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Prologo
L'alba della rivolta
parte prima - parte seconda - parte terza
All'ombra della Luna
parte prima - parte seconda
Oro al Sole
prima parte - parte seconda
Il mistero più cupo
Terra in fiamme
Parte prima - Parte seconda
Lantis del fulmine
Decisione difficile
La danza delle spade
Vento che incendia, terra che soffoca
Parte prima - Parte seconda
Terra che rinasce
Il Grifone e la Serpe
prima parte - seconda parte
Il Grifone ed il Corvo
prima parte - seconda parte - terza parte
The Night is Dark ad full of Terrors
prima parte - seconda parte
Quelle antiche parole...
Valar Morghulis
Addio, Rickard
L'ombra del passato
L'incoronazione
Nella fossa dei Leoni
Acqua che sfugge, Fulmine che tuona
Quel dì che ti tenni la mano...
In medio stat virtus
L'ombra del gigante
Prima parte - Seconda parte
Fuoco che arde, Fuoco che soffoca
Ingnis perpetuus et pereat Mundus
Prima parte - Seconda parte - Terza parte - Quarta parte
Il rosso e il nero
Il tarlo della ribellione
Prima parte - Seconda parte - Terza parte
Amore e Morte
Prima parte - Seconda parte - Terza parte
Il Corvo e la Serpe
Prima parte - Seconda parte
Alea Iacta Est
... Et Pereat Mundus
Prima parte - Seconda parte
Nomen Omen
I Corvi e il Grifone
Prima parte - Seconda parte
Scripta Manent
Prima parte - Seconda parte - Terza parte
Il Fulmine nero e la Terra
Prima parte - Seconda parte
In tenebris lumen rectis
Unbowed, Unbent, Unbroken
Prima parte - Seconda parte - Terza parte
Dohaeris (in origine Valdohaeris da Valar Dohaeris)
In antichità c’erano le valli, c’erano i draghi, c’era il fuoco del vulcano e le acque del lago… i rifugiati del vecchio mondo, distrutto da guerre, si ritrovarono in questo luogo dopo anni di esilio, stabilendosi in quella che sarebbe stata la culla della nuova civiltà. Gli uomini e gl’incantatori erano diversi, ognuno con la sua storia, ognuno appartenente ad un popolo ed una cultura diversa, provenienti da luoghi vicini e lontani, adoranti degli Dei vecchi e nuovi, un miscuglio di vite con un’unica volontà: la sopravvivenza. Quando le mura vennero alzate e le prime abitazioni furono costruite, nella zona centrale della roccaforte venne posta una pietra monumentale e su quella superficie solida, venne inciso “Tutti gli uomini vanno salvati” per ricordare ai posteri, il travaglio ed i sacrifici dei propri antenati.
Sono trascorsi cinque secoli dalla fondazione di Dohaeris, al trono si sono succeduti i discendenti di Esbern Rhaegar, valoroso condottiero e primo Re della storia dei Dohariani, un popolo che ha vissuto nella tranquillità e nella pace per lungo tempo, tra il benessere derivato dai frutti della generosa terra e l’agio dei tesori della montagna di Diamante. Ma nell’ultimo anno qualcosa si è guastato nell’equilibrio del reame, il Re Rickard si è ammalato, un male oscuro al quale non si trova una cura ed in sua vece, il principe erede, si è seduto al trono per governare e mantenere le redini del tutto. L’uomo però è dotato di un forte temperamento e le tendenze dittatoriali sono in netto contrasto con quelle pacifiche del padre, così il malcontento del popolo ha iniziato a farsi forte…
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno di Marte
“No, non ti credo”
La voce del Principe riecheggia per i corridoi della Domus Legis, il silenzio è rotto dall’eco che si espande per le grandi sale, come ad incrementare il tono duro delle parole dell’uomo
“Lantis…”
Drako risponde sommesso, come chi desidera parlare e non lasciarsi andare a discussioni furiose
“Non osare chiamarmi per nome, non osare…”
“Mio Principe, ciò che vi ho narrato è la realtà dei fatti”
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Lantis, l’erede al trono, fissa negli occhi il Primo cavaliere, colui che della spada ne ha fatta la propria vita, rinunziando alla possibilità di crearsi una famiglia, perché l’unico scopo della propria esistenza è quello di proteggere i reali ed il regno di Dohaeris.
“Mi stai costringendo…”
“E’ una tua scelta…”
“Credi che sia così semplice? Credi che io possa lasciar correre tutto, dopo quel che mi hai detto?”
“Potresti”
Silenzio… un silenzio che dura pochi istanti, quel tipo di silenzio che sembra riempito da parole, parole che si esprimono con gli sguardi ed in quello sguardo tra Lantis e Drako vi è un discorso silente, che nessuno può capire… ma loro sì, loro si sono sempre capiti, le parole sono sempre state superflue, in battaglia quando non c’era tempo per perdersi in chiacchiere, gli bastava scambiarsi uno sguardo per coordinarsi e devastare i nemici, loro che potrebbero dir nulla… ma capirsi al volo, in questo momento urlano l’uno contro l’altro, senza proferire verbo.
https://36.media.tumblr.com/7637dd6b...2nyo7_1280.jpg“Ebbene… ho preso la mia decisione”
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Ancora silenzio, nuove parole non dette, che Drako coglie al volo…
“Guardie” Lantis le chiama a gran voce, restando con lo sguardo incatenato a quello del Primo. Nessuno dei due muove un muscolo, nessuno dei due desiste
“Se credi che sia mia intenzione reagire, ti sbagli”
Le guardie lo afferrano per entrambe le braccia bloccandolo ed è il quell’istante, che Lantis si avvicina a Drako, accorciando le distanze
“Domani stesso verrai giudicato, così ti metterò a tacere”
“Se questo è il modo in cui pensi di risolvere la faccenda, non mi oppongo”
“Non puoi opporti, io sono la legge qui. Portatelo nelle celle, ma senza trascinarlo, lasciategli le braccia, è ancora il Primo Cavaliere…” Le due guardie eseguono l’ordine, incamminandosi verso le celle
“Non ci riuscirebbero comunque, sono miei uomini, lo sanno bene e lo sapete anche Voi… mio Principe. Conosco la strada”
Drako s’incammina, i passi pesanti si spengono man mano che si allontana e solo quando Lantis è ormai certo, di non esser visto da anima alcuna, si lascia andare al dispiacere: un sentimento di amicizia che non va mostrato, un sentimento che non ha più ragione di esistere, ma che è difficile da estirpare, perché dalle profonde radici
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno di Mercurio
La grande sala del castello è gremita: reali, soldati, popolani…
Si è sparsa rapidamente la voce che quello è il giorno del Giudizio, un evento straordinario che rare volte si è verificato nel corso dei secoli, è infatti riservato solo ai Cavalieri ed alle alte personalità del regno, le quali sono accusate di aver tentato di infangare il nome della famiglia reale o di complottare contro di essa.
Drako siede su di una sedia, posta su di un piccolo palco al centro della sala, alle sue spalle gli occhi curiosi di chi attende di conoscere il motivo di quell’evento e di saperne l’esito, mentre di fronte a lui siedono il Principe Lantis e la Regina Lumen, la quale ha sposato in seconde nozze Re Rickard.
La giuria è composta da tre personalità di spicco a Dohaeris: Il Mago Callien, lo stregone Taras e l’Elfo Niniel, tutti consiglieri di corte, profumatamente pagati dai reali per tenere sotto controllo il popolo ed evitare l’insorgere di dissidi.
“Drako Kalisy, Primo Cavaliere del Regno, Custode dell’arma reale e domatore del Fuoco, sei accusato di alto tradimento per aver tentato di circuire la Consorte Reale, approfittando dello stato di malattia di Re Rickard ed infrangendo il tuo voto solenne di castità” Niniel espone con tono fermo e l’espressione impassibile il capo d’accusa.
“Sei inoltre accusato di aver introdotto tra le schiere dei soldati reali, una ingente quantità di dissidenti, provenienti da altri regni, al solo scopo di sgretolare dall’interno le armate di Dohaeris ed appropriarti del trono” Taras fissa Drako con sguardo vuoto, che enfatizza la freddezza con la quale ha esposto la seconda accusa
“A tale scopo riteniamo che sia stato tu stesso, a provocare la malattia di Re Rickard, in modo da destabilizzare il principe Lantis ed approfittare di tale stato per i tuoi piani. Hai qualcosa da dire in tua discolpa?” Callien è un mago come Drako, ma famoso per l' ingordigia per il denaro e gli agi della vita di corte.
“Ho dedicato la mia intera esistenza per proteggere Dohaeris, ho affrontato decine e… decine di battaglie in suo nome, mi sono sporcato le mani col sangue di chi ha tentato di sopraffarci e quei soldati che ho risparmiato, ci sono ora fedeli. Loro stessi hanno ucciso in nome del regno, hanno famiglie, hanno sposato donne e uomini Dohariani, questa è casa loro, come è anche la mia. Re Rickard è come un padre, un padre buono e giusto, lo è per tutti noi. Nutro profonda stima ed affetto per il principe Lantis, non posso affermare lo stesso per la Regina Lumen, ho fatto giuramento di proteggerla, ma preferisco farlo a distanza, la mia castità non è affatto in discussione”
“Maestà, lei conferma l’accusa ai danni del Primo?” Niniel continua senza farsi influenzare dalle parole di Drako
“Confermo tutto, il Primo Cavaliere ha iniziato ad approcciarsi a me appena il Re ha accusato i primi malori. All’inizio ho pensato fosse un suo modo particolare per dimostrare affezione, ma… è diventato man mano più insistente, così tanto da dover ricorrere a tutto ciò. Io mi fidavo di lui, tutti hanno sempre avuto enorme stima, il Principe Lantis lo considera un fratello... vedermi molestata in quel modo così violento... mi sono sentita impotente... lui è così forte e io sono così gracile... come posso sentirmi di nuovo sicura tra le mura della mia casa con lui in circolazione?" Lumen ha gli occhi arrossati e nonostante sembra voglia trattenere le lacrime, conservando una espressione solenne, perché troppo fiera per dimostrarsi debole, alcune ne bagnano sulle gote pallide.
“Menzogne” Un uomo si alza di scatto dalla platea “Drako non farebbe mai una cosa del genere, è l’uomo più leale che io conosca, è una congiura!”
“Stai parlando alla tua Regina. Sir Efrem Targaryus, se non mi sbaglio…” Lantis prende parola per la prima volta, da quando è iniziato il processo “Sei uno dei soldati più fedeli al Primo Cavaliere, non mi sorprende questo tuo atteggiamento, devo comunque ricordati che rivolgersi in questa maniera ad un Sovrano è punibile con la condanna a morte”
“E’ innocente…” Efrem ha la voce tremolante, è cosciente del fatto di non poter intervenire in alcuna maniera, ma ciò che si sta svolgendo sotto i suoi occhi è al pari di una eresia.
“Puoi dimostrarmi questa sua innocenza? Non solo a parole intendo, qualcosa che possa mettere in discussione l’accusa della tua Regina”
Tutti gli sguardi sono puntati sull’uomo dai capelli rossi, il quale resta in silenzio per un lungo istante, per poi rivolgere lo sguardo al Primo “… no, non posso dimostrarlo, ma…”
“Visto che le cose stanno così: io… Principe Lantis, detentore del trono di mio padre re Rickard, domatore del Fulmine e Sommo Giudice in questa sede della Domus Legis…” mentre proferisce la sentenza si alza ed a passi lenti, scende i pochi gradini che lo separano da Drako, avvicinandosi a lui “...spoglio Drako Kalisy dall’armatura di Primo Cavaliere, condannandolo a morte tramite taglio della testa”
“Sai quali saranno le conseguenze di questo gesto? I soldati non lo accetteranno” Drako risponde con tono basso, come per voler far sentire quelle parole esclusivamente a Lantis
“Ho già provveduto a far pulizie tra i soldati, tutti coloro che appartenevano ad un altro regno, sono ora nel giardino con la propria testa su di una picca, così che tutti possano vederli”
Drako si alza dalla sedia e si sporge verso il Principe. Lo fissa… in silenzio per qualche istante… “…tuo padre non lo accetterà, Lantis…”
Il Principe resta fermo come una statua di marmo, con le parole smorzate e lo sguardo cristallino, sul quale cala un velo ad appannarlo. Chiude gli occhi e si volta di spalle, non vuole più guardarlo, non vuole più sentirlo… “Portatelo via, domani verrà giustiziato all’ora del Sole”
Attimi… Attimi che sembrano svolgersi a rallentatore… Drako, ex Primo Cavaliere, viene portato via dalle guardie, sotto gli occhi attoniti di chi siede nella sala, Efrem divide lo sguardo tra l’amico condannato a morte ed il suo aguzzino, Lantis lascia la sala… in silenzio e senza voltarsi.
Il forte odore di umidità impregna le pareti delle celle, piccole goccioline d’acqua scivolano sui muri e bagnano i pavimenti, l’ambiente è scuro, vi sono solo poche candele ed una torcia ad illuminare il tutto, c’è silenzio… l’unico prigioniero è Drako. Non ha diritto ad un letto, solo cumuli di fieno ai quali è poggiato con la schiena. Sta pensando… sta pensando a tutto ciò che è accaduto: a Lantis, Lumen, il Processo ed ai suoi uomini uccisi e seviziati come fossero animali da macello, solo per dimostrare che la Corona è forte e non va sfidata, solo per imporre una supremazia di violenza e che Rickard non avrebbe agito a quel modo.
“Non è un po’ scomoda quella posizione per dormire?”
Una voce rompe il silenzio, Drako, perso tra i mille pensieri, non ha sentito alcun passo avvicinarsi alla cella, alza lo sguardo e…
“Efrem… ma che?”
“Sono venuto a liberati, cosa che avresti potuto fare benissimo da solo… non mi capacito ancora del perché tu te ne stia là ad aspettare la fine! Ora ti libero e vieni con noi, perché ho deciso così!”
“Noi?”
Dal corridoio spuntano altre figure, avvolte parzialmente dal buio, una donna dai capelli rossi si avvina alle sbarre e tocca la parte della serratura.
“E’ sorprendente come il ghiaccio possa rendere le cose… fragili” La donna è una maga esperta ed al suo tocco il metallo cala rapidamente di temperatura, tramutandone il colore in un lieve azzurrino.
Efrem si mette in posizione e carica un forte calcio su di un punto preciso, basta un colpo secco e la serratura cede, facendo spalancare la porta della cella.
“Efrem no… io…”
“Shhh, muoviamoci, abbiamo fatto un po’ di baccano, non vorrai che domani ci siano anche le nostre teste sulle picche!” Si avvicina alla donna abbracciandola “Ti ringrazierò come si deve più tardi”
Un uomo entra nella cella ed afferra Drako per un braccio, tirandolo a sé “Forza andiamo”
“Mi stai mettendo con le spalle al muro Efrem… ”
Il Gruppo si muove velocemente, i passi riecheggiano per i corridoi di pietra dei sotterranei, solo pochi istanti ed un passaggio segreto li conduce verso l’esterno.
Il cielo è terso, non una nuvola ad oscurar le stelle, la luna si mostra per metà a riflettere pallidamente la luce nella notte, il castello è poco distante, ma l’aperta campagna non oppone ostacoli alla fuga. Vi sono altri uomini e donne ad attendere i fuggitivi, sono in molti ed ognuno pronto a rischiare la propria esistenza per opporsi alla legge della morte imposta dai reali.
“Il tempo della vendetta è vicino Drako, ti ricordi le parole che ti dissi tempo fa? Finalmente è giunto il momento”
Drako ferma la folle corsa “Eri solo un bambino Efrem… credevo che avessi capito in tutto questo tempo”
Efrem si volta di scatto verso l’uomo “Che cosa devo aver capito? Che la mia famiglia è stata devastata per una giusta causa? Che esiste il perdono? No Drako, cazzate… mia madre è morta tra le mie braccia quando avevo solo nove anni, non ci sono motivi per i quali io non debba bramare vendetta”
“Puoi avere vendetta anche senza sterminare altre vite, ci sono altri modi, poniamo fine a tutto ciò”
“Sono anni che cerco persone come me, persone stanche di subire e per quanto io odiassi Re Rickard per quel che mi ha fatto, il clima di terrore imposto dal Principe non ha eguali, la mia vita è stata un inferno e…”
“Anche la mia, Efrem…” L’uomo che fino a quel momento ha saputo conservare la calma, persino nell’istante della sua condanna a morte, esplode in un urlo di rabbia “…ma ho scelto di non imporre lo stesso destino ad altri per mano mia”
“Combattiamo insieme, tutti questi soldati che vedi sono dalla nostra parte, uccideremo i reali uno per uno e ci sarà un nuovo regno”
“No, non diventerò un carnefice a mia volta, combatterò e li piegherò, ma non voglio il loro sangue sulle mie mani”
“Tutto quello che so, me lo hai insegnato tu, ti considero un fratello, non costringermi a schierarmi anche contro di te, vieni con noi avanti…” Efrem si avvicina a Drako con aria sprezzante, convinto che l’amico possa cambiare idea, ma ciò che accade va contro ogni sua previsione: L’ex Primo Cavaliere concentra nella propria mano un picco di energia infuocata, segno che la sua decisione è irrevocabile
“Le cose stanno così allora…”
“Sì, stanno così”
“Non abbiamo più niente da dividere, io e te… da questo momento siamo nemici e se per avere la mia vedetta, la stessa di tutti noi, dovrò affrontarti lo farò, Drako Kalisy”
I due uomini si osservano in silenzio, nessuno dei presenti emette fiato… la tensione è alta.
