magia potente, forse la più forte di tutte, ma l’ausilio delle proprie forze non sarebbero bastate.


    Il piccolo bambino ha il dono più grande che gli dei abbiano mai concesso: la capacità di assorbire e fare propri i poteri altrui, qualcosa che solo un prescelto può fare, colui del quale narra la profezia, che racchiude in sé le tre linee di sangue divine ed il dono dei Draghi.Reneè, da parte Raeghar discendenti della dea Saraswarty, da parte Martel i quali traggono origine dai Siamesi, col fuoco degli antichi draghi nelle vene, e Lantis, figlio diretto del dio Raiden, hanno generato colui che ha il dono del tutto e del niente, l’unico vero Deus Ex Machina.


    Quel giorno, Shen, non si limitò a far sua la magia di tutti i presenti, ma attinse alle energie di ogni essere vivente, di ogni mago, stregone o elfo al quale era collegato in parte per razza ed elemento. Quella stessa magia non è più tornata in possesso di coloro ai quali è stata sottratta, gran parte di essa è andata ormai persa e ciò che ne è restato si sta esaurendo rapidamente.


    Assieme ai poteri, assieme agli elementi, anche il vincolo con gli Dei è andato perso, la luce dei maghi, l’oscurità degli stregoni ed il legame degli elfi con la flora e la fauna. Quelli che si distinguevano per razza, ben presto, saranno uniti dall’essere semplicemente esseri umani: uomini e donne.


    I Glados persero la loro magia, si svuotarono, lasciando solo un semplice varco



    Il portale creato da Shen, quella rottura che gli permise di uscire dalla zona neutra, svanì nel nulla, portando con sè ogni cosa: quel luogo sospeso nel tempo, si dissolse nel buio più oscuro, quella prigione fatta di nulla aprì i propri cancelli, liberando le anime dei tre spiriti, Elanor, Daereon ed Irith furono finalmente liberi di riposare, portando con sè Mercur, dei sorrisi illuminarono i loro volti, che mai parvero tanto corporei, tanto veri e sereni.




    Tutti ormai conoscono la storia di Reneè, la giovane donna ha diffuso la verità, ha raccontato della sua vita e del proprio essere mutevole, della capacità di potersi trasformare nella propria controparte maschile, dono al quale non ha più fatto ricorso e che ormai andrà perso assieme al resto della magia. Si conosce la verità sulla ribellione di Efrem, della sua infanzia del dolore subito, si conosce la radice della ribellione, così come la storia di Lantis, figlio di Raiden e di Christabel Blackfire, cresciuto dalla propria sorella come fosse suo all’insaputa del marito Rickard. Si conosce la verità su Shen, figlio di Reneè e di Lantis, riconosciuto dallo stesso, pur essendo ancor incarcerato. Reneè ha scelto di conservare i propri cognomi e di acquisire quello di Rickard: Targaryus, Kalisi, Raeghar, tre uomini che le hanno fatto da padre in tre modi diversi, nessuno meno importante dell'altro.


    Dahmer e Ryuk vengono liberati, quest’ultimo rinuncia al proprio casato, lasciando ogni avere al casato Raeghar.



    Circa un anno dopo…
    Dopo attente riflessioni Reneè decide che è il tempo che ognuno torni alla propria vita, per quanto il periodo di carcere sia stato breve, la guerra ha irrimediabilmente marchiato l’animo di ognuno, una punizione che anni di prigione non riuscirebbero ad infliggere.



    Col capo alto adornato dalla corona e lo sguardo fiero, raccoglie il mazzo di chiavi e si avvicina ad ogni cella tranne quelle di Efrem e Lantis…



    “Siete liberi di andare…”

  3. #83
    Master caotico L'avatar di SimsKingdom
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Diamo il via agli epiloghi personali

    i vostri personaggi hanno perso ogni legame magico, le armi non sono andate perse, ognuno ritrova la propria accanto a sè, quando si risveglia nello spiazzale. Se ne necessitate della presenza della magia nei vostri epiloghi, contattate un master.

    In questo Download trovate le carceri, le vostre celle si trovano nel piano interrato, le due al primo piano sono di Lantis ed Efrem

    Tenete conto che tutti i coinvolti nella guerra vengono incarcerati, non solo i pg delle fazioni ribelli e reali, ma anche i png e le famiglie a loro direttamente collegati. Per i vari accordi politici, economici, etc, rispettate i legami con i vincitori, se necessitate di chiarimenti o altro, contattate un master

    Postate i vostri epiloghi nella sezione ministorie, se non avete un vostro personale spazio, apritelo senza problemi anche solo per questo racconto. Potete accordare e postare assieme chi preferite in un unico topic. Esclusivamente per quanto riguarda gli epiloghi di Dem, non ci sono i paletti riguardanti il limite di foto e di capitoli specificati nel regolamento di ministorie, ma per quanto riguarda i capitoli, appunto, cercate di limitarvi, altrimenti diventa un diario.

    Anche i Png avranno epiloghi personali, dove spiegheremo cosa è rimasto in sospeso, ma verranno postati in Story.

    _______________

    I master ringraziano i giocatori tutti, anche chi non è giunto alla fine, perché una storia non è nulla senza i suoi protagonisti, voi siete stati i veri artefici di questo gioco.
    Due anni di Deus Ex Machina che non dimenticheremo mai.

    Grazie di cuore

    Eclisse84, mary24781, SimsKingdom

    ____________________

    Fine.

  4. #84
    L'avatar di mary24781
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Epilogo di Lantis (prima parte) - Una mano nel buio

    I raggi del sole filtrano dalle feritoie tra le sbarre della piccola finestrella della cella in cui sono rinchiuso da... non ricordo nemmeno quanto. Forse qualche giorno. E' come se il tempo si fosse fermato, come se l'altalenarsi della luce e della notte da quella finestra non avesse nessuna importanza.




    Quella scena... è sempre davanti agli occhi, impressa nella mente che si ripete in un circolo eterno, ogni volta sentendone tutto il dolore, la sorpresa, la confusione. Potrei affermare di essere qui seduto, gettato su questa branda con la schiena china e il capo basso, che fissa il pavimento, da anni. Ma, allo stesso tempo, come se la fine della guerra fosse avvenuta poco minuti fa. Piego ancora di più la schiena e mi copro gli occhi con la mano, lasciando l'altra a penzoloni, me li stropiccio come a voler lavare via quelle immagini, quelle menzogne e quei silenzi che mi sono sempre stati raccontati.




    Qualcuno è mai stato quello che sembrava per me? Quella donna che mi ha cresciuto come un figlio, quel padre che non era mio padre, quella sorella che dovrebbe essere in realtà mia cugina. Quell'amico che... non riesco ancora a razionalizzare questa cosa. Forse, non ci riuscirò mai. Reneè, Drako: come se uno di loro due non fosse mai esistito, come se fosse sparito nel nulla, lasciandomi un vuoto che non riesco a comprendere. Mi guardo i palmi delle mani: non lo sento più. Non sento più il fulmine formicolare sotto la pelle. Con la mia magia, avrei potuto distruggere ogni cosa qui attorno, non di certo quattro mura di pietra sarebbero riuscite a trattenermi. Ma anche se potessi ancora evocare il mio scudo, o la mia ira di Zeus... dove potrei andare? Cosa potrei mai fare? Sono un uomo... finito. Dopo tutto quello che ho fatto... mi condanneranno a morte? Penso alla questione ancora al plurale.




    Rileggo nella mente l'ultima missiva di Reneè, quelle ultime parole che mi ha scritto. Incrocio le dita delle mani dietro la testa, così da sorreggerla. Ha senso domandarmi queste cose? Probabilmente, la decisione sulla mia sorte non la prenderà nemmeno lei e in fondo... di morire poco mi importa. Raiden mi ha messo al mondo per disseminare caos e distruzione ed è quello che ho fatto. Involontariamente, io... io volevo avere tutto sotto controllo, volevo... no, ad un certo punto dell'ordine non me n'è fregato più niente. In tutta questa notte, quella dannata luce rossa, però, brilla ancora. Io... come ho potuto farle del male? Avrei distrutto senza remore ogni alito di vita attorno a me, ma lei... Reneè... non avrei mai potuto torcerle un capello. Il suo viso quando l'ho infilzata, la sua espressione di dolore, di sorpresa... la sua pelle che diventa bianca, quel corpo che tanto volevo stringere a me diventare cadavere... per gli Dei come ho potuto fare tutto questo? E come ha potuto lei mentirmi per tutti questi anni? Quel bambino, il piccolo che ci ha tolto tutti i poteri... mio figlio ha i miei occhi.




    Un rumore viene dal chiavistello della porta alle mie spalle. Reneè è bellissima nel suo abito azzurrino, con i capelli rossi che, fluenti e leggiadri, ricadono sulle sue candide spalle. Mi guarda severamente, la stessa espressione di Drako, la sua stessa delusione.




    Non reggo subito il suo sguardo, così mi alzo in piedi e mi volto vero la feritoia della cella, dandole le spalle. Torno di fronte a lei solo dopo qualche istante, cercando in me tutta la forza per affrontarla. "Se tu non mi avessi mentito... io non ti avrei mai fatto del male" le dico serio, con la voce bassa. Non è una giustificazione, perchè Drako, chiunque esso fosse, era un fratello per me e io l'ho condannato a morte e tradito."Avevo il diritto di conoscere e crescere mio figlio, no?" la incalzo, come se focalizzando le sue colpe ci si potesse dimenticare delle mie.




    "Come io avevo il diritto di crescere con mia madre, come avrei avuto il diritto di mostrarmi a mio padre, di vivere come sono. No, Lantis, la verità non è sempre un bene e tu... tu non eri più lo stesso" mi risponde rompendo gli indugi. E' severa, ma la sua voce trema.




    Tutto sommato, come la mia. "Io... io non sapevo nulla di quello che ha ordito mia ma... Margarete" dico sconfitto, abbassando lo sguardo. "Cosa è stata la mia vita se non un inganno? La mia famiglia, la felicità in cui sono cresciuto... ora sembra tutto così evanescente" dico abbandonandomi sulla panca della cella, con la schiena piegata e le mani a reggere il capo. Margarete era per me una luce, mia madre... sì perchè nonostante tutto resterà sempre mia madre. Così onesta, così retta e giusta. Che valenza ha ora quell'angelo di pietra scolpito alla Torre?




    "Se potessi ridarti tua madre, lo farei... ti darei qualsiasi cosa se potessi... ti avrei dato qualsiasi cosa" farfuglio mentre cerco di sostenere i suoi occhi. Ora sì, in questa penombra, brillano come quelli di Rickard, con la stessa luce, lo stesso chiarore. La stessa trasparenza. "Non puoi, neanche gli dei avrebbero potuto e credimi, li ho pregati ogni notte. Spero che questo tempo di isolamento ti rischiari la mente, Figlio di Raiden" ribatte con cipiglio. E proprio mentre sta per uscire, sbuca timido da dietro la sua gonna il faccino di Shen. Mi guarda intimorito, con gli occhi spauriti di un bambino che conosce bene quali siano le bestialità di suo padre. Quegl'occhi così simili ai miei, mi osservano come uno specchio in cui posso vedere riflessa la mia paura, il mio tormento.