“Chi è con me mi segua, chi è con lui resti… e soccomba”
“Distruggerò i pilastri del regno e risorgeremo più forti di prima, Efrem… avremo la pace per tutti noi, ma se per ottenerla dovrò combatterti, se per ottenerla dovrò piegare anche il tuo esercito oltre che quello di Dohaeris… lo farò. Chi è con me resti, chi è con lui lo segua, tornerete quando l’equilibrio sarà ristabilito”
E tu… da che parte ti schieri?
Reali con il Principe Lantis
Ribelli con Efrem
Reietti con Drako
Fai la tua scelta, combatti per la tua causa.
L'alba della rivolta
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno di Giove“Guardali negl’occhi…” diceva
“…gli occhi parlano… puoi sentire ciò che le parole non dicono, puoi capire ciò che pensano, se capisci i loro occhi, sai chi sono veramente!”
Drako ripensa a queste parole, passo dopo passo mentre si allontana da Efrem, mentre si allontana dai suoi occhi e dalle parole che gli ha appena detto. E’ consapevole che non c’è ragionamento che tenga, il suo desiderio di vendetta è più forte di qualunque altra cosa e Drako l’ha capito, perché conosce la verità di quegl’occhi, sin da quando erano piccoli ed Efrem appena un bambino. Ma l’ex Primo ha visto troppo sangue, le sue mani… le sue mani hanno sollevato corpi di amici, per poi riportarli ai familiari, troppi occhi… troppe lacrime di sangue, troppe vite spezzate ed un ciclo continuo di morte, una ruota che gira… “Prima a me e poi a te…”, non può seguire il suo amico, non hanno lo stesso desiderio, ma Drako lo sa… non può fermarlo, la vendetta è una fiamma alta che brucia e distrugge l’animo, lo logora e non la si può spegnere così facilmente. Cosa può fare un uomo che ha sempre lottato per il giusto? Non può schierarsi da una parte né dall’altra, perché entrambe seguono la via della distruzione, se solo il Re fosse in condizione di adempiere ai suoi doveri… se solo Lantis fosse come lui… ma troppi eventi hanno segnato la sua vita e purtroppo, Drako, ne è a conoscenza.
Efrem e Lantis ognuno con la propria storia, l’ex Primo ha condiviso la sua intera esistenza con loro, li conosce nel profondo, sa cosa smuove i loro animi e consapevole del perché del loro agire, nulla che abbia a che fare con l’egoismo, nulla che sia riconducibile ad infantilismo, ma motivazioni concrete che hanno lasciato profonde cicatrici, un male che neanche l’affetto più vero e profondo di Drako nei loro confronti, ha saputo guarire…
Ciò nonostante è deciso a non seguire i loro ideali, desidera ristabilire l’ordine, piegarli e solo se ne necessario spezzarli, ma è l’ultimo dei suoi desideri. Si vis pacem, para bellum, per una Dohaeris ai vecchi albori… per una Dohaeris che vivrà in tempo di pace.
I Reietti, coloro i quali non si inchinano ad un potere tiranno ed ingiusto e non si bagnano del sangue degl’innocenti. Drako si volta verso il gruppo, vi sono visi conosciuti ed altri mai visti prima di quel momento, dopo aver percorso un tratto di strada in silenzio, per la prima volta fa sentire la sua voce:
“Vi condurrò all’accampamento dove alleno… allenavo i soldati, alcuni di voi ci sono già stati probabilmente, una volta lì sarete al sicuro, conosco il modo per occultarci al meglio. Seguitemi”
Poche decine di metri ed il gruppo si ritrova nelle vicinanze del bosco, di fronte a loro vi è un imponente portale, senza esitazione e con passo veloce Drako si avvicina al Glados, sfiorandone la superficie. Trascorrono solo pochi istanti ed una luce persistente segnala l’attivazione del passaggio.
Drako muove un passo all’interno del portarle, conosce la sua destinazione ed, una volta oltrepassato, attende che i suoi compagni di viaggio lo raggiungano uno alla volta.
Li osserva in volto, alcuni sconosciuti, altri amici e seguaci da tempo immemore, donne e uomini… ognuno con la sua storia scritta in quegl’occhi che si posano su di lui. Quando l’ultimo piede è posato sul suolo dell’accampamento, l’uomo rivolge un ultimo sguardo al Glados, il quale immediatamente si richiude.
“Ascoltatemi, ci troviamo ora al Lacrima Mundi, per chi non conosca già questo luogo, sappiate che è sacro e che nulla potrà disturbarvi qui…” Porta in alto le mani e pronuncia una formula magica a bassa voce, in seguito… una luce azzurra prende vita dagli alberi che circondano la zona: un flash che dura solo pochi attimi, per poi essere riassorbita.
“Ho attivato dei sigilli che ci rendono invisibili agli occhi di possibili incursori, non abbiate timore, non potranno scoprirci. Ora… è tardi, alle vostre spalle vi sono delle tende, ognuno ne scelga una, ce ne sono per tutti. Ryuk, tu vicino la mia, seguimi”
Drako conosce fin troppo bene quell’uomo, uno dei pochi che non avrebbe mai voluto vedere al suo seguito, è certo che causerà non pochi problemi e che tenerlo a bada potrebbe essere una vera impresa.
L’ex primo si rivolge al resto del gruppo, prima di congedarsi “Cercate di riposare, domattina avremo molto da discutere”
Efrem corre nella notte. I suoi passi pesanti e rabbiosi rimbombano sul terreno rendendoli udibili a chi gli sta nelle immediate vicinanze, non è il cavaliere dal passo felpato e dalla leggerezza di movimenti che tutti conoscono, ora è solo un pazzo accecato dall’odio che corre furiosamente verso una meta non precisata. Andreus, ex scudiero dell’esercito gli è pochi passi più dietro, conosce l’uomo che gli sta davanti, forse anche fin troppo bene e sa del suo odio per i rifiuti. Ma quello che Efrem prova non è il solo e semplice nervosismo per l’opposizione di Drako. No. È l’odio che gli ribolle dentro. Un odio provato per anni e che ora gli inonda le vene come lava bollente, un odio peggiorato solo dallo stesso rifiuto del fidato compagno d’armi. L’unico uomo che considerava davvero come un parente a lui prossimo, avevano condiviso tutto fin dall’adolescenza e ora quel tutto si era sgretolato lasciando solo un cumulo di ricordi dolorosi. Ma Efrem non piange. Non può permetterselo. Dopotutto è una promessa che ha fatto a se stesso quando era bambino, niente l’avrebbe fatto più tremare o piangere dopo la morte di sua madre, quella notte intrisa di sangue e fiamme ora è più vivida che mai nella sua mente, ha giurato vendetta e l’avrà. Pur di distruggere tutto, a costo di passare anche sopra al cadavere dell’amico.
«Muoviamoci!» urla l’ormai ex cavaliere accelerando il passo, il gruppo dei ribelli è appena dietro di lui e lo segue in silenzio. Passano alcuni minuti prima che il capo del gruppo si fermi dinanzi un’enorme struttura decadente e abbandonata, il vecchio monastero di Dohaeris, Lapis Ancestralia. Abbandonato anni addietro dalla popolazione dopo che i precetti di salvezza del vecchio regno vennero dimenticati. Efrem si fa strada tra le lapidi fragili e malferme del vecchio cimitero soffermandosi per un attimo a rimirare la vecchia struttura accanto. I buchi nei muri la rendono meno imponente e possente di quello che era un tempo e la nebbia notturna unita all’oscurità le infonde un aspetto ancora più sinistro.
L’uomo si ferma davanti l’entrata del piccolo mausoleo e spinge con forza il pesante portone in legno ormai vecchio e logoro. La stanza odora di morte d i muffa e l’unica illuminazione è data da una piccola torcia posta sopra un sarcofago di pietra, «state indietro!» dice Efrem tirando un angolo del sarcofago e trascinandolo da parte rivelando una scala a chiocciola in pietra stretta che scende nel terreno l’intero gruppo scende nella stanza sotto di essa a eccezione di Andreus il quale scende per ultimo ricoprendo l’entrata col sarcofago. I ribelli si trovano quindi all’interno di quella che sembra essere una vecchia sala riunioni con al centro una serie di tavoli rettangolari, un vecchio divano polveroso su un lato e quattro imponenti librerie di fronte alla scala. «Statemi vicino nella prossima stanza, è facile perdersi!» all’interno del gruppo cominciano ad apparire delle facce dubbiose in netto contrasto con la rabbia e la sicurezza del loro capo
che con passo deciso e veloce si dirige verso una delle librerie centrali e ne tira uno dei tomi, l’intera struttura vibra e dopo poco gli scaffali indietreggiano strisciando sulla pietra del pavimento, il mobile quindi scivola di lato sparendo dietro quello accanto e lasciando libero un passaggio poco illuminato. Efrem sorride compiaciuto
attraversando la cripta retrostante con passo fiero, alle pareti molti loculi contengono le ossa dei vecchi monaci messe in preghiera perenne, il tutto sistemato in una struttura labirintica volta al disorientare e far perdere eventuali intrusi.
Dopo alcuni minuti di camminata il gruppo entra in una seconda cripta, ben più larga della precedente al cui interno vi sono solo dei sarcofagi appartenuti alle alte cariche monacali. L’ex cavaliere svolta dietro un angolo seguito dagli altri membri della sua fazione. «Perfetto! Siamo arrivati gente…» guarda ognuno di loro con una nuova luce negli occhi, la rabbia che gli scorre nelle vene ribolle e fomenta quel desiderio bruciante di vendetta che si mostra in un sorriso compiaciuto.
Si volta nuovamente spingendo quindi il muro di mattoni dietro l’altare, quello trema per un po’ per poi cominciare a ruotare sgretolandosi leggermente nella parte superiore e liberando un secondo passaggio segreto.
L’uomo avanza fermandosi al centro della stanza e allargando le braccia «questa notte signori e signore… vi siete ribellati al vostro regno! Tutti voi avete scelto la via della vendetta seguendo il mio cammino! Bene, benvenuti a casa, ribelli di Dohaeris!»
urla sollevando il pugno in alto e spostandosi di lato rivelando un’altra scala di pietra, «seguendo questa scala arriverete al cuore del rifugio stesso, la struttura è formata da tre piani e sono tutti uguali tra loro tranne per alcune stanze al primo e all’ultimo piano. Scegliete la vostra camera e riposatevi. Domattina ci aspetta un nuovo giorno!» detto ciò scende le scale dirigendosi all’ultimo piano della struttura.
C'è una lucciola, una lucciola sul lago
Che brilla, brilla sulle acque...
C'è una lucciola, una lucciola sul lago
Che scintilla, scintilla nella notte...
Dormi dormi mio tesoro
Che la lucciola illumina i tuoi sogni
E tu al buio, al buio mai sarai.
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Il sole risplende tiepidamente sulle torri argentee del Castello di Diamante. L'arsura dei mesi del sole è già un ricordo e le foglie sugli alberi perdono il loro verde vigore e si abbandonano al giallo di una soave caduta. Eppure, a dispetto di tutto, il cielo è sereno sulle terre di Dohaeris. Il giardino del castello è sgombro, stranamente deserto.
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Il principe Lantis è solo, sembra incantato dalla statua che troneggia sul piccolo laghetto immerso nel prato fiorito del palazzo. E' un angelo, rappresenta sua madre Margarete. Quella è la sua tomba, una malattia se l'è portata nel mondo dei morti quando egli era poco più di un ragazzo. Egli l'amava, era il suo sangue. Non c'è niente di più sacro per un Raeghar del sangue. Una lacrime vorrebbe scendere calda sulle gote dell'uomo ma il suo cuore freddo le ghiaccia sul nascere. Lantis, il nobile e potente principe di Dohaeris non è più in grado di piangere da quando sua madre non c'è più, quando a diciott'anni l'ha vista spegnersi tra le sue braccia. Eppure nel cuore quel dolore lo attanaglia ancora.
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Una giovane donna, in abiti regali e passo soave, si avvicina al possente cavaliere. Gli sussurra dolcemente, gli sorride del sorriso di una sorella amorevole. La principessa Esperin avvisa il suo regale fratello che tutti lo attendono nella sala del trono. Quella notte qualcosa di funesto è accaduto. I venti della guerra soffiano più violenti che mai.
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Lantis: "Ricordi la filastrocca della lucciola? Quella che nostra madre ci cantava prima di addormentarci"
Esperin: "Sì, tu l'adoravi"
Lantis: "Lei era la mia lucciola e quando è morta, dentro di me quella luce si è spenta. Ho cercato di essere il figlio che ella amava, ho cercato di riaccendere quel barlume dentro di me. Ma oggi, con il tradimento di Drako, smetto anche di provare a riaccenderla. Dohaeris ha bisogno di me, ha bisogno di una guida per ripristinare la pace... non mi tirerò indietro. E' il mio dovere. Il dovere del sangue".
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Esperin: "Lantis... sono certa che si tratti di un complotto o un malinteso, Drako è cresciuto insieme a noi, ci ha insegnato a combattere, non può aver fatto quello di cui lo accusi... e Lumen... ti prego, come puoi credere a quell'intrigante"
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Lantis: "Lumen? Ti sembra forse che Drako sia stato condannato per quell'accusa? Guarda" dice mostrando con la mano il lato del castello occupato dalle guardie "sono quelle teste i motivi per cui Drako è colpevole". Indica alla sorella, tra l'amarezza e la furia controllata, le teste dei soldati che ha dovuto mettere sulle picche. Quei soldati, un tempo nemici di Dohaeris, erano stati accolti dal Primo Cavaliere nelle fila dell'esercito.
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Esperin: "Oh Lantis, è stato un atto così... crudele e che tu hai frainteso, ne sono certa"
Lantis: "Drako organizzava il suo esercito personale proprio qui, dove la nostra famiglia, nostro padre, che lui ha anche osato nominare al processo, lo ha accolto come un figlio. Era un fratello per me, terre e titoli non gli sarebbero mancati mai... sorella... sei la persona più importante della mia vita eppure non avrei titubato un attimo a dare a lui la tua mano, nonostante non fosse di nobili natali. Ecco come mi ha, ci ha ringraziato! Inserendo dei ribelli, dei nemici nel nostro esercito!"
Esperin: "Nostro padre avrebbe voluto così"
Lantis: "Nostro padre è un debole! La sua bontà non è adatta ad un re... un re deve essere prima di tutto giusto! Quegli uomini, capitanati da Drako si sono approfittati della sua bontà, avrebbero organizzato un golpe... spiegami allora, come mai da cavaliere quale ritiene di essere, non ha accettato la sua condanna? Si è persino fatto imprigionare... ti pare onorevole per un cavaliere che serve la corona, fuggire dalle galere? Prendere parte ai ribelli? Ribelli capeggiati da uno squilibrato che lui stesso ha portato tra i soldati di Dohaeris? Avrebbe potuto lottare per la sua sentenza, invece l'ha accettata e poi è fuggito"
Esperin: "Drako ha cercato di difendersi al processo ma tu..."
Lantis: "Si è difeso solo dall'accusa di Lumen, non ha portato fatti in tribunale, solo parole... le parole se non sono accompagnate dai fatti sono vuote e inutili. Io vedo un quadro molto chiaro davanti a me: Drako ha cercato in ogni modo di organizzarsi delle truppe fedeli solo a lui, che lo hanno visto come il salvatore. Con quelle truppe voleva conquistare il trono... non ci è riuscito e quindi si è unito ai ribelli, è fuggito insieme a loro. Per di più, il capo dei ribelli, Efrem, è stato proprio addestrato da lui tra queste mura... chissà da quanto complottavano insieme"
Esperin: "Capisco i tuoi sentimenti, ti senti tradito e deluso ma Lantis... Drako non farebbe mai tutto ciò, ha sempre lottato per il regno... la tua amarezza ti rende cieco"
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Lantis: "Temo sorella che l'amore che provi per lui renda cieca te, che non vedi una cosa tanto evidente" e con la paura in viso posa le mani sulle spalle di lei "sei l'unica persona cara che mi resta al mondo... nostro padre... i medici sono pessimisti... non tradirmi anche tu"
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Esperin: "Non potrei mai tradirti, voglio solo che su Dohaeris regni la pace"
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La principessa guarda suo fratello entrare nel palazzo e la tristezza ammanta il suo volto. Si sente già nell'aria, trasportato dal vento, l'odore della morte.
All'ombra della luna
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno di Giove
Questa è una di quelle sere dove non ci sono nuvole nel cielo, il manto stellato avvolge tutto ciò che la vista riesce a scorgere e nonostante la calma, c’è qualcosa di diverso… Drako osserva quel punto apparentemente fermo, che è la luna, grande e così luminosa da accecarlo quasi, nonostante non sia piena. La Luna… che dagli albori di Dohaeris è sempre stata considerata la madre della discendenza dei Raeghar, lo sta fissando col suo immenso occhio socchiuso che tutto vede, ma l’uomo non riesce a trattenere un sorriso, sbeffeggiando se stesso, all’idea che quell’astro possa essere una spia dei nemici.
Il giorno di Giove sta per volgere al termine, per lasciar spazio a quello di Venere, la dea che tutto simboleggia in opposizione alla guerra, quella che, al sorgere del sole, farà eco di voce in voce, giungendo in ogni dove. Ci sono state innumerevoli guerre, ancor più morti e feriti, Drako ha temprato la propria anima col sangue dal quale si è spogliato ogni notte dopo le battaglie, ha forgiato le sue armi battendole sui corpi dei nemici ed ha continuato a ripetersi che a tutto quel male c’era un fine: combattere, per proteggere il regno, la sua casa e la sua famiglia, la quale considerava i reali stessi.
Se ne sta in silenzio, a fissare l’enorme portale, un varco che potrebbe condurlo ovunque nel mondo, lontano… lontano da tutto ciò che sta accadendo, ma non è abituato a scappare, anche se gli ultimi fatti potrebbero testimoniare l’esatto contrario.
Alza la mano destra e sfiora il Glados, tiene gli occhi fissi su quello specchio di luce, che da un momento all’altro inizierà a brillare e con un sussurro pronuncia la frase di rito “Rem tene, verba sequentur”
Bastano pochi attimi ed una luce persistente si libera dal portale, è più brillante del consueto, più intensa… accade solo quando dall’altra parte c’è un determinato luogo: La Valmorguli
Chiude gli occhi prima di attraversare quel sottile confine luminoso dalla sostanza magica sconosciuta e solo quando è certo di esser giunto a destinazione li riapre… è abituato a quel luogo che pare incantato, ogni cosa è permeata dalla magia più arcana: le rocce, gli stessi alberi, il cielo… tutto è avvolto da una energia quasi tangibile.
Un luogo avvolto perennemente dal buio, da stelle e costellazioni sconosciute… alberi dalle chiome cangianti e dalle foglie tremolanti, unico segno visivo del trascorrere delle stagioni in quel luogo senza tempo definito.
L’uomo s’incammina sicuro, verso una destinazione che a molti infonde angoscia al solo pensiero, sostenere lo sguardo, seppur velato, degl’Anitchi non è impresa semplice, in molti hanno raccontato di sentirsi svuotati fissando quegl’occhi senza pupilla, né iride… solo una superficie luminosa che pare magnetica.
La porta della sala del Risveglio si apre all’arrivo di Drako, senza che egli debba spingerla ed una volta varcata, essa si richiude nuovamente da sé. L’ex Primo s’inginocchia, tenendo il capo chino in segno di rispetto e convoca i saggi “Chiedo udienza”
Occorrono solo pochi istanti ed i tre spiriti si materializzano.
“Perdonate la mia veemenza, non mi perdo in preamboli, saprete certamente il motivo della mia presenza in questa landa sacra, io…”
“Alza il capo domatore del fuoco” Lo spirito dell’antica strega Elanor si rivolge all’uomo, interrompendolo. Desidera osservalo in viso e scrutarne i pensieri. Drako obbedisce, solleva la testa lentamente e mostra gli occhi che appaiono velati.
“Hai l’animo che brucia Mago Kalisi, ti stai consumando dall’interno, mi appari fortemente provato”
C’è silenzio per qualche istante e solo dopo aver respinto una lacrima, l’uomo riprende la parola “E’ vero, ma non sono qui per lenire le mie ferite, ciò che sono venuto a chiedervi è d’ inviare stanotte stessa il Messaggero al Principe Raeghar ed a Efrem Targaryus”
“Conosciamo già il motivo della tua visita ed acconsentiamo, la guerra è certamente inevitabile, non sei il solo ad esser logorato dal tarlo della sofferenza, ma una riconciliazione per vie traverse non è certamente fattibile."
"Il domatore della Terra è fuori di senno e non si placherà con una stretta di mano, d’altro canto il sovrano del Fulmine ha una tempesta che travolge il proprio animo, alimentato dal tormento della Principessa” Lo spirito dell’ Antico elfo Irith è stato un potente guerriero, ha combattuto accanto al primo Raeghar, conservando sempre un’animo immacolato.
“Proprio per tali ragioni, domattina al sorgere del giorno nuovo di Venere, la valle di Amaranthis sarà il primo campo di battaglia, a seguire verranno le altre zone della Cintura, procedendo verso Nord. Ciò che chiedo, è che sia rispettato il giorno di fermo tra una battaglia e l’altra, gli uomini e le donne necessitano di ritemprare i propri corpi"
"Voglio lealtà e seppur si tratti sempre di una guerra, desidero che ognuno possa combattere al meglio, senza che ci si possa approfittare vilmente di un momento di debolezza altrui. La forza si dimostra nel pieno vigore e non ho intenzione di piegare degli eserciti provati dalla fatica, mi dimostrerei un vigliacco”
“Non è il titolo, né l’armatura che rendono l’uomo Cavaliere, la nobiltà ti appartiene Drako."
"Mercur verrà inviato a breve col comunicato, ma… prima che tu ritorni da dove sei giunto, dovresti far visita a qualcun altro, che certamente è in attesa di un tuo saluto”
Lo spirito antico dell'antico mago Daeron è forse il più saggio fra tutti, è colui che ha posto personalmente la prima pietra del nuovo mondo a Dohaeris ed è lo stesso che ha dettato le regole della Valmorguli.
“… con permesso” Drako si risolleva ed inchinando nuovamente il capo, si congeda.
(inizia al post precedente)
Muove qualche passo verso la destra, dove delle scale appena visibili conducono al piano sottostante, ad attenderlo vi è un infante di poco meno di dieci anni.
Se ne sta sul letto a legger libri ed a contemplare antiche illustrazioni, è il suo passatempo prediletto, ma quando Drako è con lui, dalla sua espressione traspare sempre una forte gioia.
“Drako” Salta giù dal talamo e corre incontro all’uomo, per poi abbracciarlo, appena gli è vicino “E’ da tanto che non vieni qua”
“Perdonami piccolo Shen, cercherò di essere più costante”
Il cinguettio di un uccellino li interrompe, Drako si volta sulla destra e nota una gabbia col piccolo volatile all’interno “Com’è possibile? Non c’è vita in questa landa”
Shen sorride e guarda l’uomo “E’ giunto qui con te, l’ultima volta che hai attraversato il portale”
“Non credi che sia giusto liberarlo, queste sbarre… non può neanche dispiegare le ali e…”
“Se lo lasciassi andare, non sopravivrebbe un solo giorno… non è il luogo adatto ad una piccola vita. Mi prendo io cura di lui, lo tengo chiuso qui, in attesa che si fortifichi, poi lo restituirò alla propria casa, proprio come hai desiderato fare tu, portandomi qui”
Shen lascia spesso Drako senza parole, l’innocenza del bambino è messa in secondo piano solo da quella saggezza crescente, che non appartiene a chi è così giovane di età.
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“Hai ragione…” l’uomo sorride per la prima volta, da quando ha messo piede in quel luogo, si sente tranquillo in quella stanza…. si sente a suo agio con quel piccolo prodigio, ma non è quello il giorno in cui può concedersi la gioia di tale momento, il tempo a sua disposizione si è esaurito “Ora devo andare, tornerò presto” Lo abbraccia una seconda volta con più forza ed appena il bambino gli ricambia il saluto, ripercorre le scale e con passo deciso e ritorna al Glados.
E’ vero… il suo animo è in fiamme, ma non ha mai sentito la propria volontà così forte
Il giorno che è morto dietro le colline di Dohaeris è stato intenso, pieno di lacrime, dolori e pensieri. La notte tra quel giorno di Giove e il nuovo giorno di Venere è buia, oscura e domina tra le fronde del bosco degli alberi vaganti, dove alcuna luce pare potervi accedere. La piccola falce di luna sta or ora nascendo, il suo colore è rossastro, come quello del tradimento. Pare che nulla possa esistere in quell'oscurità indefinita, tra gli alti abeti guardiani di quel luogo che la gente di Dohaeris crede maledetto. Eppure, d'un tratto, qualcosa sembra brillare. Un capanno, una finestra, una candela.
Occhi di brama che attendono qualcuno. Efrem Targaryus scosta con delicatezza la fragile porta di legno e fissa crucciato il fuoco che arde nel piccolo camino di quella che pare una baita per boscaioli.
Il corpo atletico ma smilzo, da uomo le braccia ma da ragazzo le spalle, si proietta a quella luce tremante di nero, deforme, sul muro, come allungato da un sortilegio. Negli occhi il riflesso del fuoco
e gli pare quasi di rivivere quella terribile notte e che la cicatrice in volto ancor gli faccia male. Una voce nell'ombra, sensuale e morbida come la seta, accarezza le sue orecchie fino a quando due occhi dorati avanzano e si mostrano in tutta la loro bellezza.
Lumen Raeghar, la regina di Dohaeris, distende le sue labbra rosse e voluttuose e offre all'ex cavaliere un sorriso di intesa. Il suo corpo è avvolto in un vestito scuro, di seta ametista a tratti trasparente che, lieve, poggia sulle curve perfette, slanciate e snelle e mette in risalto ciò cui nessun uomo ha mai saputo resistere. La scollatura mostra la pelle candida, come di fine porcellana e il seno, prosperoso e lussurioso, profuma di rosa. «Sei in ritardo come sempre, Efrem... in certe situazione lo apprezzo di più» dice la donna maliziosamente,
avanzando con passo regale verso il ribelle. L'uomo sofferma lo sguardo sulla sua beltà, sui punti che ogni donna sa di avere come arma. I suoi occhi salgono poi fino al viso, immaginandolo preda dell'estasi, di quell'estremo godimento che li vedrà attori da lì a poco. Ma Efrem non può dimenticare chi ha dinanzi: la causa principale della rovina di Drako. «Non sarei dovuto venire affatto, dopo quello che hai fatto a Drako». E' severo il tono della sua voce, sangue furente scorre nelle sue vene. «Sei proprio convinto che la mia accusa fosse falsa? Inoltre, sono stata costretta da Lantis, o quelle molestie me le sarei tenute per me. Ti ricordo che, da quel che ho saputo, Drako ha tradito anche te». Il pugno dell'uomo, come reazione incontrollata ad un'eresia, colpisce con violenza il muro accanto al camino, cui dà le spalle. Drako... non riesce ancora a credere che Drako lo abbia abbandonato. Come può il suo vecchio amico non comprendere la sua sete di vendetta, il suo odio verso i reali? L'oro dei capelli della regina sembra scintillare mentre lei posa una mano sul petto di lui.
«Lo so, è orribile quando scopriamo che chi credevamo ci amasse e che noi abbiamo amato è in realtà un mostro... posso ben dirlo io che sono, da quando ero bambina, la pedina politica di mio zio» dice affranta, chinando un poco il viso triste.
Uno schiaffo di rovescio parte, però, dalla volta dell'uomo: accecato dall'ira, Efrem non accetta che Drako sia considerato un mostro. Quella rabbia, quell'odio, tutti concentrati in quel gesto violento che, forse, non vuole nemmeno davvero colpire Lumen. Forse, è verso se stesso che l'ex cavaliere rivolge i suoi rimproveri. Vorrebbe quasi scusarsi, ritirare quella mano che ormai è stata scagliata ma poi rimembra, ricorda con chi ha a che fare. La regina, uno dei suoi sommi nemici. «Tuo zio avrebbe dovuto insegnarti a tenere a freno la lingua e a distinguere un uomo da un pupazzo... Lantis sarà stato anche un pupazzo... ma qui hai davanti un uomo che sa bene di cosa sei capace»
Ogni donna avrebbe urlato, gridato, ricambiato la violenza: non Lumen. Ripone ritto il capo e lo guarda dritto negli occhi, non sapendo nemmeno cosa sia la paura. «So chi sei... un uomo impavido che non ha timore della sua regina... sai quanto amo il tuo impeto...» gli sussurra lasciva, portando la sua mano dal petto verso il basso, dove un uomo è più vulnerabile.
Accarezza delicatamente, attendendo che quella passione traboccante nell'uomo diventi senza freni. Il momento giunge fulmineo, Efrem le prende quel polso esploratore e lo torce dietro la schiena. La donna si sente percorsa da brividi piacevoli, sentendo spingere la sua forza sui loro corpi, che premono l'un contro l’altro. «Come fai a sapere del tradimento di Drako? Come fai a sapere dei rieietti?» le chiede guardandola fissa, con lo sguardo severo di chi cerca risposte. «Oh Efrem, sono una donna dalle mille risorse, hai detto prima che sai di cosa sono capace» replica lei con un lampo di fuoco negli occhi.
La conosce bene, Efrem, da quando era ancora uno scudiero a palazzo. Lei era giunta da lontano, con la regina Margarete ancora in vita e lo zio voleva darla in moglie a Lantis. Poco dopo la regina morì, s'era rilanciata la posta e lei aveva sposato direttamente il re. Si mormorava che il Principe l'avesse rifiutata, che era preda di un'insana passione che lo stava consumando verso una ignota sconosciuta, ma queste voci restarono solo ciò che erano: chiacchiere. Di quei tempi in cui la vedeva ancora un'ingenua ragazzina, Efrem ricorda tutto: i sussulti, la luce con cui la vedeva, l'amore che iniziava a sbocciare. Efrem ricorda bene quando tutto questo crollò, quando scoprì che Lumen era lungi dall'essere quell'angelo puro che pensava. Ma la passione fisica per quella donna non s'era mai spenta, nonostante la guerra, nonostante il male dietro quel viso di fata. Non è un uomo, però, che non segue il suo calcolo: Lumen pare disposta a dargli informazioni e potrebbe risultargli utile. Il ribelle sa che non otterrà confessioni da lei, ma ha appreso una cosa importante: i reali sanno dei reietti. I muri hanno orecchie anche dove meno se lo aspetta. Gira la donna ponendola di spalle a sè, le bacia il collo.
E' stanco di quella danza, di quelle promesse passionali che vuole stringere di concreto. Vuole averla, possederla, ottenere la vittoria con i suoi gemiti, con le sue preghiere di continuare ad amarla ancora, con i suoi occhi deliranti da un piacere proibito. Il profumo di rosa del suo corpo lo invade e la notte, silenziosa e riservata, si stende imperiosa a nascondere ciò che deve essere nascosto.
Scritto by:
Mary24781
Foto by:
SimsKingdom
Oro al sole
Anno DVI
I mese del Sole
I Giorno della Luna
“Tieni la guardia alta”
“Non mi devo mica slogare un braccio”
“Quante storie, avanti”
Drako ed Efrem erano dei giovani uomini, pieni del loro vigore. Si allenavano ogni giorno, entrambi miravano a diventar più forti, anche se il primo di loro era più un insegnante che un semplice compagno di scazzottate.
Drako all’epoca non vestiva ancora l’armatura da Primo Cavaliere, il suo predecessore era ancora in carica, ma gli anni di servizio erano ormai molti e ben presto avrebbe dovuto lasciare il posto alle nuove generazioni, i nomi dei prescelti erano diversi, ma in cuor di tutti c’era la piena coscienza, che uno solo di loro ne era il più meritevole.
“Sì, comandante” Il giovane Efrem era già un Esperto nel campo della magia, aveva dimostrato più volte la sua incredibile affinità con il proprio elemento, molto più dei giovani della sua età… a dire il vero molto più di quel che si potesse aspettare da un sempliciotto, come molti lo avevano definito, quando Drako lo portò a corte da bambino.
“La septa è un ottima insegnante di magia, presto diventerai temibile, ma tocca a me potenziare il tuo corpo e sei così… gracilino” Drako lo derideva spesso, ma lo faceva in modo amichevole, non avrebbe mai offeso il suo protetto, anche perché nutriva un forte affetto per lui ed era certo che per Efrem valeva lo stesso.
“Sarò anche gracile, ma sono veloce” fece uno scatto per colpire frontalmente il Comandante, il quale lo bloccò prontamente
“Non abbastanza… ma puoi migliorare, avanti riproviamo e cerca di non essere prevedibile”
“Non vale, sei il più forte di tutti qui, come potrei mai…”
“Shh... vorresti scontrarti contro quelli più deboli? Cosa ne ricaveresti? Una mera soddisfazione temporanea, gli occhi delle fanciulle puntati su di te con aria sognante? Ma rimarresti sempre uguale, non miglioreresti mai. Ci sono persone molto più potenti del sottoscritto e se tu dovessi mai scontrarti con loro, vorrei assicurarmi che tu sia in grado di vender cara la tua pelle”
Efrem sorrise, era già consapevole della risposta di Drako, in fondo aveva ragione e lo sapeva bene “Beh… gli occhi delle fanciulle sono miei in ogni caso…eheh”
Trascorsero così buona parte della mattinata, Efrem che cercava di colpire invano il suo insegnante con una espressione finta da duro e l’altro che si divertiva a farlo innervosire, se qualcuno li avesse visti, probabilmente li avrebbe presi per due bambini intenti a fare la lotta.
“Tanto non ce la fai”
“Sì, invece…”
“Non…” Drako non riuscì a terminare la frase, che il ragazzo lo colpì in pieno volto con un pugno
“…scus-scusami io…” Efrem si sentì in colpa immediatamente, e si avvicinò all’amico con espressione preoccupata, ma Drako sembrava guardare da tutt’alta parte, come se non avesse risentito minimamente del colpo incassato, mentre un forte rossore preannunciava il nascere di un livido sullo zigomo.