    Cosa sono i figli, se non il rifrangersi di ciò che diamo loro? D'istinto allungo una mano, ma lui veloce e furtivo segue la madre al di là delle sbarre. Riporto la mano verso il basso, curvando la schiena e cadendo sulle ginocchia: non ho nemmeno la forza di sorridergli. Dal suo sguardo arriva il mio giudizio, la sentenza delle mie colpe. Gli adulti possono razionalizzare ogni cosa, possono esaminarla e analizzarla nei dettagli ma i bambini, loro soltanto ti mettono davanti alla cruda verità, quella spicciola e senza i fronzoli degli alibi.




    Reneè lo accarezza sul capo, perdendo le sue dita affusolate nei suoi ricci rosso fuoco ed è straziante, straziante la mia impotenza a distruggere questo muro tra me e lui. Tra me e loro. Un muro che, ora, sono cosciente di chi l'ha costruito: non Reneè che mi ha nascosto la sua esistenza, ma io, io con le mie azioni. Il mio sangue scorre nelle sue vene, il mio cruccio sul viso. I miei occhi bruciano, come se le lacrime fossero il sangue che sgorga dalle ferite della mia anima.




    La mia testa si arrende davanti ai peccati che il viso innocente di Shen mi mostra, ma lo rialzo un istante dopo, quando noto che stende la sua manina verso di me. Una bianca e pallida manina nel buio della cella, che cerca di raggiungere il cuore della notte.




    Stendo il mio braccio e prendo la sua nella mia e finalmente trovo la forza di sorridergli.




    "Andrà tutto bene, papà" mi sussurra con la vocina gentile. Mi sorride anche lui per poi diventare triste, ma la paura sembra ormai un'ombra di nube sul volto.




    Corre, poi, verso sua madre, corre via ma so che tornerà: con quelle parole ha seminato in me la speranza di poter ritrovare la mia luce. Una luce che non dipende da qualcuno ma solo da me stesso. Sono il Figlio di Raiden, ma ora senza la magia non ha nessuna importanza. Sono un uomo come tutti gli altri, con un'anima come tutti gli altri. Per Reneè, per Shen, per me stesso... io devo essere quell'uomo.

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  5. #85
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Epilogo di Reneè - Prima Parte

    Questa guerra è vinta, eppure mi sento come se avessi perso ogni cosa. Avevo delle certezze, come molti avevano le proprie, ma se mi avessero chiesto di mettere la mano sul fuoco al riguardo di un gesto simile di Efrem, l’avrei persa, mai e poi mai avrei creduto che mio fratello potesse spingersi così oltre. Lantis, da lui me lo sarei aspettata, è da lungo tempo che ormai lo guardo con occhi diversi, lo vedo per quello che è diventato, ho sofferto, mi sono annientata io stessa, ma ora basta, ora che tutto è stato svelato, mi riprendo la mia vita.


    Nel momento in cui ho condannato Ryuk, sono stata cosciente di aver perso anche Esperin, l’ho letto nei suoi occhi, urlavano di rabbia, di rancore, come se non bastasse l’aver scoperto la mia reale identità in quel modo. Cammino per i corridoi del castello con il capo alto, conosco ogni suo meandro alla perfezione, è casa mia, lo è sempre stata. Quando arrivo alla pesante porta di legno scura, esito qualche istante prima di varcarne la soglia, Shen è con me, percepisce il mio stato d’animo, non c’è bisogno di magia, lui mi conosce, ha sempre saputo chi fosse sua madre, ha sempre saputo cosa mi spingesse ad andare avanti, averlo finalmente al mio fianco, senza dovermi recare dai saggi, è la più grande conquista alla quale potessi aspirare, la mia unica gioia personale. Ci troviamo nella stanza di mio padre, mio padre… non lo avevo mai identificato in questo modo neanche nei pensieri


    porto gli occhi sul talamo dove l’ho visto morente, dove gli ho raccontato ogni cosa, sento un peso farsi largo al centro del petto, non l’ho mai potuto piangere come si deve, come una figlia dovrebbe ed è quello che vorrei fare ora. Mi siedo sulle federe rosse ed oro e porto una mano sul cuscino, sono dal suo lato, non quello dove dormiva Margarete, non lo stesso dove ha dormito anche Lumen. Passo le dita sulla stoffa, è morbida, sento il suono ovattato della seta al passaggio della mano ed ancora quel peso si espande arrivando alla gola.


    Shen si avvicina a me, mi guarda negli occhi e mi sorride, non riesco più a trattenermi, crollo…


    crollo finalmente, mi lascio andare ad un pianto liberatorio, ad uno sfogo che riesco a concedermi dopo lungo tempo, mi sentirò meglio tra un po’ di tempo.



    Sono abituata a tenermi ogni cosa per me, a trattenere le emozioni, quelle rare volte alle quali ho ceduto, non ne è venuto fuori mai nulla di buono, anche se ripeterei ogni cosa pur di avere mio figlio. Le discussioni con Esperin sono all’ordine del giorno, almeno quando tento di avvicinarmi a lei e spiegarle ogni cosa, non conosce la natura di Lantis, non sa ancora che non è suo fratello, neanche il mio… no, anche se io stessa l’ho creduto per troppo tempo e mi sono maledetta da sola per ciò che sentivo per lui.