“…sei stato bravo… n-non ti devi scusare” Gli parlò senza guardarlo, c’era altro in quel momento che aveva catturato la sua attenzione, il motivo per il quale si era distratto, avanzava leggiadro verso piazzola del Castello.Capelli che brillavano come oro al sole, onde di seta che incorniciavano una pelle d’avorio, la figura esile e snella le donava un’area eterea, una giovane fanciulla dal corpo che non sembrava ancora maturo, ma che lasciava presagire una bellezza come poche altre.
Efrem s’incantò ad osservarla avanzare accanto a due possenti uomini “Sembra…”
“…un angelo”
“Quei due… li ho già visti! Sono…”
“Sì… quindi lei è Lady Lumen, la promessa sposa del principe Lantis”
La famiglia reale era là ad attenderli, se ne stavano tutti insieme, immobili… come in una fotografia, sfoggiavano gli abiti più preziosi ed indossavano i sorrisi migliori per l’occasione, Re Rickard e la Regina Margaret non erano affatto entusiasti della prossima unione, ma il regno necessitava di questo sacrificio e Lantis non sembrava poi così dispiaciuto…
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La piccola Esperin, ancora nel pieno dell'innocenza, era solo felice di acquisir presto una sorella.
“Quando ho sentito di un matrimonio combinato, mi aspettavo chissà quale cozza, anche perché se avesse preso dal padre… Brrr”
“Già…” Drako diventò improvvisamente di poche parole
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“Torniamo ad allenarci”
Drako si voltò, materializzando le sue Kopesh tra le mani e strinse saldamente la presa “Ora facciamo sul serio”
“Muoviti Efrem”
Mentre i due giovani continuarono nei loro allenamenti, nei giardini del castello ebbe luogo il primo incontro…
IL MISTERO PIU' CUPO
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno di Venere
Le luci timide dell'alba, con il loro scintillio paglierino dietro l'orizzonte, illuminano la strada di Lantis verso il nord. Le foglie sanguigne dell'autunno cadono leggiadre, in una danza condotta dal vento leggero, lieve, una brezza che soffia distratta e accarezza anche i suoi capelli corvini, che scendono mossi sul collo. Il passo del cavallo è lento, fiacco, ma la mente del cavaliere è lucida, in movimento. Pensa a ciò che farà una volta giunto alla barriera degli alti monti Adamantem, a come sia il tempo di scatenare sul mondo la sua crudeltà, la sua forza, la sua potenza. Il re suo padre, un uomo anziano, malato che sta portando nella tomba con sè anche Dohaeris. No, questo Lantis non può permetterlo. Ha lottato così tanto nelle file dell'esercito, da quando era poco più di un bambino, ha dedicato tutta la sua vita all'orgoglio e all'onore della sua famiglia. Non è più l'ora di temporeggiare, le decisioni sono prese e il cammino, lungo e irto che lo attende, non può essere più deviato. Fa cenno ai soldati che lo seguono di accelerare il trotto, come a voler fuggire da quel pensiero che, però, non riesce mai a seminare.
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Poi si ferma, Kirin, il suo cavallo, è stanco: ha bisogno di riposo, il riposo del grande guerriero.
Flashback
Anno DVI D.D.
I mese del sole
II Giorno di Venere
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"Scortare le vostre altezze nella visita della città capitale è mio dovere, Lantis, dovresti saperlo" disse Drako quella volta, ritto sul cavallo e con l'armatura di Dohaeris ancora addosso.
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"Quindi non sei qui per mia sorella? Eppure lei ha indossato quel vestito rosso, così poco consono alla sua natura timida, solo per te! C'è una cosa che io non riuscirò mai a comprendere di te, nonostante tu sia come un fratello... il tuo voto di castità. Insomma, mio padre ha un Primo Cavaliere che, ti assicuro, è tutto tranne che casto... quel vecchio Jorah non fa che correre dietro tutte le gonnelle del regno" replicò un pò divertito Lantis, anch'egli in sella al suo nero destriero, il suo favorito, Kirin dagli occhi di sangue.
"Quando tuo padre mi ha accolto al castello e poi mi ha fatto cavaliere, ho giurato che avrei dedicato la mia vita a difendere il regno e la tua famiglia... i miei desideri sono concentrati solo su questo, è una questione d'onore" cercò di spiegare colui che, un giorno non poi così lontano, sarebbe diventato lui stesso il Primo Cavaliere del re.
"Anche io ho i tuoi stessi scopi, ma il numero delle ancelle che possono vantare una notte con me cresce, comunque, di giorno in giorno" rise il principe, guardando con curiosità la reazione dell'amico.
"E poi come fai... insomma, mettendo per buono il tuo voto... come fai a non soffermare il tuo sguardo su Lady Lumen... è così bella che mi fa desiderare le nozze... ed è grave... è risaputo che il matrimonio è la prigione che le donne hanno inventato per noi uomini... tu... non la guardi mai come la guardo io" continuò serioso, indagando l'altro con gli occhi.
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"Perchè tu come la guardi? Non mi pare di avere per lei occhi diversi dai tuoi" rispose il cavaliere con un tono un po' seccato.
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"Io la guardo come farebbe qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra... con brama e desiderio... se potessi prenderla ora, alla scusa di mia madre e mia sorella, lo farei... tu, invece... i tuoi occhi non dicono questo..." cercò di spiegare Lantis.
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"E' indubbiamente una bella fanciulla, ma non è il mio tipo" disse infastidito Drako, scendendo da cavallo e andando ad aiutare Lady Esperin a salire in sella per tornare al castello.
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Fine flashback
Su quella strada fredda per il nord, il sole si fa più alto ad ogni passo di cavallo e Lantis, ricordando quell'episodio lontano, riflette su quel vecchio amico e ora nemico di cui gli è sempre sfuggito il mistero più cupo.
Terra in fiamme
Anno DVIUn altro giorno era ormai al volgere del termine a Dohaeris, l’ora del tramonto era passata da molto ormai e il nuovo giorno di Saturno si avvicinava alle porte salutando l’ormai terminato giorno di Venere.
I mese delle sole
V Giorno di Venere
Il popolo dormiva ormai da molto e quasi ogni candela e focolare erano freddi liberando fievoli linee di fumo dai piccoli tizzoni rossi che lentamente morivano soffocati dall’aria fresca della sera che li investiva. Il silenzio regnava sovrano sulle lande del regno e da ogni parte si udiva il suono lieve dei grilli che, come una sorta di orchestra, rompevano quella quiete accompagnati dallo scroscio dell’acqua della grossa fontana
che incessante lanciava in aria la sua acqua per poi riaccoglierla tra le sue braccia di pietra con un suono ritmico e continuo. Solo una luce si stagliava in quell’immensa oscurità tremolando di tanto in tanto da una delle tante finestre della Torre di Mezzaluna,
gli occhi del giovane Efrem Targaryus scorrevano da una parte all’altra della stanza fissando a intermittenza
quella piccola fonte di luce posta sul cornicione della finestra, la quale si fece sempre più piccola mano a mano che la fiamma consumava la cera rallentata solo dalle occasionali folate di vento che la portavano a rimpicciolirsi minacciando di spegnerla del tutto. Il cavaliere guardò ancora un po’ quella fiammella mandare piccoli bagliori aranciati e piccoli fili di fumo biancastro e poi sospirò tornando con lo sguardo rivolto al soffitto, l’ennesima nottata insonne, l’ennesima cascata di ricordi di quella funesta notte si riversa con lo stesso ritmo della fontana del giardino riempiendo la mente del giovane con la sua acqua nera formata dal fumo e dalla cenere di quella notte. «Finirà mai questo tormento?» e di nuovo un altro sospiro, questa volta più forte,
seguito dalla mano che frenetica scompigliò i capelli dalle punte rosse mandando alcune ciocche sul volto stanco e assonnato del cavaliere. Con uno scatto si sollevò dal suo giaciglio lasciando scivolare le lenzuola sul suo corpo, con passo lento si mosse verso la finestra appoggiandosi al cornicione con lo sguardo rivolto al cielo notturno, le stelle lampeggiavano una dopo l’altra come in una sorta di coreografia già programmata tempo prima, una piccola nuvola opaca passò oscurandone parte e attraversando il cielo nel vano tentativo di interrompere con la sua presenza quella quiete e quell’armonia. D’un tratto un debole bussare alla porta arrivò alle spalle del giovane, non si aspettava visite e di certo non aveva chiamato alcun servo. Con passo lento si avvicinò alla porta, esitò per un attimo e poi la aprì di poco giusto quel tanto da permettere ai suoi occhi di scorgere la figura dietro la soglia,
dei lunghi capelli biondo dorato incorniciavano il viso candido di Lady Lumen la quale, per un attimo, indugiò con lo sguardo sul corpo del ragazzo «Lady Lumen… cosa… cosa vi porta qui?» disse Efrem aprendo totalmente la porta e rivolgendo alla donna un rapido inchino «Perdonatemi Sir Efrem, io... non riuscivo a dormire... ho seguito i vostri allenamenti e ho visto come Sir Drako vi ha colpito violentemente…»
rispose la donna visibilmente preoccupata avvicinandosi all’uomo e poggiandogli una mano sul braccio, il tocco caldo della dama creò nel giovane una sorta di calma, facendo svanire i pensieri di poco prima
«purtroppo, sono rischi che un soldato è destinato a correre... non preoccupatevi per me...»
disse lui prendendole la mano e rivolgendole un sorriso di risposta «Siete un vero soldato... tra le vostre braccia mi sento così al sicuro...» la donna risalì con la mano il braccio del soldato accarezzandone la pelle fino a raggiungere il petto scoperto dell’uomo, un brivido di piacere colse Efrem che si abbandonò per un attimo a quel tocco «Vi auguro la buona notte, Sir Efrem, ho il cuore più sereno ora che mi avete rassicurato... sarete nei miei sogni…» la piacevole sensazione di quel tocco abbandonò il corpo dell’uomo dopo che la giovane si allontanò da lui per tornare sui suoi passi. In un attimo la sensazione provata la mattina del loro primo incontro si ripresentò nella mente di Efrem, Lady Lumen così vicina eppure così proibita era una tentazione troppo forte per lui. Sapeva che era destinata al principe in un matrimonio senza amore, ma a lui non importava, voleva lei. Concederle quell’amore che non avrebbe ricevuto mai da quell’uomo, quel sentimento sincero che aveva nascosto per tanti anni e a cui non aveva mai dato importanza fino al giorno del suo arrivo. «Lady Lumen… aspettate…» disse con voce bassa raggiungendola e afferrando con dolcezza il polso sottile e delicato della fanciulla, la quale si voltò avvicinandosi con passo lento e lascivo verso di lui. La dolcezza del suo profumo raggiunse il naso del cavaliere inebriandolo e portandolo ad un attimo di pura follia, il corpo di Lumen premuto contro il suo lo chiamava, ricevendo in risposta l’urlo rabbioso ma silenzioso del corpo di lui «Ditemi pure Sir Efrem…» l’altro non rispose limitandosi a perdersi in quegl’occhi dorati che lo chiamavano, lo attiravano a se.
In un attimo le mani di Efrem si posarono delicate sul volto della donna che continuò a guardarlo con quello sguardo lascivo premendo ancora di più il suo corpo su di lui. La foga di un attimo e il giovane si abbandonò alla passione posando le sue labbra su quelle di Lumen che ricambiò senza esitare in un bacio lungo, quasi eterno. L’oscurità rischiarata solo dalle rare candele sparse per i corridoi avvolsero i corpi dei due innamorati trascinandoli in quel momento di pura follia mista a passione che di lì a poco li vedrà amanti in quella notte così piena di stelle.
Efrem è il primo a staccarsi, seppur di malavoglia, da quel bacio attirato dal rumore di passi all’interno del corridoio, delle ombre scure e lunghe si avvicinarono tendendosi ancora di più man mano che la luce delle candele diventava sempre più lontana. «Seguitemi!» le sussurrò il giovane prendendola per mano e portandola all’esterno della torre, l’aria fresca della sera li investì facendoli avvicinare ancora di più, Lumen si strinse al sicuro tra le braccia forti di Efrem. La paura fece da dominatrice tra i due e il battito accelerato del cuore di lui ammutolì la bocca della donna. In silenzio e col cuore in gola si diressero verso i boschi poco lontani dal castello. Una piccola baita si presentò ai loro occhi,
l’uomo sorrise avvicinandosi alla porta e scostandola quel poco per permettere ai due di entrare, la poca luce lunare filtrata dalle fessure delle finestre rischiarava di poco l’interno della casa illuminando un piccolo tavolo di legno e un caminetto su un lato del muro. «Qui… non ci troveranno mai…» disse il giovane rivolgendo alla donna un sorriso rassicurante, sorriso che, si spense alla vista del volto preoccupato della stessa. Gli occhi brillavano di paura sotto la luce fioca della luna, nuovamente le mani forti e sicure di lui si posarono sul suo corpo
«Se mi zio ci scoprisse, metterebbe le nostre teste su una picca...» gli occhi di lei si spostarono per un attimo su quelli di Efrem che sorrise con una nuova sicurezza nell’animo, amava Lumen e nulla al mondo sarebbe riuscito a portagliela via, sapeva che l’avrebbe protetta e un giorno l’avrebbe portata via dalle braccia del principe «nessuno verrà mai a scoprirlo... te lo prometto...»
in un ultimo atto, le labbra calde e morbide di lui si posarono su quelle di Lumen, la notte li avvolse nascondendo il loro amore col suo manto di stelle argentee. «Oh Efrem, insieme a te mi sento così libera... vivo in una gabbia dorata, ma tra le tue braccia mi sento una donna libera…»
Anno DXIII D.D.LANTIS DEL FULMINE
I mese delle foglie
I Giorno di Saturno
Il freddo che attanaglia le membra e gela il sangue: questa è la barriera dei Monti Adamantem. Il Castello nero, incastonato come un vecchio guardiano su quei pendii aguzzi e irti, sembra non soffrire delle sferzate di neve che si abbattono perennemente in quel luogo.
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Un lungo viale e un grande cancello di ferro pesante separa quel tetro luogo e la catena montuosa dalla distesa imbiancata di ghiaccio, che tante volte s'era macchiata di rosso del sangue di soldati, ormai, fantasmi. Lantis è dietro le inferriate, in un silenzio innaturale che tutto avvolge, che tutto soffoca.
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Guarda lontano, lo sguardo tagliente, fermo, cristallino.
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Deve scendere in campo lui contro i bruti, perchè molti, troppi soldati hanno già perso la vita in quell'assalto.
Perchè Tywin Leithien sta guardando.
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Perchè lui è il futuro Re di Dohaeris. Fa cenno alle guardie di sollevare il cancello, i passi pesanti sulla coltre di neve lasciano impronte marcate. Dinanzi, solo la distesa e al di là di essa, la foresta di abeti, fitta, omogenea, misteriosa. "Il Nord ricorda, il Nord non perdona": questo il motto dei bruti. Un motto che Lantis cancellerà dalla storia. Il terreno, d'un tratto, si smuove, vibra fortemente, grossi boati giungono dagli anfratti della foresta.
Come dal nulla generati, un'orda di guerrieri, vestiti di armature di pelle e con i volti dipinti di sangue, si scatena sulla piana. Forse centinaia, probabilmente migliaia.
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Lantis li guarda, un mezzo sorriso sul viso. Non avrà pietà, nessuna pietà.
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Il cielo si ingombra di nuvole nere e il giorno volge a cupa notte. L'aria volteggia, i venti si incontrano, si scontrano e i tuoni, terribili presagi della forza del cielo, rimbombano sulle urla dei bruti.
Lantis solleva lentamente un braccio, il palmo della mano aperto e rivolto verso il firmamento oscurato dai lampi, i barbari che avanzano e lui quasi non li sente più, concentrato su quell'energia che gli scorre nelle membra e gli scuote ogni fibra dell'anima. Gli occhi perdono la loro umanità e lo sa, lo sa che l'ira del dio del fulmine sta per abbattersi su quella terra trucidata dai passi selvaggi dei suoi nemici. Una folgore, brillante e accecante nel suo splendore, un attimo e poi la notte nera. Lantis guarda la morte davanti a sè, quegli uomini che poco prima marciavano fieri e ora sono pasto per gli avvoltoi. Abbassa il braccio e subito dopo il boato, assordante e terrificante, risuona per la pianura, squarciando le viscere della terra con la sua potenza. Si volge verso il castello nero, la rivolta dei bruti è terminata. Dohaeris e la Torre di Mezzaluna lo attendono.
Foto e video di Eclisse84
Anno DXIII D.D.
I mese delle foglie
I Giorno degli Dei
DECISIONE DIFFICILE
Entra piano nella grande stanza rossa, tappezzata di velluto e di arazzi con lo stemma di famiglia dei Raeghar. Lantis chiude delicatamente la porta dietro di sè, avendo la stessa premura che si ha in presenza di un bimbo addormentato.
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Così a tratti gli pare Re Rickard, con una sola delle tende del baldacchino sollevata. Ma quelle macchie nere, ormai divenute omogenee ed estese sul suo corpo, e quella spropositata magrezza, urlano troppo forte alla malattia perchè il giovane possa ingannarsi ancora.
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Fa un cenno imperioso ai servi di lasciarlo solo con il genitore e si appropinqua a lui, facendosi posto sul letto e sedendosi al lato; con una mano gli leva un ciuffo di capelli dal viso e gli sorride amaramente. Rickard è la maschera della morte, che parla con schiettezza che lì non v'alberga speranza alcuna. I medici hanno sentenziato che è stato veleno, che non c'è più il rischio che sia contagioso. Finalmente, quindi, Lantis può andare a visitarlo spesso, nonostante i numerosi impegni che lo trattengono alla Torre. Frequentemente, prima del suo viaggio a Nord, aiutava l'anziano, incosciente da mesi, a lavarsi, a cibarsi e quest'ultima operazione non era affatto semplice. Assisteva i guaritori, che con la loro magia riuscivano a tenere in vita, pur se precaria, il pover'uomo, che era stato in passato l'immagine della forza, della salute. E' triste, molto triste vedere quel male ridurlo in quello stato. Ma Lantis gli parla, lo accudisce come ogni figlio amorevole farebbe, dimenticando lo status e la nobiltà dell'etichetta cui è avvezzo. Questa notte è voluto rimanere solo con il Re. Questa notte ci sarebbe stato il Reggente al capezzale di un Re morente.
"Padre... quest'oggi la nostra Esperin, il nostro amato gioiello, è venuta a conoscenza della proposta di Tywin Leithien. Se la mamma fosse stata presente, ne sarebbe morta di crepacuore. E io, come posso ribattere contro la forza dei suoi diamanti? Cosa mi hai lasciato per poter impedire un matrimonio così scellerato, una discendenza tanto disgraziata? Secondo Lord Tywin Leithien, dovrei dare la preziosa e delicata mano di mia sorella, della tua bambina, del nostro bocciolo di rosa, a quella zampa di maiale che è suo figlio Ryuk! Comprendi? Ryuk Leithien, un animale, un abominio di ciò che dovrebbe essere un cavaliere, sposare la nostra Esperin" dice al silenzioso genitore.
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Nessuno potrebbe dare certezza se il Re possa o meno ascoltare e percepire, ma Lantis si illude che sia così. Il giovane si alza in piedi, inizia a camminare nervoso lungo il lato del letto.
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"Abbiamo perso ad Amaranthis e domani v'è la battaglia di Solumquae... se dovessimo perdere anche questa io... al solo pensiero, sento una rabbia enorme aumentare dentro di me... solo tu... solo tu riuscivi ad acquietarmi... ora ti sento così distante, come se tu fossi già morto" continua quel monologo fermandosi ad osservare il moribondo.
Si inginocchia al suo fianco, posa le mani su quel corpo così debole, fragile, ben lungi dal ricordo di quella tempra da Gran Maestro dei Maghi che donava sicurezza al solo guardarla.
"Padre... come hai potuto rendermi tanto vulnerabile? Ti avevamo detto che le tasse sarebbero state una buona soluzione, ma non hai voluto ascoltare, ancora hai messo il popolo davanti all'ordine e alla stabilità del Regno e ora, quel tuo stesso popolo sta soffrendo per questa guerra. Hai messo i Leithien sul trono a discapito di tuo figlio... come hai potuto essere così debole! Che razza di Re sei stato, se mi hai lasciato in eredità solo dolori e preoccupazioni!" esclama con rabbia, rimettendosi in piedi.
Abbassa gli occhi, stringe i pugni, digrigna i denti. "No padre, vi giuro che quel verme non avrà mai la mano della nostra Esperin... ebbene, e sia. Hai sposato Lumen e non hai mai giaciuto con lei, così da non avere altri eredi, così da scongiurare una discendenza Leithien. Ma sapevo, i tuoi occhi me lo dicevano, che prima o poi sarebbe toccato a me. Io... ho cercato Reneè per tutto il regno, per ogni anfratto, mi sono inchinato dinanzi ai saggi e loro non hanno mai voluto svelarmi dove fosse. Lei... non ha mai voluto incontrarmi. E' fuggita e io devo pensare al mio Regno. Lord Waters dovrà perdonarmi, ma non posso permettere questo abominio. Non sulla sua pelle innocente, non su Esperin. E' l'unica luce che mi resta nella mia vita... non permetterò che si spenga. Ho guardato troppi eventi con impotenza... la morte della nostra Signora, che solo gli dei sanno quanto fosse amata; il tuo avvelenamento e il non poter sbattere nelle segrete il colpevole. So chi è stato, padre, ma... ho le mani legate, per ora... ma ti giuro su tutti i demoni dell'Abgruntis che un giorno strapperò io stesso, con queste mie mani, la sua testa dal suo collo e ce la infilerò in una picca che adornerà la sala del trono. Il tradimento di Drako, i ribelli di Targaryus: altri eventi cui ho assistito impotente. Lady Alinor Waters mi reputa persino responsabile di questo. Eppure, ho dovuto fare così, non ho avuto scelta, tu lo sai. E quando non si ha scelta, non si ha potere di cambiare le cose. Ma Esperin... no, Ryuk Leithien dovrà passare sul mio cadavere anche solo per pensare di mettere quelle mani lorde su mia sorella" tira un respiro profondo, chiude gli occhi, si siede ancora accanto al genitore e gli stringe le mani.
"Sposerò Lumen e darò a quella baldracca un figlio. Lord Tywin tornerà a cagare diamanti nel suo Castello nero e la situazione tornerà stabile. Non dovrò nemmeno tassare la popolazione, così anche il tuo volere sarà rispettato. Che gli dei... che gli dei ci perdonino, padre" conclude il suo sfogo, rimboccando amorevolmente le coperte del Re e uscendo dalla stanza.
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Lantis si dirige nei suoi appartamenti, dando una rapida occhiata alla porta di quelli della Regina: qualcosa nel suo cuore si stringe di un dolore profondo e acuto, qualcosa lo disgusta nello stomaco. Ma rassegnato va a dormire, che una lunga giornata gli si profila davanti.
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La danza delle spade
Anno DVI
II mese del Sole
III Giorno di Mercurio
Se c’è stato un tempo in cui adagiarsi sugl’allori, è stato sicuramente un tempo non molto lontano a Dohaeris, solo otto primavere or sono la vita scorreva tranquilla al Castello e per i cittadini del Regno. Re Rickard avvolgeva ogni cosa con la propria presenza, un’aura costante di tranquillità e pace, nulla sembrava poter turbare quell’equilibrio che pareva così solido.
“Oggi è il giorno dedicato alla cerimonia alla pendici di Solumquae, le vestali balleranno e s’ingrazieranno il volere degli Dei, affinché il vulcano non si ridesti e continui a dormire, quindi preparatevi, che questa sera dobbiamo presenziare tutti, è l’evento più importante a Dohaeris”
Re Rickard era coi propri figli e l’amata consorte, ogni anno non mancava di ripetere loro le stesse parole, come se fosse il primo giorno in cui avrebbero dovuto presenziare a tale evento.
la Regina Margarete era accanto a lui come sempre e rivolgeva alla propria famiglia un sorriso, un sorriso che le illuminava il viso solo quando era con loro. Era molto stanca in volto, i segni della malattia si facevano sempre più forti, quasi faticava a reggersi in piedi, ma nonostante ciò si mostrava sempre fiera in viso, sforzandosi di apparire forte ed imperturbabile.
“Non mancheremo di certo Padre, anche quest’anno…”
Lantis era un giovane ragazzo, pieno del proprio vigore, ma soprattutto era sereno, da pochi mesi aveva incontrato la propria promessa Lady Lumen, ma l’idea di un matrimonio combinato non lo turbava affatto. “Non vedo l’ora Padre” La piccola Esperin era poco più di un adolescente, non riuscì a contenere l’entusiasmo, sembrava quasi saltellare all’idea di quel che avrebbe dovuto fare da li a poche ore.
Re Rickard era così fiero di sua figlia, che mai riusciva a trattenere i gesti amorevoli di un padre anche in pubblico, non gl’importava se lo avrebbero giudicato troppo tenero, puntualmente si lasciava andare a gesti gentili anche con Lantis, il quale ne era felice, nonostante fosse meno propenso a tali dimostrazioni di affetto in pubblico. Il Re si avvinò alla figlia e le baciò la fronte.
“Preparati Esperin, sai cosa dove ci attendono…” Anche la Regina non mancò di avvicinarsi alla ragazzina, attendeva quel giorno da parecchi mesi e la piccola Principessa era visibilmente fibrillante.
“Al tempio delle Vestali, devo scegliere io chi si esibirà nella danza delle spade, quando andiamo madre? Ora?”
“Concedimi il tempo di rendermi presentabile Figlia mia e ti raggiungo” Porse il braccio al Consorte ed insieme si diressero alle stanze reali. Lantis notò con la coda dell’occhio l’amico Drako passare per i corridoi del castello, assieme al suo soldato più fidato, aveva scelto di non legare con Efrem, a dire il vero… la propria amicizia era un lusso concesso unicamente al Comandante, ma la realtà dei fatti è che, tutto sommato, gli era alquanto simpatico.
“Comandante Kalisi” Drako si voltò verso Lantis
“Lantis, non c’è bisogno che mi chiami col mio titolo”
“Lo so bene, ma mi diverte darti un tono, comunque… i soldati sono pronti per la cerimonia?”
“Sì, li ho addestrati personalmente nel difficilissimo compito di star fermi in riga ad osservare la cerimonia” Drako, nonostante le battute, aveva l’espressione seria… forse troppo.
“Ci sono le gnocche?” Efrem s’intromise con fare scherzoso, consapevole di potersi lasciar andare a questo genere di esternazioni quando erano soli
“Vestali, Targaryus, teniamolo ben a mente, sono intoccabili… quasi tutte! Comunque guarda e desidera chi preferisci, ma ricorda che tra tutte le presenti alla cerimonia c'è la mia promessa sposa, lei è solo mia”
Lantis sorrise beffardo, era consapevole del fatto che alcune delle sacerdotesse non fossero pure come si dichiaravano, anche se venir meno a quel voto era al pari di un sacrilegio. “A più tardi allora” Lantis si allontanò con l’espressione sorridente ed il passo veloce.
“Ho una cosa da fare, avviati dai soldati e dai le disposizioni da parte mia, vi raggiungo tra pochi istanti”
“Ai tuoi ordini, Comandante”
Drako lo salutò, poi a passo veloce, prese ad incamminarsi in un corridoio del Castello, quello che conduce alle stanze della Principessa.
“Pulce”
La ragazzina non era ancora giunta a destinazione e quando sentì la voce di Drako si voltò velocemente verso di lui avvampando “Drako…”
“Ho poco tempo, devo dirti una cosa importante” Si avvicinò a lei azzerando le distanze e con un gesto veloce e confidenziale, alzò il volto di lei verso il suo con la propria mano
“Ascoltami…”
“Mi metti in imbarazzo…”
Il ragazzo la fissò dritto negli occhi, incatenando le iridi verdi alle sue, che si bagnavano di azzurro ed incominciò a parlarle, senza distogliere mai lo sguardo
“Quando ti recherai al tempio oggi, dovrai scegliere anche la vestale dai lunghi capelli rossi, è l’unica con quel colore. E’ una tua volontà, una tua scelta, dimentica che io ti abbia detto queste parole, dimentica di avermi visto qui. Puoi tornare alle tue stanze ora”
La Principessa lo fissò ancora per qualche istante, poi, come un automa, lasciò lo sguardo di lui e, come nulla fosse, riprese il proprio cammino.
Drako la guardò andarsene, lo sguardo di chi non sapeva se aveva fatto la cosa giusta e la colpevolezza di aver ingannato Esperin col proprio charme era forte, ma c’era qualcosa di più forte del rimorso a piegare la propria volontà, qualcosa alla quale non riusciva ad opporsi.Testo e foto di Eclisse84
Il sole era ormai alto e le colline verdeggianti del Regno sembravano abbracciare il Tempio dedicato alla divinità del fuoco, l’enorme struttura brillava candida colpita dai raggi di quell’ora e le statue che troneggiavano sulle alte colonne,donavano al tutto un’aria mistica.
La Regina e la Principessa passeggiarono lungo il viale ricoperto dal prato ed all’imponente ingresso al tempio, vi era già la Somma Vestale ad attenderle.
Ogni anno si ripeteva la stessa tradizione: le vestali venivano scelte da un membro donna della famiglia reale e dopo molti anni, in cui le prescelte erano sempre ricadute sotto gli occhi di Margarete, quella volta era giunto finalmente il turno di Esperin. Varcato il pesante portale, le donne si ritrovarono in un ampio salone, ove altre statue dalle fattezze femminili, circondavano l’area della stanza ed i loro visi marmorei, venivano illuminati dai timidi bagliori delle fiaccole. A guardale bene, sembravo quasi umane, vive nella loro solidità e quelle iridi di pietra vigili parevano seguire i movimenti dei presenti, ma non infondevano un senso di timore, la loro presenza era quasi rassicurante, al pari di guardiani benevoli pronti a proteggere le donne di quella sala.
Le numerose vestali, di ogni razza e colore, si erano posizionale in fila, erette in tutta la loro bellezza, alcune fiere, altre timide, ma tutte dotate di una bellezza inconfondibile ed a tratti eterea.
La Somma Vestale invitò Esperin a muovere un passo in avanti, in modo da poter osservare meglio le giovani fanciulle, in realtà non c’era un criterio in base al quale effettuare la scelta, ci si basava unicamente sulle sensazioni che ognuna era in grado di infondere, anche solo basandosi sulla “simpatia a pelle”, dovevano colpire ed attirare l’attenzione, magari con un semplice sguardo o sorriso.
Era un enorme privilegio poter danzare con la spade consacrate alla Dea, durante la cerimonia a Solunquae, ogni fanciulla si ingraziava il volere degli Degli Dei tutti, sotto gli occhi dell’intero Regno e di chi rappresentava le massime autorità, come i tre Gran Maestri e le proprie famiglie.
“Giovane fanciulla, il tuo animo puro saprà guidarti verso le prescelte” La donna rimase poi in silenzio, sicura del fatto, che a prescindere dalla scelta, ogni vestale era in grado di adempiere al proprio compito.
Esperin dimostrò titubanza, forse dovuta solo all’eccessiva timidezza che la contraddistingueva all’epoca
“Avanti figlia mia” Margarete non mancò di farle sentire la propria vicinanza, un’unica frase pronunciata senza muoversi di un passo verso la Principessa, ma quelle poche parole bastarono per destarla e spingerla alla prima scelta
“Lei, con i capelli lunghi e mori ed anche lei dalla carnagione color ebano”
Passò in rassegna ogni volto, ogni abito, ogni sguardo, scelse sette fanciulle, una più radiosa dell’altra, ma proprio quando stava per indicare l’ultima, si bloccò… i suoi occhi si incatenarono ad una lunga chioma rossa, rossa come il sangue, rossa come il fuoco, rossa come quella che le aveva indicato Drako, ma lei non ricordava quest’ultimo dettaglio… sapeva solo che doveva sceglierla e che se non lo avesse fatto sarebbe stato un grosso errore, qualcosa che non era in grado di spiegare. Quella ragazza dallo sguardo fermo, sembrava quasi attendere lei stessa quella scelta, in quel momento erano come legate da un doppio filo: Esperin e la Rossa senza nome.
“…lei” la indicò senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella fanciulla che contraccambiava coi propri occhi.
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Esperin si sentì immediatamente sollevata, dopo quest’ultima scelta, come un masso sullo stomaco che si era improvvisamente dissipato, sciolto nell’aria… avvertiva un senso di leggerezza e di soddisfazione, non ne comprendeva il motivo, ma era felice, felice di aver scelto le otto vestali per la cerimonia sacra a Solumquae.
I due grifoni reali vegliavano ai lati di quella che era l'annuale e propiziatoria danza delle Vestali.
La potenza del Vulcano di Solumquae avrebbe potuto distruggere l'intera Dohaeris e quindi, i massimi esponenti del Regno, ogni anno, si radunavano per assistere alla sacra danza delle vergini, scelte in quell'occasione dalla Principessa Esperin. Fanciulle di indubbia beltà, che facevano volteggiare le spade consacrate con una leggiadria divina, incantevole.
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I soldati, dal dietro dei loro elmi, nascondevano sguardi compiaciuti per così tanto spettacolo sublime.
Anche Lantis, appena diciottenne, era ammaliato da tanto splendore ma, di tutte quelle gemme, una soltanto aveva catturato il suo sguardo, un rubino prezioso e scintillante che fra tutte illuminava la notte come la luna che, maestosa, brilla circondata dalle stelle. Corpo sinuoso, movimenti aggraziati, capelli rossi come il fuoco più ardente: questa era Reneè, che tanto gli sarebbe stata fatale al cuore. Lantis restò soggiogato senza badare a null'altro attorno a sè, rapito da quel sentimento che gli ardeva dentro come l'inferno, come il tormento più assillante, la luce più accecante.
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La passione più viva era come una fiamma sottile sotto la pelle, le mani bramose di avvicinarla, accarezzarla, averla. Non solo il desiderio, però, lo portò tra le braccia di quella misteriosa fanciulla: quando ella gli sorrise, qualcosa in lui si illuminò, come una notte che aveva finalmente la sua regina, come un mare tempestoso su cui calava una dolce brezza, che ammaestrava le onde furiose e le addomesticava, così da lasciarle morire quiete alla riva. Reneè era la completezza: assieme a lei, Lantis non si sentì più spezzato ma intero, solido come la roccia, umano come non lo era mai stato. Il cristallo sottile che spesso si incrinava nell'animo del giovane, diveniva diamante con lei e Lantis, per la prima volta, sentiva che avrebbe potuto sconfiggere da solo il mondo intero.