    La corona sul mio capo non mi abbandona, Esperin non ha intenzione di indossarla, il suo rifiuto è categorico ed io non ho potuto fare altro che prendere il posto che mi spetta dopo la vittoria dei reietti, per il sangue che mi scorre nelle vene e perché, tutto sommato, conosco cosa implica la gestione di un regno con tutte le sue varianti e complicanze, dovrò avvalermi di consiglieri, qualcuno del quale mi fidi o che sia giusto per lo scopo che ho in mente: il popolo non sarà più solo, i regni limitrofi potranno contare su di un forte alleato e la nobiltà conserverà i propri privilegi, ma con la giusta collaborazione e sotto controllo.

    Paradossalmente ho scelto di incrociare gli occhi di Lantis, ma non quelli di Efrem, ho chiesto ai medici di corte di visitarlo e mi hanno riferito che il suo stato di salute è in netto miglioramento, solo dopo un mese mi son fatta forza ed ho varcato la soglia del luogo del suo isolamento. Era calmo seduto sulla sedia a guardare verso l’alta feritoia nel muro della cella, chissà a cosa stava pensando, lui che è sempre stato uno spirito libero, ha sempre rifiutato ogni vincolo, ogni catena, in quell’istante probabilmente stava proiettando se stesso altrove, lontano da quelle sbarre, sotto ad un cielo aperto, libero.


    Non ho avuto il coraggio di dirgli nulla, perché sì, di coraggio si trattava… tra tutte le persone che ho deluso, lui è sempre rimasto il mio più grande tormento, nonostante tutto, nonostante il colpo alle spalle ed il tradimento, io stessa l’ho tradito e l’ho lasciato solo, pensando scioccamente di sostituirmi con la presenza di Drako.


    Efrem mi guardò per qualche istante, il suo sguardo era vuoto, per la prima volta non riuscivo a leggere niente nell’espressione del suo viso, perché non ve n’era traccia o semplicemente perché il nostro legame era spezzato, un colpo da parte mia ed un colpo da parte sua.




    Alcuna parola ruppe il silenzio per diverso tempo, lui tornò alla propria libertà con la mente, riportando lo sguardo su quella feritoia ed io uscii dalla cella, così com’ero entrata.




  6. #86
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story



    E’ trascorso quasi un anno dalla fine della guerra, ogni cosa pare aver raggiunto un equilibrio, l’economia è florida come non mai, il popolo mostra il suo volto migliore, ho offerto loro garanzie sostentamento ed una buona fetta dei diamanti dell’Adamantem è stata investita per risanare i debiti e ridare dignità ad ogni singolo abitante di Dohaeris, le cure mediche ora sono alla portata di tutti grazie alla fondazione di una clinica dei medici Elric e Blackheart, le tasse sono drasticamente diminuite e sono state edificate alcune scuole in modo che l’istruzione non sia più qualcosa riservato alla nobiltà. Ho scelto il mio primo Cavaliere, un soldato di corte che si è sempre distinto per il proprio coraggio e bontà d’animo, ma gli ho evitato la legge del celibato, da questo regno a quelli che verranno, non sarà più vietato congiungersi in matrimonio con questo titolo, mi sono sempre ripromessa che sarebbe stata la prima cosa che avrei cambiato. Mi alleno spesso, anzi, mi diverte rivestire i panni del Comandante e misurarmi con i soldati, anche se non possiedo più i miei poteri, il fuoco dei draghi, me la cavo ancora piuttosto bene e mi faccio rispettare oltre la corona che indosso. Nello spiazzale antistante l’ingresso al Castello, proprio dove la mia identità venne svelata avanti gli occhi dei guerrieri, del popolo, di Lantis… Efrem, è stata eretta una statua in mio onore, in nostro… onore, il mio e quello di Drako.



    E’ stata fortemente voluta dal popolo e dalla nobiltà che ha appoggiato la causa reietta, da un lato il Dragone e dall’altro la Regina ognuno che regge una singola khopesh. Ammetto di essere un po’ in imbarazzo per questa cosa, mi ci abituerò… credo.



    E’ trascorso un po’ di tempo dalla scarcerazione dei reali e dei ribelli, un anno non è nulla in confronto a ciò che avrebbero dovuto subire, la prassi prevede anni o l’ergastolo, ma a quale scopo? Fomentare ancor più i loro animi? Umiliarli? La galera non è la soluzione per l’espiazione delle proprie colpe ed ho sempre creduto che le idee si plasmano con l’esempio, non con la castrazione, Rickard mi ha insegnato molto. Ho fatto visita poche volte a Lantis, ancor meno ad Efrem, il più delle volte è stato solo per accompagnare Shen, il quale, nonostante tutto, resta un bambino timido che ancora deve scoprire il mondo, suo padre e suo zio, gli stessi si sono sempre dimostrati ben disposti verso il piccolo, il quale si è ben presto affezionato e perso il timore di spendere qualche parola in più. L’altro giorno sono rimasta fuori la cella, Shen è entrato da solo, ho lasciato la porta leggermente aperta in modo da riuscire comunque a tenerli sottocontrollo.


    Lantis sorrideva, aveva quella espressione che non gli vedevo da così tanto tempo che per un momento ho rivisto in lui il ragazzo di tanti anni fa, quando tutto quel che accaduto non era neanche lontanamente prevedibile.