Dopo la danza, il Principe riuscì ad evitare gli incontri formali e raggiungere le danzatrici, che al vederlo, tutte spasimarono per l'eleganza del portamento e il suo bell'aspetto. Tutte restarono deluse, perchè quegli occhi verde mare non cercavano loro. Cercavano Reneè e quando la trovarono, non la lasciarono più. Lantis si fece coraggio, con un guizzo cercò di fermare la ragazza che era sfuggente, le chiese il suo nome e le disse, come un bambino impacciato (e tanto si sentì sciocco quando ci ripensò) che in lei aveva visto una bellezza che nemmeno la luna in cielo vi poteva concorrere.
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Reneè lo guardò timida, lui forse le aveva fatto un poco tenerezza e gli sorrise.
Con un fil di voce gli disse il suo nome per poi fuggire via, sparendo nella folla. Lantis la cercò già disperato, ma non aveva talento a trovarla. E mai l'avrebbe avuto. Si sarebbero rivisti, gli dei avevano altro in serbo per loro, ma quella notte, il cuore del Principe non poté più essere di nessun'altra.
Foto di Eclisse84
Vento che incendia, terra che soffoca
Anno DVIII D.D.
III mese del sole
IV Giorno della Luna
L’alba, un momento di quiete, silenzio e pace. All’esterno, solo il frusciare del vento tra le fronde degli alberi intorno alla torre della mezza Luna. Tutto il luogo era avvolto da un silenzio innaturale, un silenzio che, di lì a poco, sarebbe stato scacciato dal clangore delle armi e dalle urla dei soldati in allenamento. Il sole compariva lentamente da dietro i monti accorciando sempre di più le ombre degli alberi e illuminando pigramente i dintorni di quelle tonalità rosate, Efrem era già in piedi da diverso tempo, ennesima notte insonne disturbata sempre dallo stesso incubo, ormai ne aveva perso il conto. Sempre le stesse immagini, le fiamme, sua madre che lo chiamava a se e lui, piccolo e gracile non aveva alcun potere contro tutto, contro quella distruzione che aveva portato via sua madre e sua sorella poco dopo. Scosse la testa ricacciando quei pensieri e, dopo essersi procurato un catino con dell’acqua fredda, si immerse totalmente e riemerse poco dopo quando ormai il fiato cominciava a mancargli, sentì gli occhi già gonfi per il poco sonno sgonfiarsi poco a poco fino a che ogni traccia dell’insonnia non fu svanita totalmente. Abbandonò il freddo pungente della vasca e si rivestì. Rimanere in camera ed aspettare il risveglio degli altri cominciava ad annoiarlo, sarebbe andato in armeria allenandosi un po’ da solo fino a che qualcuno dei soldati non si fosse svegliato. Per i corridoi non si udiva altro che il suono leggero dei suoi stivali sul pavimento in marmo e il frusciare della sua casacca azzurra, presto però quell’apparente silenzio sarebbe stato interrotto dal via vai di soldati e servi che si affrettavano a raggiungere i vari punti della torre. Chi nella sala degli allenamenti chi a tavola per consumare forse l’ultimo pasto della sua vita visto che, di lì a poco si sarebbe svolta l’ennesima guerra in difesa dell’onore e del regno di Dohaeris. Un gemito sommesso arrivò alle sue orecchie. Gli parve uno scherzo del sonno, magari il vento che soffiava all’interno della torre o attraverso qualche crepa nei muri, non gli diede troppo peso. Un altro gemito, stavolta più forte simile ad un urlo soffocato seguito da un altro dal diverso timbro «qualcuno si sta divertendo con qualche servetta!» le labbra del giovane si piegarono in un ghigno mentre riprese a camminare,
i rumori si fecero sempre più distinti man mano che Efrem avanzava per il corridoio per raggiungere l’armeria. Non era mai stato uno spione o uno a cui piacevano i pettegolezzi ma la vista di uno spiraglio di luce da una delle porte lo incuriosì, si avvicinò cautamente alla porta ma non appena vi posò la mano sopra, questa si aprì rivelando i corpi nudi dei due amanti riversi sul pavimento, lui era di spalle mentre sovrastava con rapidi movimenti del bacino la donna sotto di lui, i tatuaggi rendevano quel corpo inconfondibile e riconoscibile agli occhi del giovane: Ryuk.
Guardò la figura sotto di lui cercando di riconoscervi una delle tante conquiste del soldato, la pelle candida, delicata e al pari di una bambola di porcellana gli appariva troppo familiare, il seno di lei, procace e abbondante era stretto in una morsa dalla mano dell’uomo. I capelli, biondi come sottili fili d’oro erano sparsi in boccoli disordinati sul tappeto ma quando vide il viso della donna, qualcosa si ruppe nell’animo del giovane Efrem. Sentì il suo cuore perdere un battito, le mani tremarono e gli occhi iniziarono a bruciare colmi di lacrime di dolore che fremevano dal fuoriuscire «Lumen…» disse quasi in un rantolo mentre chiamava il nome della donna amata.
Quel suono, così poco sommesso e nascosto fece voltare immediatamente i due amanti, la donna si alzò di scatto coprendosi il volto e i seni con le mani «Efrem! Aspetta posso spiegare…»,
Ryuk si voltò osservando compiaciuto l’espressione stravolta sul volto dell’altro «ciao pivello, non mi dire che non hai mai visto un paio di tette in vita tua, stavo scopando sul pavimento per non fare troppo baccano col letto... ma a quanto pare ci hai sentiti lo stesso, Lumen non sa proprio contenersi», solo un misero asciugamano a coprirne la parte inferiore del corpo.
La donna tentò di aprire bocca, forse in difesa, forse per tentare di scusarsi con il ragazzo che, ormai non aveva più occhi per lei, il suo sguardo furente era puntato nelle iridi dorate dell’altro.
: ArrowU :
Ryuk si sollevò da terra mettendosi alle spalle di Lumen, il sottile tessuto blu scivolò lasciando dietro di se il corpo nudo dell’uomo, un corpo che ora gli sembrava solo un volgare insulto
«perché? Perché Lumen? Perché lui?» la voce di Efrem si ruppe, la rabbia ribolliva dentro di lui divorando e corrompendo l’amore che albergava prima ancora nel suo cuore «Se vuoi restare a guardare non ho problemi, come puoi ben notare…» indicò poi con gli occhi verso il basso «lui vuole continuare… conosce la strada, la percorre da anni.» Efrem non ci vide più, ormai la rabbia aveva consumato ogni singola goccia della calma che era solito mostrare. Ora la sua mente era dominata da un’unica azione, distruggere Ryuk. Fare a pezzi quell’uomo che si stava portando via gli ultimi rimasugli del suo sentimento verso Lumen. «Vedremo se riuscirai a reggerti in piedi dopo!»
il suo corpo si irrigidì, la sua postura mutò in una posizione da guardia, una di quelle che Drako, nella sua enorme esperienza e pazienza gli aveva insegnato, Efrem era accecato dall’ira, ancora acerbo e solo una piccola parte dell’uomo che è ora. Troppo debole per affrontare Ryuk. Quest’ultimo non riuscì a contenersi e, nell’osservare la postura del giovane scoppiò in una violenta e fragorosa risata sbeffeggiandolo «Ahaha non mi dire che te la scopi anche tu e ti senti tradito? Mia cugina si fa proprio di tutto!».
Il momento fu breve, Efrem scattò in avanti in direzione dell’uomo, del mostro che stava distruggendo la sua vita e la sua dignità ma questo fu più veloce e dopo averlo bloccato con un possente pugno, lo afferrò per la gola spingendolo contro il muro e sollevandolo da terra. Efrem non respirava, sentiva la sua gola stringersi sempre più mentre l’aria cominciava a mancargli nei polmoni «Fermati! Non fargli del male!» urlò Lumen di nuovo vestita afferrando le spalle di Ryuk e strattonandolo nel tentativo di liberare il ragazzo, l’uomo parve non ascoltarla, strinse ancora di più la presa sulla gola del soldato fin quando…
non lo lascio cadere al suolo. «Non mi va di sporcarmi le mani oggi, vai a frignare altrove!», Efrem tossì con forza, sentì l’aria invadere nuovamente i suoi polmoni ma il peso dell’umiliazione, della sconfitta appena subita gravò su di lui insieme a qualcos’altro, un ricordo forse, che si era liberato nella sua mente, si sentiva inerme, debole, un completo fallimento per se e per la donna che aveva tanto amato e che non era stato in grado di proteggere dalle mani viscide e possenti dell’altro. Si mise in piedi e corse fuori dalla stanza, il dolore dei colpi subiti lo fece fermare a pochi metri dalla porta, riprese fiato e, con un ultimo spasmo le lacrime lo tradirono scivolando copiose sul suo viso, singhiozzò come un bambino. Quel bambino che non era stato nemmeno in grado di difendere la sua famiglia, le lacrime continuarono a rigargli il volto quando una voce alle sue spalle lo fece sussultare. Raddrizzò la schiena ma non si voltò nel sentire i passi lenti e incerti di Lumen
«Non volevo che tu vedessi, che tu sapessi... tu... non puoi capire...» disse soffocando la tristezza e l’umiliazione nella sua voce. Efrem si asciugò in fretta le lacrime con la manica e si voltò rivolgendole un sorriso, un sorriso finto, una maschera che mostrava solo a chi non meritava null’altro «lascia perdere… tanto anche per me era una cosa di poco conto, sono solo stato uno sciocco, tutto qui…»
la donna tento di fermarlo «aspetta, ti prego, io non volevo che le cose andassero così... io... posso spiegarti se tu lo vuoi» ma il giovane non aggiunse altro e, dopo aver rivolto alla donna un ultimo e formale inchino si voltò e raggiunse la sua stanza. Le tende erano state tirate oscurando il sole che filtrava dalla finestra e conferendo alla camera quell’aspetto ancora più tetro e deprimente. Efrem si chiuse la porta alle spalle e si abbandonò sulla cassapanca poco lontana, le mani congiunte davanti al volto.
Pianse, pianse con tutto il dolore che aveva in corpo, le lacrime caddero copiose e gocce calde bagnarono le gambe dei suoi pantaloni. Pensò a lumen, al suo sorriso solo pochi giorni prima, quel sorriso che ora appariva distorto in una smorfia di derisione accompagnata dal viso dell’uomo, del mostro. Il pianto si tramutò in un urlo, un urlo di rabbia che lentamente richiamò la sua arma, la sua falce. Quei teschi lo fissarono all’unisono e, nel culmine della sua rabbia, Efrem lanciò quella lama, la scaglio con tutta la violenza e potenza che poteva e così come la sua voce gli morì in gola in un ultimo disperato singhiozzo, così l’arma fermò la sua corsa conficcandosi per metà all’interno della testata del letto e segnando con quella curva così perfetta la fine. La fine dei suoi tentativi, la morte di quel sentimento d’amore verso di lei, verso la donna che era riuscita a portare uno spiraglio di luce all’interno del suo cuore e che ora lo lacerava da dentro in una silenziosa ma soffocante sofferenza…
*Foto di Eclisse84
Ci sono giorni in cui il buongiorno si vede realmente dal mattino, ci sono giorni in cui ci si sveglia con una sensazione che ci è più simile ad un avvertimento, una premonizione, qualcosa che non riusciamo a spiegarci e che comunque non ascoltiamo. Drako si era svegliato presto quella mattina, nonostante fosse il periodo più caldo dell’anno, avvertiva sulla pelle piccoli brividi di freddo, ma il cielo sembrava essere libero dalle nuvole. Quella mattina aveva appuntamento con Efrem per il loro allenamento settimanale, a Franthalia era ben diverso che in armeria: aria pulita, un cielo come tetto e nessun curioso ad osservarli o intromettersi. Il sole era già alto quando Drako iniziò il riscaldamento ed a giudicare dalla posizione dell’astro nel cielo, Efrem era decisamente in ritardo.Terra che rinasce
Anno DVIII D.D.
III mese del sole
IV Giorno di Mercurio
Lo vide arrivare dopo qualche minuto con il passo pesante e lo sguardo basso, ad osservarlo bene, sembrava avere l’espressione piuttosto stanca, gli occhi arrossati e scavati. “Oh… ti sei deciso! Pensavo di dover venire a tirarti giù dal letto stamane” Drako gli si avvicinò con passo sicuro, quasi saltellante, ma dall’amico ricevette solo un mugolio in risposta. “Che faccia che hai, è successo qualcosa?”
“No, non è successo niente!” Efrem rispose scontroso, con il tono di chi non ha voglia di continuare il discorso, non guardò Drako in viso, si limitò a qualche movimento per sgranchirsi. Drako chinò la testa e dopo qualche istante di silenzio, fissò le sue occhiaie
“Efrem… ma hai bevuto?”
Quello che accadde, avvenne in un attimo, una frazione di secondo: Efrem alzò la mano destra al di sopra della testa ed in questa si materializzò la sua arma. La lama di metallo brillò per un istante, riflettendo il sole alto, poi con uno scattò Efrem la lanciò in direzione di Drako. La falce lo sfiorò di pochi millimetri, trinciandogli un ciuffo, per poi andarsi a conficcare nella roccia alle spalle del ragazzo, distante qualche metro.
“Tu che dici?” Aveva lo sguardo di chi avrebbe ucciso senza rimorsi, Drako stentò a riconoscerlo, i suoi occhi parlavano di rabbia, non c’era bisogno che parlasse, era successo qualcosa che lo aveva rotto dentro, qualcosa che non voleva condividere neanche con il suo più caro e vecchio amico. “Allora? Iniziamo?” Sentendo quelle parole Drako si mise in posizione di difesa, aveva capito che quel giorno non sarebbe stato un semplice allenamento, Efrem aveva molto da sfogare, non ci sarebbe andato leggero.
Come previsto il ragazzo si scagliò con tutta la forza che aveva in corpo con Drako, non si risparmiarono colpi, agli occhi di un osservatore, potevano sembrare realmente due nemici in una sfida all’ultimo sangue.
Nessuno aveva la meglio, sembrava che fossero alla pari, nella realtà Drako si stava limitando molto, Efrem era senza controllo e non voleva fargli del male più del dovuto, era anche convinto che dopo quello sfogo, avrebbe riacquistato un po’ di lucidità, ma non era così… al posto di calmarsi, sembrava fomentato da un fuoco interiore che lo spingeva a continuare ed insistere con forza sempre maggiore.
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Efrem richiamò nuovamente a sé la propria a arma ed in uno scatto la impugnò con entrambe le mani portandola al di sopra della testa
Guardò Drako come se fosse una persona qualsiasi, come se non fosse il suo amico di sempre, lo guardò come se fosse una erbaccia da estirpare, con gli occhi colmi di rabbia, una rabbia che non riusciva a contenere. Scagliò il colpo con tutta la propria forza, come se volesse aprire in due il cranio del Primo, la lama avrebbe affondato con facilità ed ucciso il ragazzo sul colpo, ma prontamente Drako evocò le proprie armi e le incrociò in alto per fermare il colpo a soli pochi centimetri dalla propria testa.
Restò fermo in quella posizione per qualche istante mentre sentiva Efrem imprimere tutta la propria forza, cercando di far andare il colpo a segno a tutti i costi.
: ArrowU :
Fu allora che il Dragone si liberò, opponendo la propria potenza e gettando per l’aria Efrem, facendolo cadere a terra pesantemente.
“Basta Efrem, ma che diamine ti prende?”
“Avrei fatto qualunque cosa per lei…” rispose con voce sommessa, mentre con il braccio destro faceva forza in terra per rialzarsi “Io l’amavo, hai capito?” tornò in piedi, ma col capo basso, come se fosse in preda a degli spasmi di dolore, Drako pensò che fosse sull’orlo di un pianto disperato, Efrem tremava, aveva la mascella contratta ed i muscoli tesi.
“Efrem, che ti hanno fatto?” Drako riassorbì le proprie armi, esse si dissolsero nel nulla così come erano apparse e fece per avvicinarsi al ragazzo, il quale era sempre più visibilmente scosso.
“Non ti avvicinare” urlò, alzò la testa in direzione di Drako e lo fissò, l’amico sentì un nodo in gola, riconosceva quello sguardo, lo aveva già visto negli occhi di altri, persino negli occhi di Lantis quando quel giorno sul campo di battaglia gli salvò la vita.
“Giuro, che prima o poi lo ammazzo, giuro che ucciderò ogni Leithien esista su questa terra con le mie mani” alla vista di ciò che accadde, Drako si bloccò come paralizzato, Efrem iniziò a tremare ancor più fortemente, così come la terra sotto i suoi piedi, gli sembrò di ritrovarsi in balia di un terremoto ed Efrem stesso ne era l’epicentro.
Per un lasso di tempo che parve interminabile, ogni cosa era confusa e Drako invano provò a chiamare l’amico per cercare di calmarlo, ma quest’ultimo lanciò un urlo con tutta la sua forza verso il cielo e la sua aura si manifestò in un bagliore che lo avvolse interamente, una luce gialla che pulsò per qualche secondo fino a riassorbirsi nuovamente al corpo di Efrem.