    E poi Shen si è sporto il più possibile dalle sbarre, ha cercato di abbracciarlo, sono rimasti fermi in quel modo per qualche minuto ed io, dietro la porta, ho abbassato lo sguardo per qualche istante, come a voler lasciare tutto per loro quel momento. “Non vedo l’ora di abbracciarti senza queste sbarre, papà”



    credo di aver avvertito una morsa allo stomaco, Lantis è rimasto in silenzio accarezzandogli i capelli, il suo sguardo si è spostato su me, attraverso quella piccola fessura della porta, mi ha fissata ancora senza parlare e poi quegl’occhi si sono velati nuovamente di lacrime


    Non ho retto


    Ho chiuso la porta.

  7. #87
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story



    Questa mattina il cielo è coperto, le nubi sono dense, scure, sembra che voglia abbattersi un temporale da un momento all’altro, eppure non c’è un alito di vento, nessun fulmine o lampo che lasci presagire nulla di imminente. E’ come se mi ritrovassi ad osservare un quadro, avverto persino una certa calma. Il sole filtra sporadico tra una nube e l’altra, probabilmente mi sono sbagliata e tra non molto il sole irradierà ogni cosa in questa giornata di inizio primavera.


    C’è un pensiero che comincia a farsi spazio, qualcosa che non avevo ancora preso in considerazione, una sensazione che mi suggerisce che arrivato il momento, non saprei neanche spiegarlo razionalmente. Percorro il lungo corridoio del Castello, fino ad arrivare alla sala centrale, Shen sta studiando con il Septon e non ho intenzione di portarlo con me in questo momento. Mi dirigo alle celle, quelle di Efrem e Lantis, resto ferma avanti alla scelta di quale porta aprire per prima e la mano si poggia, quasi per volontà propria, sul pomello della seconda.


    Lantis sta riposando, lo vedo steso sul letto con gli occhi chiusi


    forse non dovrei svegliarlo, mi volto e muovo qualche passo per uscire nuovamente “Reneè” sento la sua voce sbiascicare il mio nome e quando mi volto nuovamente verso di lui, lo vedo sveglio e seduto sul letto.


    La sua barba è incolta ed i capelli legati, il viso fortemente segnato dalla stanchezza, non l’ho mai visto così trascurato ed ammetto che mi lascia una strana sensazione addosso. Chiamo una guardia e le chiedo di portarmi alcune cose, mi rendo conto che Lantis cerca Shen con lo sguardo, la sua espressione è stranita


    decido di dargli una risposta “Non l’ho portato, oggi non verrà qui” l’uomo abbassa gli occhi e resta a sedere col capo chino, probabilmente si aspetta qualcosa di negativo dalla mia sola presenza, dopotutto, non gli ho mai rivolto parole di conforto in tutto questo tempo di incarcerazione. La guardia torna con le mie richieste e lo congedo prima di chiudere la porta della stanza. Dalla tasca estraggo le chiavi della cella, al solo rumore di queste, Lantis muove il capo ed io cerco di tenere la mano ferma nell’inserire la chiave nella serratura. Giro la prima mandata, poi la seconda e la terza, resto col palmo sulle sbarre per qualche istante domandandomi se io stia per fare la cosa giusta, ma ancora una volta, la mano si muove per conto proprio, spingendo la porta di sbarre. Infilo il mazzo di chiavi nella tasca con un gesto sicuro ed avanzo con passo fermo verso la sedia dello scrittoio


    mi sto sforzando di restare col capo alto, come se questa situazione non mi tocchi minimamente, eppure sono certa che lui sappia, che abbia colto la mia titubanza, per quando mi costi ammetterlo Lantis mi conosce, anche se avevo un aspetto diverso ha imparato quali sono le sfumature della mia gestualità e del mio carattere, ma nonostante ciò resta in silenzio, con la schiena dritta e gli occhi puntati su me. Porto la sedia frontalmente a lui e mi siedo, faccia a faccia, così vicini come non lo eravamo da tempo, ma improvvisamente riacquisto il controllo, la volontà si fa più ferma e lo sguardo si indurisce di conseguenza.


    “Non sembri più tu”
    sentenzio mentre mostro una lama nella mano destra “Non lo sono” mi risponde lui serrando la mascella, alla quale porto la mano, ma non in una carezza, piuttosto con un gesto fermo nel tenerla ben salda. Porto l’altra mano al suo viso e lascio scorrere la lama contro la pelle, conosco il modo corretto per radere, purtroppo, ho dovuto imparare bene l’inclinazione ed a dosare la forza.



    La barba viene via sotto il passaggio fermo della mia mano, restiamo in silenzio mentre cerco di ridare dignità ad un volto del quale ne ha sempre fatto un vanto.



    Bagno il metallo e porto via i residui attaccati ad esso, il mio sguardo scivola più in basso, sul suo collo dove devo procedere con maggior delicatezza e mi rendo conto che è ben diverso da come lo ricordavo, così come le sue spalle ed il busto, mi ritrovo ad osservarlo ed a seguirne le linee fin giù le gambe. E’ possente, più imponente del giorno dell’incarcerazione, ha avuto modo di allenarsi, in fin dei conti, non aveva molte altre cose da poter fare rinchiuso in queste mura. Mi rendo conto di aver bloccato il movimento della mano troppo a lungo, ma lui ancora non parla, resta fermo con gli occhi sui miei.


    Lascio la lama nella tinozza e gli passo uno straccio col quale si pulisce il viso, attendo che abbia finito, mi pulisco le mani ed inevitabilmente torno ai suoi occhi ed a quello sguardo che non lo abbandona. Dovrei dirgli qualcosa, dirgli di smetterla, dire a me stessa di smetterla, ma i secondi passano, forse minuti e restiamo ancora in silenzio, l’uno seduto di fronte l’altra.


    Muovo la mano, questa volta la porto ai suoi capelli, all’elastico che li tiene fermi e lascio che caschino verso il basso. Sono lunghi, vanno ben oltre le sue spalle.


    Abbasso gli occhi, irrigidisco le gambe e le braccia nello spostare la sedia ed alzarmi, ma Lantis scatta con la propria mano al mio polso, veloce e forte nella stretta



    “Lasciami” gli dico cercando di fargli mollare la presa, ma l’unica cosa che ottengo è uno strattone, che mi porta a guardarlo nuovamente in volto


    “Ho capito di aver perso ogni mia volontà quel giorno, quando ti ho conosciuta alle pendici del vulcano. Ho capito di cosa parlano i poeti nelle loro opere, ho capito da dove traggono ispirazione i cantori ed i pittori, ho capito cosa muove ogni cosa solo guardando i tuoi occhi, Reneè. Drako era mio amico, l’unico al quale io abbia voluto realmente bene, gli ho affidato una parte di me. Tu sei… tu sei tutto, il mio cuore e la mia mente sono sempre state tue ed io ti amo ancora. Non chiedermi di smettere di farlo, va al di là di ogni mia forza e volontà”


    Gli occhi bruciano e trattengo il respiro fino a quando lo sento mancare. Sospiro pesantemente mentre avverto un forte senso di pesantezza accumularsi alla sinistra del petto.


    Lo guardo, come non ho smesso di fare dall’inizio del suo discorso e non mi importa niente se vede le mie lacrime, assieme ad essere deve vedere anche tutto il mio disprezzo “Avrò pur avuto il tuo cuore e la tua mente, ma il tuo letto non è mai rimasto vuoto in tutti questi anni.” Una morsa mi attaglia la gola ripensando a ciò che ho visto: i ricordi delle ancelle nude alle terme, il suo sguardo soddisfatto nel raccontarmi delle sue avventure, del passaggio continuo nella sua camera di meretrici, donne di corte e non so quant’altro negli stessi giorni in cui evocava il mio nome tra i suoi ricordi



    “Ho smesso di amarti da molto tempo” sentenzio lasciando cascare la sedia alle mie spalle. “Sei libero di andare, Lantis. La tua prigionia finisce oggi. Occupa pure una stanza del Castello, purchè sia lontana dalla mia”


    Queste le mie ultime parole prima di uscire dalla cella e dirigermi a quella di Efrem, oggi termina anche la sua pena

  8. #88
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story

    Epilogo Efrem (parte Prima) - Il destino di un uomo

    Goccia…
    Dopo goccia…
    Dopo goccia…
    Passi…
    Qualcuno fuori dalla mia cella…
    Ogni singolo rumore, ogni suono che percepisco in questo opprimente silenzio diviene una distrazione. Le gocce d’acqua, cadono regolari dal soffitto per poi raccogliersi in una piccola pozzanghera vicino alle ringhiere della cella.


    I passi sono ritmici, cadenzati e li riconosco quasi immediatamente, ormai dopo giorni che sono qui. Sono i passi delle guardie che si alternano per piantonare la mia cella. Non li vedo, sono oltre la porta che separa il mondo esterno da questo più piccolo, da questo stretto e angusto pianeta. I giorni sono diventati tutti uguali, o forse sono mesi? Ho perso il conto. Ho perso il conto di ogni singolo istante da quando sono qui dentro. A che servirebbe? Sono comunque destinato a rimanere in questa fossa per sempre e se non fosse per la fioca luce che filtra da quella finestrella,


    adesso non saprei nemmeno se è giorno o notte. Ogni giorno passato in questo buco mi riporta al giorno dell’assedio… a ciò che ho fatto a tutti quelli che hanno creduto in me, a Drako… Reneè… sei sempre stata davanti ai miei occhi, tutto il tempo a vegliare su di me, nascosta sotto quel volto che ora, oltre a una menzogna, appare come il volto amico che era. Non so più nemmeno io come spiegare questa cosa, Drako e Reneè, mi sorella poteva trasformarsi in un uomo ed è sempre stata lì, al mio fianco e io sono stato così cieco, così stupido a non accorgermi di nulla. Come avrei potuto in fondo? Era tutto così maledettamente perfetto. Ed io ero pronto a ucciderlo… mi sollevo dal letto e mi prendo il viso tra le mani tirando i capelli divenuti già più lunghi.


    Non riesco più a pensare ad altro che a quel giorno, a Eden conficcata nella schiena di Reneè, al sangue che inondava lo spiazzale, le mie mani lorde del suo sangue. Il sangue della sorella che ho tanto cercato. Nemmeno gli dei mi hanno punito per questo, la malattia è regredita giorno dopo giorno fino a svanire. Niente. Nemmeno loro sono riusciti a darmi il castigo che meritavo. Forse è davvero questo che hanno scelto per me, lasciarmi marcire in questo posto per il resto della mia vita, o peggio… lasciare a mia sorella, colei che ho cercato per anni e per la quale mi sono dannato l’anima a loro pur di ritrovarla, lasciare a lei le sorti della mia esistenza. Mi condannerà a morte? Me lo merito. Non opporrò alcuna resistenza. Ed è in questo opprimente, fastidiosissimo silenzio che qualcosa si insinua mutandolo…
    Non ho idea di quanto tempo sia passato dalla mia incarcerazione, i giorni sono uno uguale all’altro: la mattina, medici e guaritori ormai senza poteri si alternano uno dietro l’altro per accertarsi delle mie condizioni.