Quando l’urlò terminò anche la terra smise di tremare, ma il ragazzo si accorse di qualcosa di strano, un dolore lancinante gli pervase il corpo ed un rumore di ossa spezzate si propagò per l’aria, rumore che proveniva da lui stesso. Agghiacciato Efrem si rese conto che dal suo braccio erano spuntate un ammasso di radici, sembravano nascere dalle sue stesse ossa e rompergli la pelle, ma senza versare alcuna goccia di sangue, come se quel varco fosse parte di quell'arto da chissà quanto tempo.
Attoniti osservarono il braccio ed entrambi realizzarono che qualcosa era cambiato: tutta quella rabbia, il terremoto, l’aura liberatasi dal corpo del ragazzo e quelle radici, stavano a significare che la magia aveva superato un nuovo limite, Efrem era diventato un maestro della terra.
Quando le radici si ritirarono, il giovane svenne, esausto da tutta quella fatica, quel dolore e quel misto di emozioni che gli avevano logorato l’anima ed il cuore.
Drako si chinò rapidamente e lo strinse a sé, era ancora incredulo, Efrem era così giovane, non più giovane di quando egli stesso era divenuto un maestro del fuoco, ma comunque si trattava di un evento raro.
“Perdonami” disse con un fil di voce “Ero fuori di me”
“Efrem… non devi scusarti, successe anche a me di perdere il controllo, ma… cosa ti è successo? Eri già in uno stato pessimo quando sei arrivato qui”
A quelle parole il ragazzo iniziò a singhiozzare e riuscì a proferire solo poche parole “Ho ricordato…”
Il Grifone e la Serpe
Anno CDLXXXIV D.D.
III mese della neve
II Giorno di Marte
C’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui Dohaeris era quel regno che ora appare quasi come un ricordo: La popolazione viveva serena, l’economia girava ed a nessuno mancavano i denari nelle tasche, a chi più e a chi meno, ma nessuno poteva definirsi abbandonato al proprio destino, la terra donava frutti in abbondanza ed i popoli confinanti erano tutti in pace tra loro… o quasi. Non lontano dal Castello, vi erano le stalle, dove tutti i cavalli dei soldati e della famiglia reale riposavano e si rifocillavano, ma lo stesso luogo, lontano da occhi indiscreti, era il ritrovo di due amanti che spesso s’incontravano ed abbandonavano i rispettivi titoli e le proprie casate, i propri doveri e tutto ciò che di convenevole girasse attorno a loro, per lasciarsi andare l’uno nelle braccia dell’altra, un amore passionale al quale non sapevano rinunciare e che li aveva travolti dal primo incontro molti anni prima.
Piccoli fili di fieno si liberavano nell’aria, per poi adagiarsi al suolo, voci soffocate e gemiti trattenuti appena, si mescolavano tra loro, mentre i corpi si muovevano all’unisono, i capelli disordinati e la pelle madida di sudore, la quale brillava quasi, colpita dai fiochi raggi di sole che penetravano l’alto soffitto.
Stanchi e felici si abbracciarono, lasciandosi avvolgere dal fresco dell’ora serale, i cuori impazziti non avrebbero frenato la loro corsa, finché i loro occhi non si fossero allontanati.
Lui le spostò un ciuffo di capelli dal viso dolcemente con un carezza e lei sentì ancora il cuore morirle in gola, non riusciva a staccarsi, non riusciva ad immaginare la sua vita senza l’uomo che tanto amava e col quale sognava qualcosa, che forse le sarebbe stato negato, così come lui, a sua volta, desiderava poter baciare quella donna ogni mattina appena sveglio ed ogni notte prima di dormire, poterle tenere la mano ed onorare quel sentimento pubblicamente, avanti al popolo, avanti ai propri soldati, avanti alla propria famiglia: Rickard amava quella donna come mai nessuno uomo avrebbe mai potuto amare nella propria vita, ne era convinto, lei era la donna che regolava ogni suo respiro.
“Voglio dirlo a mio Padre” disse voltandosi di lato verso di lei “Voglio dirgli quanto ti amo, capirà ne sono certo”
“Ric… tu solo sai quanto io desideri gridare a chiunque di noi due, ma se non accettassero? Sei il Principe, hai dei doveri ed io sono…”
“Tu sei… tutto ciò che voglio”
La zitti con un bacio, stingendola nuovamente a sé “E poi… sono il secondogenito, ho meno doveri di mio fratello e soprattutto… non sono ancora stato promesso a nessuna, direi che non dobbiamo attendere oltre”
La ragazza l’osservò, mentre il viso le si tinse di rosso, un rosso vivo che si mescolava al colore dei capelli, era felice, perché per loro c’era una forte speranza, Il Re e la Regina l’avevano sempre trattata con rispetto, dimostrando anche affetto in alcune occasioni, ma d’altra parte era conscia che c’era qualcosa di superiore a quel sentimento al quale rendere conto.
“Mi fido di te, Ric” Riuscì a pronunciare solo queste poche parole, si sentiva appesa ad un filo, un filo sottile al quale era aggrappata con tutte le sue forze. Chiuse gli occhi per qualche istante, immaginò come sarebbe stata la propria vita senza di lui e si sentì sopraffare da sensazioni negative che le smorzavano il fiato.
I due amanti si abbracciarono nuovamente, ma un forte squillare di trombe provenienti dal Castello li destò. “Dobbiamo andare, accidenti”
“Parlerò con i miei stasera stessa, ora vestiamoci” La baciò teneramente, un bacio lungo e carico di amore, un bacio che voleva legarli ancora una volta, un nodo che nessuno dei due avrebbe mai voluto sciogliere.
: ArrowU :Era l’ora del tramonto, ma la luna brillava già in tutta la sua pienezza in un angolo di cielo, da una delle ampie finestre del castello era ben visibile nel suo candore, avvolta da un manto rosa che si tingeva del blu della notte. I passi pesanti di Rickard e del fratello maggiore Joseph riecheggiavano per i lunghi corridoi
Mentre alle sue spalle vi erano il Primo Cavaliere ed il Comandante, giunsero in pochi attimi nella grande sala delle riunioni e presero posto al tavolo, aspettando che il Re e la Regina li raggiungessero.
“Ric...”Joseph si voltò verso il fratello, senza premura di non farsi sentire dagli altri presenti“Che c’è?”
“Il fieno nei capelli… tutti e due” sorrise nel far notare i fili sporgere dalla chioma nera di lui e quella rossa del Comandante.
“Per tutti gli dei…” Ysotta arrossì visibilmente ed abbassò lo sguardo, mente Ric sorrise al fratello
“Glielo dirò questa sera stessa”
“Sono con voi” Joseph si era accorto da lungo tempo della relazione tra il fratello e la donna, era molto affezionato a lei, la considerava già come una sorella ed era certo che fossero una coppia giusta da appoggiare e che il Re avrebbe compreso ed approvato.
Il Primo Cavaliere Jorah ascoltò tutto in silenzio, era giovane e rivestiva quella carica da pochi mesi, cercò di trattenersi dal mostrare interesse per la questione, ma era evidente che il tutto lo incuriosiva.
Una figura imponente varcò la soglia della sala, al suo seguito l’esile figura dell’inseparabile consorte, il Re conservava una espressione perennemente severa, ma quella preoccupata della Regina non era cosa solita ed entrambi i figli, a vederla, si zittirono all’istante.
“Non mi perderò in convenevoli, il tempo è nostro nemico, giungo immediatamente al dunque della riunione”
La Regina Kahlan aveva lo sguardo alto, incrociava gli sguardi di ogni commensale e si soffermò per qualche istante su quelli del Comandante, per tornare poi a quelli del figlio.
“Il Nord è minacciato dagli Estranei, creature di ghiaccio che vivono anche a temperature estreme, sono dotati di grande forza e si muovono al buio, la scuro visione è un’abilità che li caratterizza tutti. Li hanno avvistati nei pressi dell’Adamantem, Lord Ramsay ha già inviato le prime truppe al fronte, in virtù del vincolo che lega le nostre casate e per il bene del Regno di Dohaeris, partirete stanotte stessa assieme ai vostri soldati.”
“Raduno i soldati, tutti quelli dotati della scuro visione saranno disposti in punti strategici, così come quelli legati al fuoco ed all’acqua, perché, come risaputo, l’elemento ghiaccio di queste creature nasce dal vento." Il Primo prese parola immediatamente, era un uomo dal forte ingegno e profondo conoscitore dell'arte della guerra.
"I soldati che non hanno abilità che vadano oltre l’uso del fulmine, potrebbero essere di peso. Comandante fate una cernita accurata e fatemi rapporto entro un’ora!” Il Primo Cavaliere Jorah scattò in piedi e con lui il Comandante che prontamente rispose all’ordine “Ai vostri ordini”
“Bene, se non c’è altro raggiungo Lord Leithien al Castello Nero” Il Re era visibilmente in agitazione, cosa decisamente fuori dalla norma, era conosciuto per il forte temperamento, il suo coraggio era superato solo dalla ferma legalità che lo legava al regno, il dovere e la giustizia erano ciò che lo contraddistinguevano, nonostante non sembrasse un animo gentile in apparenza, non aveva mai trascurato la propria famiglia per la Corona, era padre e marito amato e rispettato.
“Padre…” Rickard scattò in piedi scostando rumorosamente la sedia, il Re si voltò verso di lui, ma il giovane rimase per qualche istante in silenzio, senza proferire verbo e con la bocca ancora aperta.
“Rickard, continua figlio mio” la Regina Khalan aveva intuito qualcosa, era donna saggia ed una osservatrice acuta, difficilmente qualcosa poteva passare inosservato alla sua attenzione, così come il legame che il figlio aveva instaurato con la donna che sedeva con loro al tavolo in quel momento.
“Io…” il giovane fece un profondo respiro “io ed il Comandante… saremo in prima linea, come domatori dell’acqua e del fuoco sconfiggeremo gli Estranei e torneremo vincitori” Aveva gli occhi che scintillavano, ma non ero lo sprezzo per il pericolo o l’aura di coraggio e valore che lo circondavano, quelle parole erano una promessa: avrebbe combattuto accanto alla donna che tanto amava ed entrambi avrebbero lottato per il Regno, entrambi sarebbero tornati vincitori, affrontando la paura e la morte, quella promessa aveva in sé delle parole non pronunciate, ma ben chiare al Comandate.
Quella notte partirono insieme, l’uno accanto all’altra, solo qualche fugace sguardo, ma col cuore incatenato… il resto è storia, che divenne leggenda.
Il Grifone ed il Corvo
Anno CDLXXXIV D.D.
III mese della neve
II Giorno di Venere
Quello era un giorno triste per Dohaeris, non solo per la famiglia reale, ma per il regno tutto. Rickard era tornato vittorioso dalla battaglia contro gli Estranei, aveva tenuto fede alla propria parola: lui ed Yasotta erano tornati entrambi vivi, riportando la sconfitta dei nemici. Ma con sé non portò alcun trofeo, non c’era gioia ad illuminare i volti per aver scongiurato un pericolo di quella portata per il regno, le bandiere sventolavano basse, non c’era un coro ad acclamare i vincitori, non c’erano soldati ad esultare, c’era solo il silenzio ed un corteo di uomini e donne col capo chino e la morte nel cuore, la morte del Principe Joseph.
La famiglia Raeghar, da generazioni, celebrava i funerali dei propri defunti di notte, così che il bagliore della Luna, loro progenitrice, li indirizzasse verso L’Elisio, ma quella sera era buia, persino la Luna sembrava voler vestire di nero, coprendosi con le nuvole dense e pregne di lacrime. Vi erano solo poche fiaccole a rischiarare l’ambiente ed il barlume di qualche lucciola che danzava al di sopra di quella tomba di freddo marmo.
Il Re osservava impassibile quello che sarebbe stato l’ultimo giaciglio del suo amato figlio, lo sguardo di pietra e la mandibola serrata ad indurire l’espressione, aveva seppellito parte di se stesso in quella tomba, ma le lacrime erano troppo per un uomo come lui, un uomo straziato che sentiva il proprio cuore creparsi ad ogni battito, ma che non riusciva a lasciarsi andare alla tristezza, tutte quelle lacrime non versate lo stavano facendo affogare dall’interno.
La regina era bianca come un lenzuolo, il corpo tremolante e la voce spezzata dai singhiozzi bassi, il figlio Rickard la teneva stretta per la paura che potesse accasciarsi su stessa da un momento all’altro. Il ragazzo aveva gli occhi arrossati, quasi prosciugati, sentiva che la propria anima scivolava via dal suo corpo con tutte quelle lacrime, aveva la netta sensazione di svuotarsi mentre l’eco del cuore si affievoliva nel proprio petto.
Ysotta era lontana da loro, accanto a lei c‘era Jorah , le mise una mano sulla spalla cercando di smuoverla, visto che sembra essere diventata di pietra, mentre i suoi occhi rimbalzavano dalla tomba al suo amore che pareva sempre più lontano da lei, ma non avendo risultati, la lasciò stare.
la ragazza avrebbe voluto avvicinarsi a lui e stringerlo, avrebbe voluto alleviare quel dolore che sapeva essere atroce ed incontrollabile, avrebbe voluto fare qualsiasi cosa, ma non era quello il suo posto, non poteva trovarsi accanto a lui e piangere assieme a quella famiglia la quale, per un momento, aveva sentito già sua, ma ora c’era la consapevolezza che non lo sarebbero mai stati.
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Nel folto gruppo di persone quella notte, vi erano anche loro: I Leithien. Ramsay e Melisandre si erano procurati i posti in prima fila, osservavano quella scena come se fosse la cosa più normale al mondo, forse la più noiosa a giudicare dallo sguardo di lei, gli stessi occhi che aveva trasmesso al figlio Tywin ed al nipote Ryuk. Rosalinde aveva lo sguardo triste e basso, la mano sinistra poggiata sulla spalla del figlio, avrebbe voluto evitargli certe scene, ma il consorte non era della stessa opinione, la morte di un Raeghar andava vissuta con lo sguardo fiero di chi li osserva dall’alto, una persona in meno a gravare sulle finanze Leithien.
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Dall’altra parte Gordon, secondogenito di Ramsay, stringeva tra le braccia la propria promessa sposa, Ginevra, una donna buona d’animo tanto quando Rosalinde, ma ingenua per certi versi. A vederli sembravano una coppia innamorata come tante, l’amore c’era, ma un amore malato: l’accondiscendenza di lei combaciava perfettamente con gli scatti di ira di lui, Ginevra si stringeva al proprio amato, convinta che un giorno sarebbe riuscita a calmare quell’indole violenta che tanto la spaventava, ma temeva ancor più di perderlo ed al solo pensiero che al posto di Joseph ci sarebbe potuto essere il suo Gordon, le tremavano le gambe.
Quando la cerimonia ebbe termine, lentamente la folla diminuì, ma i fedelissimi ai Raeghar rimasero a sostegno della famiglia reale, non avrebbero mosso un passo, se ne sarebbero andati solo quando anche il Re e la Regina avrebbero lasciato quel luogo.
: ArrowU :Era quasi l’alba quando Rickard lasciò la propria madre tra le braccia del consorte, era stanco e sopraffatto dalle emozioni, sentiva la necessità di isolarsi e pensare al fratello da solo, senza gli occhi dei sudditi, senza che ci fosse quella fredda lapide avanti a lui, aveva il desiderio di abbandonarsi ai ricordi di una vita col fratello maggiore, che tanto gli aveva insegnato e dal quale aveva deciso, ormai da tempo, di prendere esempio. Rickard si chiuse nella propria stanza, si avvicinò alla finestra in cerca della Luna, aveva bisogno di osservarla nella sua pienezza, quella luce riflessa che gli donava forza, ma era ancora oscurata dalle nuvole, così il ragazzo si accasciò in quello stesso angolo con le spalle al muro e lo sguardo perso nel vuoto, tanto assorto nei propri pensieri che non si accorse dello scricchiolio della porta ed una figura femminile a varcarne la soglia.
Ysotta rimase ad osservarlo qualche secondo, quando il ragazzo si rese conto della sua presenza non si voltò neanche, sapeva che avrebbero dovuto affrontare una discussione e non sapeva se ce l’avrebbe fatta, visto lo stato del proprio animo. Lei si avvicinò a passo lento, conservando lo sguardo basso e quando gli fu vicina gli accarezzò i morbidi ricci, restando in silenzio, un silenzio fatto di respiri, respiri che parlavano e preannunciavano già le parole che si sarebbero scambiati da lì a poco, ne erano entrambi consapevoli.
Il ragazzo sollevò il capo, aveva gli occhi lucidi ed arrossati, il viso di chi aveva visto il volto della morte mentre abbracciava il proprio fratello e lo portava via, un volto che a tratti identificava con il proprio: si sentiva in colpa, avrebbe potuto salvarlo ne era certo, ma con tutti i se che gli rimbalzavano per la testa non avrebbe potuto riportarlo in vita e sentiva un peso farsi sempre più opprimente al petto. Si sollevò di scatto ed abbracciò la propria amata, singhiozzava a tratti, nonostante cercasse di trattenersi, ma si sentiva al sicuro in quella stretta, in quella vicinanza fisica che tante volte gli aveva fatto presagire un futuro meraviglioso.