    Non parlo se non quando mi fanno domande dirette. Sto meglio, dicono, la malattia regalatami dagli Dei Siamesi che mi stava portando alla morte sta abbandonando il mio corpo e lo posso vedere anche da solo, la macchia sul mio petto è svanita quasi del tutto a parte un lieve rossore e i colpi di tosse sono ormai diminuiti a semplici schiarimenti di voce. Fortuna vuole che il resto del giorno io lo passi da solo, non entra quasi mai nessuno in questo buco, se non per rifornirmi di cibo e ritirarlo subito dopo, mi basta. Il silenzio è divenuto ormai tollerabile e lentamente anche io inizio a far parte di esso, non una parola con le guardie, che cosa dovrei dire? Cosa dovrebbero dirmi loro? Nulla. Ogni tanto qualcuno prova a parlare, a volte per accertarsi che io non sia ancora impazzito, ma niente, alcun suono esce dalla mia cella, anche i medici provano a parlarmi, mi controllano, mi toccano, ma dopo un po’ anche loro hanno smesso di provarci. Qualsiasi cosa io possa dire, anche la più banale delle frasi, mi riporta a quella mattina. A quella dannatissima mattina dell’assedio. Gli occhi di Reneè che lentamente si spengono davanti ai miei, vitrei che mi fissano raggelandomi e pietrificandomi sul posto. I suoi capelli più rossi dei miei si scuriscono bagnandosi di sangue, il suo stesso sangue e tale visione mi tormenta, giorno e notte facendomi urlare dalla disperazione contro il cuscino. Una chiave ruota nella serratura, non ci bado molto, sarà uno dei soliti medici al quale stavolta avranno cambiato turno. Non mi volto e continuo a fissare la sottile striscia di cielo che filtra dalla finestrella.


    Come sarà cambiato il mondo lì fuori? Vorrei tanto vederlo, osservare il nuovo regno, visitare ogni suo angolo, qualunque luogo pur di non rimanere in queste quattro mura.



  9. #89
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story



    I passi leggeri avanzano per il corridoio, una donna, forse la prima guaritrice donna che arriva alla mia cella. Mi volto ma non riesco a provare nulla. Solo il vuoto e forse non c’è dolore più straziante del non provare nulla. Reneè mi guarda, quegli occhi verdi così vivi, così colmi di rabbia scrutano il mio viso,


    quella sorta di maschera di cera che lo ricopre. Niente, le parole restano vuote e il silenzio permane nello stretto spazio della mia cella,


    non ho idea di quanto tempo restiamo così, coi nostri occhi incatenati a urlare all’altro tutto la rabbia provata. Guardo mia sorella avvolta nel suo abito regale, quella corona che le adorna il capo. Una figura che non appartiene più alla Reneè che conoscevo, una Reneè diversa da mia sorella, quasi una estranea “chi diavolo sei?” vorrei urlare dalla rabbia verso tale figura, ma la risposta che otterrei sarà solo quella più ovvia. Una rabbia cieca si mescola al rammarico, al tormento per ciò che ho fatto e che mi perseguita ma tutto si annulla, ogni singola emozione viene annientata dalla delusione. Anni interi a cercarla, anni interi a dannarmi l’anima pur di trovarla, pur di vedere anche per un solo singolo istante il suo dolce viso. Ma niente. È sempre stata Drako. Lo stesso Drako che mi ha visto piangere da bambino sulla sua tomba, lo stesso al quale ho raccontato ogni singolo istante della mia vita, mai, non un singolo segno, non una semplice parola. Niente di niente. Ah, che stupido. L’urlo silenzioso dei nostri occhi continua, nessuno dei due si azzarda a parlare, né a muovere un muscolo fin quando, stanco di tutto questo, stanco di dover vedere un volto a me tanto familiare quanto estraneo, mi giro nuovamente a osservare quel cielo che lento vedo ingrigirsi. Odio la pioggia.


    Reneè va via così come è arrivata, muta attraversa la porta e quando sento le tre mandate lascio che dalle mie labbra un sospiro amaro si liberi trasformandosi poi in lacrime. I giorni avanzano, il secondo identico al primo, così come il terzo e il quarto e il quinto e così via in un circolo che pare infinito. Dopo quasi un mese, i medici hanno smesso anche di farmi visita. “È guarito, non ha più bisogno di nessuno” dicono ai miei carcerieri appena fuori dal portone. «Ditemi dei miei compagni!» urlo alle guardie fuori. Non rispondono, colpiscono solamente con violenza la porta come a volermi intimorire. Urlo ancora più forte invocando uno ad uno i loro nomi «Daphne! Ditemi come sta!» urlo sbattendo i pugni contro le sbarre.


    Altri colpi, ancora più violenti sovrastano le mie grida. Grida che muoiono nella disperazione di non poterla più rivedere. Nella consapevolezza di sentire ogni singolo istante insieme sgretolarsi come sabbia tra le dita. Con la schiena scivolo lungo le sbarre della cella guardando verso quella finestrella che ora mi appare troppo stretta…
    Da quando Reneè è andata via in silenzio da questa cella, ogni giorno è diventato sempre peggio. Il silenzio mi opprime, diviene sempre più pensate di ora in ora. Non ho più voglia di mangiare, nemmeno di alzarmi dal letto e nella mia testa si fa strada urlando solo una parola… libertà, libertà, libertà. Non l’ho mai agognata come ora, mai ho sofferto tanto in un luogo come adesso. Forse la totale mancanza di contatti umani, forse la consapevolezza di avere Reneè sopra di me ogni giorno senza poterla raggiungere, non lo so. E tutto ciò fa male. Un colpo di bastone mi raggiunge un fianco svegliandomi di soprassalto, la guardia davanti alle sbarre mi fissa severa ritirando il bastone e reggendo nell’altra mano un vassoio con la solita portata. Lascia il piatto all’interno della feritoia per il cibo e continua a guardarmi in silenzio distendendo il volto quando si rende conto che sono ancora vivo. Lo ignoro voltandomi dal lato opposto per riprendere a dormire. Il vassoio scivola sul pavimento e il soldato va via chiudendosi la porta alle spalle. Ma stavolta senza mandate, mi volto a fissare la porta ma tardano ancora ad arrivare, che cosa sta succedendo lì fuori? Non sento nulla e come una farfalla attratta dalla fiamma di una candela mi avvicino alle sbarre stringendole come se potessi spostarle, come se potessi solo ora romperle per fuggire via. La porta si riapre e di riflesso mi allontano continuando a tenere gli occhi fissi su di essa mentre il mio cuore perde un battito nel vedere nuovamente dopo tanto tempo la figura di mia sorella avanzare da quell’uscio.


    Ancora quella immagine di donna regale mi pugnala gli occhi, ma stavolta non riesco a contenere la mia rabbia.


  10. #90
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    Re: [Deus ex Machina GDR] Story


    La mia delusione cresce mutando il mio volto di conseguenza: «Quella corona ti fa la testa grossa, così come tutti i cappelli che avevi da piccola» dico con ironia, storcendo un labbro prima di sedermi sul letto. Potrei sembrarle un bambino, ma non m’importa.


    «Non ci hai mai visto bene con quell'occhio scemo» dice tornando seria di colpo. Fisso il suo viso, quasi impassibile:«Che differenza fa? Mi basta comunque un solo occhio per capire che quella che ho davanti è solo un’altra presa in giro e non mia sorella» porto il mio sguardo a terra con rabbia. «Beh mio fratello non mi avrebbe mai pugnalata alle spalle.» ribatte lei furiosa.


    Mi alzo in piedi fissando nuovamente quegli occhi così carichi di rancore, «Se solo tu mi avessi detto la verità fin dall’inizio…» sibilo a denti stretti avvicinandomi alle sbarre che ci separano «che cosa sei venuta a fare qui? Puoi benissimo tornare a gestire il tuo regno e dimenticarmi qui sotto… immagino tu abbia già sprecato abbastanza fiato per il capo dei ribelli traditore». La ragazza inizia a camminare, si avvicina alle sbarre fissando il mio viso, pochi centimetri ci separano, forse un passo, un solo singolo passo bloccato da queste dannate sbarre di metallo mi separano dal riavere indietro mia sorella.


    «Cercavo mio fratello, evidentemente non è qui. Fammi avvisare quando torna.» ed è con queste parole gelide che sento qualcosa rompersi tra di noi, qualcosa che, forse, avevo iniziato a sperare con quella lettera, con quelle parole scritte su carta che ancora oggi ricordo come se le avessi appena lette. Quel piccolo germoglio di speranza. Distrutto. Soffocato dal rancore che è esploso davanti a questa gabbia. Porto i pugni alle sbarre fissando con gli occhi colmi di rabbia che brucia per uscire, la figura di Reneè uscire ancora una volta da quella porta. Tre mandate bloccano nuovamente ogni contatto. «Sai solo nasconderti dai tuoi problemi, Reneè!»



    urlo sbattendo i pugni contro il metallo ancora e ancora, e ancora, fin quando non sento i muscoli cedere e resto così, a fissare il vuoto davanti a me, mentre la mia testa ricade indietro in un turbinio di sensazioni che via via muoiono lasciando il posto alla gelida solitudine della prigionia…
    Ne uscirò matto. O forse lo sono già diventato. Solo gli dei lo sanno, ma sfortunatamente, dubito che lo diranno a colui che li ha sfidati così tante volte e così tante volte gli è sopravvissuto. I giorni sono l’uno uguale all’altro, immutati, ho smesso anche di contarli, ormai il mio muro è diventato pieno di segni della mia prigionia. A che servirebbero poi? A segnare quanto tempo mi manca prima della follia? O magari per accertarmi che Reneè mi lasci marcire qui dentro per il resto dei miei giorni? Qualunque fosse lo scopo inziale, ormai l’ho dimenticato. Sul muro ci sono forse sessantaquattro tacche, o forse sono sessantacinque? O magari saranno più di cento... Forse non le ho mai contate davvero.


    Nessuna notizia è mai trapelata dalle guardie qui fuori, per giorni mi sono sforzato di ascoltare le loro parole, ma l’unica cosa che sono riuscito a sentire è stato del trasferimento di uno dei prigionieri. Nient’altro. Non so il suo nome, non so chi sia, né a quale fazione appartenga. Niente. Non ho avuto notizie da nessuno dei miei compagni, Daphne, Andreus, Shayla… alcuna parola è trapelata riguardo le loro condizioni… è forse questa una tortura peggiore della prigione stessa?


 

 
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