“Scusami” le sussurrò senza muoversi, senza lasciare quell’abbraccio “Nessuno ti ha consolato oggi, lascia che sia io a farlo”. Restarono fermi in quella posizione per un tempo incalcolato, i battiti si sincronizzarono, così come i respiri, una calma apparente ed altre mille parole silenziose in quel contatto prolungato. Rickard decise di spostarsi a fatica, era il momento di parlare, sperava che le parole sarebbero venute fuori nonostante il nodo alla gola.
Lei lo guardò negl’occhi e cercò di sorridergli per rassicurarlo, per poi sussurrargli “Non era destino Ric, rimarrà un bel sogno…” Non riuscì più a trattenersi, le lacrime iniziarono a scivolare calde e copiose, mentre il cuore riprese la sua corsa, staccandosi dall’equilibrio che aveva instaurato con quello di lui. “Vorrei poterti dire che non è così…” rispose, mentre la ragazza si voltò di spalle, ormai consapevole di aver perso il controllo sulle proprie emozioni, non voleva farsi vedere il quel modo, non voleva arrecargli ulteriori sofferenze. “Sarai tu il prossimo Re ed io non potrei essere più felice per il popolo di Dohaeris, succederai degnamente a tuo padre e…”
“E mi sposerò ed avrò dei figli con una donna che non sei tu!” Rickard pronunciò queste parole come se fossero parte di una sentenza di morte “Sì… ti sposerai ed avrai dei figli con una donna che non sarò io” Lasciò le sue braccia ricadere lungo i fianchi, rimase in silenzio come se quella sentenza di morte fosse la sua, una morte interiore che, in realtà, era certa essere già giunta in cuor suo. Il ragazzo accorciò le distanze e le cinse la vita, l’abbracciò alle spalle e restò qualche istante in silenzio prima di continuare a parlare con tono basso “… ma non l’amerò” “Lei amerà te, è impossibile non farlo Ric, tu sei…” “Io non sono niente, sono solo il Principe di Dohaeris e futuro Re, sono un uomo con dei doveri, sono solo… un ammasso di titoli e doveri… nient’altro!”
“Sarai felice, me lo auguro, ma non resterò qui a guardare, io devo andarmene, avrò una mia vita lontano da te ed è l’unico modo perché tu riesca a vivere la tua di vita. Lascio il mio ruolo di comandante, me ne andrò stasera stessa. Addio Ric”
La ragazza sciolse quell’abbraccio, sciolse quelle catene che li teneva legati, era consapevole che il suo Rickard, non era mai stato solo e soltanto suo, era un uomo legato ai propri doveri e quei doveri lo avrebbero portato ad onorare la promessa di matrimonio tra i Blackfire ed i Raeghar, la promessa che avrebbe dovuto legare suo fratello Joseph a Margarete. Il ragazzo l’afferrò in tempo per la mano e la tirò a sé, non era pronto per lasciarla in quel modo, desiderava sentire quelle labbra un’ultima volta e quel profumo che non avrebbe mai lasciato sul letto nuziale.
Ed in quel momento annegarono nel mare di ricordi che li legava e bruciando nel fuoco che li aveva uniti. Non si guardarono in viso ancora una volta, non lo avrebbero più fatto, ognuno avrebbe seguito la propria strada.
“Addio… amore mio”
: ArrowU :Anno CDLXXXIV D.D.Trascorsero alcuni mesi dal quel triste giorno, la statua in onore di Joseph venne eretta nel viale Ecate come coda alla lunga schiera dei suoi avi Raeghar ormai deceduti. Rickard si era dedicato anima e corpo al benessere del popolo, era un Principe amato e rispettato, orgoglio del Re e della Regina suoi genitori, aveva accettato di buon grado, come si sa, di convolare a nozze con Margarete Blackfire primogenita dell’omonima casata, al posto del fratello Joseph. Anche Margarete, in realtà, non era entusiasta di quell’unione forzata, in cuor suo si era già fortemente invaghita del suo promesso sposo ormai defunto, tra i due era scattato il classico colpo di fulmine, al primo incontro formale delle rispettive famiglie avevano occhi solo l’uno per l’altra. La cerimonia non fu eccessivamente fastosa, i Raeghar non amavano mettersi troppo in mostra, l’esagerazione non è mai stata caratteristica di famiglia, il tutto si svolse in maniera sobria e con le porte aperte al popolo, i quali acclamarono a gran voce la futura Regina di Dohaeris. Quella notte Margarete se ne stava accanto la finestra con lo sguardo a mirare lontano, in realtà era immersa nei propri pensieri, senza che gli azzurri occhi si posassero in alcun dove di preciso, la vestaglia di seta azzurra le fasciava il corpo giovane e statuario, mentre la chioma corvina era finalmente libera dall’acconciatura nella quale aveva costretto i capelli tutto il giorno.
II mese delle rose
I giorno della luna
Rickard sedeva sul letto, la guardava in silenzio, avrebbe voluto dire qualcosa, ma nella realtà dei fatti aveva la testa totalmente vuota, quella donna era bellissima eppure non riusciva a provar nulla per lei se non una velata attrazione fisica, quella era la loro prima notte di nozze, ma in quella stanza c’erano due sconosciuti, che avrebbero desiderato trascorrere quella notte con un’altra persona, che non fosse l’attuale consorte.
“Avete intenzione di restare in silenzio ancora a lungo?” La donna restò immobile nel pronunciare quelle parole, per l’intero arco della giornata avevano dispensato sorrisi a chiunque, ma non tra di loro, non si erano praticamente rivolti né uno sguardo, né una singola parola. “Cosa volete che vi dica? Stanotte dormirò sulla sedia, domani mi farò portare un divano con la scusa di rendere più confortevole la stanza, il letto è vostro” Fu allora che la giovane si voltò verso il consorte e rimase a guardarlo in silenzio a sua volta, prima di parlare di avvicinò a lui “Sappiamo entrambi che abbiamo dei doveri, tra questi quello di avere dei figli”
Rickard si limitò a sospirare ed a voltare lo sguardo verso il basso “Nessuno di noi desidera questo matrimonio, ma non possiamo restare due estranei per sempre” lasciò cadere ai suoi piedi la veste, scoprendo la pelle ambrata al bagliore della candele“Prima concepiamo un erede e prima adempiremo al nostro dovere più ingombrante”
Mosse ancora un passo verso l’uomo e con la mano destra ancorata al viso di lui, cercò di spingere il suo busto verso il materasso, in modo da potersi fare spazio ed adagiarsi su di lui “Non fate così, ve ne prego…”
Riusciva a guardarla a stento in viso, l’espressione di lei era fredda, gli occhi azzurri sembravano vibrare nelle tenebre, così come il fulmine che la dominava squarciava la notte più buia, Rickard aveva una morsa al petto, chiunque al suo posto avrebbe approfittato di una donna tanto bella e ben disposta verso di lui, ma si sentiva impietrito come se quello che stavano facendo fosse sbagliato.
“Amate un'altra donna forse?” “Cosa ve lo fa credere? Sono solo un uomo impacciato alla sua prima notte di nozze” Allora lei gli spostò una ciocca di capelli dal viso, era il primo gesto gentile che gli aveva riservato da quando i loro visi si erano incrociati per la prima volta “I vostri occhi, sono come i miei…” entrambi si guardarono per la prima volta, si guardarono realmente per la prima volta, ognuno riflesso negli occhi dell’altro, ognuno con le lacrime a rigare il volto, ognuno col proprio amore perso per sempre, quei battiti del cuore saltati iniziavano a trovare sincronia ed a compensarsi, forse… iniziò a balenare l’idea che quel matrimonio sarebbe stato sopportabile.
Rickard prese fiato per un lungo attimo e poi lo perse nuovamente, quando in un impeto incontrollato spinse il volto di lei conto il suo, affondando per la prima volta le proprie labbra in quelle carnose di lei.
I pensieri si annullarono ed i sensi presero il sopravvento, le carni vibrarono mentre entrambi si lasciarono andare a ciò che di più naturale sarebbe dovuto accadere quella notte, ma ciò che nessuno dei due aveva previsto è che quel desiderio sembrava cresce senza controllo, le pulsioni di entrambi erano ormai senza freni, compensandosi e sfamandosi a vicenda.
L’intesa inaspettata fu solo il primo punto fermo di quel matrimonio, i giorni passarono, le attenzioni di entrambi si fecero più intense, cercando quegl’attimi di intimità sempre più spesso, forse erano solo meri momenti di soddisfazione fisica reciproca, forse era solo un modo come un altro per distrarsi a vicenda ed evitare di perdersi nei ricordi, ma le mani che s’intrecciavano sempre più spesso la notte, il desiderio di sentire il respiro l’uno dell’altra furono solo il preludio, di quello che sarebbe stato un amore senza eguali.
The night is dark and full of terrors
Anno DXIII D.D
I mese delle foglie
II giorno di marte/ II giorno di mercurio
La notte è buia e piena di terrori… recita il motto di un’antica casata, ma chi lo inventò doveva trovarsi nei pressi dell’Adamantem, dove il cielo è più buio della notte nella sua ora più oscura e le stelle fuggono così come la luna si nasconde, vestendosi di nubi dense ed oscure. La neve che scendeva placida, lenta, non un fil di vento, solo il bianco candido del manto e delle montagne a fare da cornice al grande edificio dalle pareti nere. I gargoyle che immobili, ma dagli sguardi quasi vivi, ad osservarli bene, sembravano al pari di guardiani vigili e pronti a scattare nel caso qualche sventurato si aggirasse da quelle parti.
I passi pesanti di un uomo calpestavano il marmo viola e tanto scuro da sembrar nero, di un corridoio che si estendeva per diversi metri, prima di giungere ad una porta che tanto gli pareva la soglia della bocca dell’inferno e tutti i demoni ad urlargli nelle orecchie, erano nella realtà i quadri degli avi che lo puntavano con le iridi di tempera. Con la mano incerta bussò al pesante portale in legno ed una voce tuonò dall’altra parte, invitandolo ad entrare. Era seduto sulla poltrona, intento a leggere un libro, con la tazza di verbena fumante e solo fioche luci ad illuminare l’ambiente, gli occhi famelici sembrano riflettere i fiochi barlumi che lo circondavano, come quelli di una bestia che si nutre nella notte.
“Mio Signore” Il Mago Callien chinò il capo in segno di rispetto “Ho delle nuove da riportarvi ed una confessione, che spero gradirete”
Il Lord l’osservò come fosse un verme strisciante in cerca di attenzioni, era sicuro che interloquire col mago sarebbe stata una grossa perdita di tempo come sempre
“Ho agito senza avvisarvi mio Signore, in questo modo ho preservato la Vostra incolumità, come persona non a conoscenza dei fatti non avreste corso alcun rischio, Vi sono fedele e le mie azioni sono sempre state mirate al Vostro compiacimento”
Tywin alzò un sopracciglio, non capì dove l’uomo volesse andare a parare e qualche fosse l’argomento in corso “Prosegui” si limitò a rispondere atono.
"Ho avvelenato io il Re, ho fatto in modo che agisse per lungo tempo in modo che, se eventualmente, fosse venuto a galla, sarebbe stato troppo tardi per salvarlo ed ammetto che ho avuto la convinzione che non avrebbero mai scoperto cosa sia e come agisce. L’ho fatto per Voi Mio Signore, l’ho fatto perché so che lo desideravate in cuor Vostro, ma ora ho il timore che scoprano la mia identità ed in questo modo non potrei più servirVi, perdonatemi”
Il Lord rimase qualche secondo in silenzio a fissare il Consigliere, che restò in piedi come una statua di cera avanti a lui. Callien era stato al servizio dei Leithien per lungo tempo come alchimista e Maestro del conio, priva di rivestire lo stesso ruolo alla Luna di Diamante per i Raeghar, ma quella era stata più una scelta di convenienza per amministrare un patrimonio già conosciuto da qualcuno di affidabile, piuttosto che lasciare ogni cosa nelle mani di un qualunque.
“Non te l’ho mai chiesto, Callien.” Tywin rispose telegrafico con lo sguardo di chi cercava di trattenere l’ira “Cosa hai fatto e perché temi che lo scoprano?”
“Diversi anni fa, venni a conoscenza di alcune proprietà racchiuse nelle radici del grande albero dell’Abgruntis, il sangue dei bambini offerti a Raiden, filtrando attraverso la terra, ha bagnato ed irrorato il sottosuolo con l’essenza della morte, il male ancestrale e pregno di oscurità, in netta opposizione con la luce di noi maghi. Sono riuscito a trovare un modo per estrarre l’essenza di questa oscurità, con estrema difficoltà ed a filtrarlo in modo da ottenere un veleno al massimo delle proprie potenzialità. Se un mago lo avesse ingerito, il veleno avrebbe risucchiato l’aura opposta, se ne sarebbe nutrito espandendosi sempre più, fino a consumare letteralmente il corpo dall’interno. Non vi è cura, Mio Signore, almeno non c’è per ora, solo dei rischiosi riti di magia nera arcana, ormai persi nei millenni, potrebbero servire come rimedio per l’anima del Re, ma il corpo… quello è irrimediabilmente compromesso. La Septa… le hanno permesso di effettuare delle analisi a Re Rickard, non avrei immaginato che gliel’avrebbero mai permesso e… ed è riuscita ad estrarlo, sicuramente ha capito di cosa si tratta e come agisce”
Tywin rimase impassibile ad ascoltare ogni singola parola, ogni spiegazione e non mosse un muscolo, neanche involontariamente, neanche quando Callien menzionò la Septa ed i risultati delle analisi. “Non c’è nulla che porti a me, solo un piccolo errore, una negligenza, ma che verrà addossata a Taras, ho già pensato a tutto”
“Taras… quell’uomo è sempre stato fortemente ambiguo, non sono mai riuscito a comprarlo, anche se ha proposto mia nipote in sposa a Lantis, la sua è stata una mossa politica dettata per il bene del regno, quell’uomo non mi serve a nulla”
“Mio Signore, sono certo che farete in modo da salvaguardare gl’interessi di un vostro servitore che ha cercato di onorarvi in ogni modo, quando il Re perirà non vi saranno più ostacoli per questa immensa casata”
“Capisco… puoi andare, necessito di ponderare bene sulle notizie acquisite, farò sicuramente qualcosa nel caso il tutto venga scoperto… stanno certo!” Il mago, ancora tremante, chinò il capo e restò fermo per qualche istante, temeva che si scoprisse della sua implicazione nell’avvelenamento del Re, ma ancor più l’ira del Lord dell’Uragano.
: ArrowD :
: ArrowU :
Non appena l’uomo varcò l’uscita una figura si mosse nell’oscurità
“E’ stato a dir poco esilarante osservarti mentre ascoltavi quel mentecatto” L’ombra si mostrò al bagliore della fiaccola, mostrandosi in viso: La consigliera Niniel vestiva di nero con la lunga chioma nascosta da una cappuccio del medesimo colore.
“Sai che non apprezzo le tue visite al Castello”
“Non Temere Tywin” disse la donna con tono confidenziale, lasciando che il mantello scivolasse via dal capo “Non mi ha visto nessuno e comunque ho i miei metodi per preservarmi, dovresti saperlo”
“Lo so bene ed è per questo che non credo sia tutto frutto di una iniziativa di Callien”
La donna mosse un passo, posizionandosi di fianco alla poltrona, incrociando le braccia
“Non sarebbe neanche capace di infilarsi gli stivali da solo, ma con un piccolo aiuto… anche i più codardi sono capaci di compiere mirevoli azioni, certo è possibile che qualche dettaglio sfugga, ma è solo il piccolo prezzo per aver contribuito alla riuscita di un piano perfetto”
Il Lord ponderò per qualche istante, ricollegò tutti i pezzi e sorrise alla donna “Tuo Padre sarebbe fiero di te”
“Oh certamente, ma mi sono spinta dove lui non avrebbe osato. Da secoli i membri della mia casata sono fedelissimi ai Raeghar, il titolo di consigliere è quasi un diritto acquisito, peccato che nessuno abbia mai capito il doppio gioco, che siamo semplicemente degl’infiltrati che gestiscono l’interesse dei Leithien dall’interno. Fino ad ora, non c’era mai stato bisogno di un intervento radicale, ma quando ho capito che Lumen non avrebbe mai dato un erede al trono, beh… ho pensato di dare una spinta agl’eventi.” Strofinò con la mano lungo il cuscino in tessuto, abbassando di un tono il suono della voce
“Ammaliare Callien è stato un gioco da principianti, basta sapere quando intervenire con lo charme a discapito dello scudo mentale: Il mio volere, quello di annientare Rickard, è diventato il suo, mentre la sua conoscenza è divenuta mia, è bastato asservirlo al casato Leithien, un tappeto da calpestare e fargli dimenticare il mio intervento, per assicurarmi di ottenere un risultato certo e di restare semplicemente ad osservare, senza che nessuno potesse puntare il dito su di me.”
“Sono sempre stato affascinato dalla tua mente, sin da quando ero solo un ragazzo. Vorrei brindare alla dipartita di Rickard se resti a farmi compagnia”
La donna sorrise “Ho altro da fare prima che giunga l’alba. Ora che si sa da dove trae origine il male del sovrano, ho dovuto accertarmi che ci sarebbe stata una svolta alle indagini. Ho inviato delle missive al capo dei Reietti, Kalisi è famoso per essere un mollaccione appeso alla sottana del Re, l’ho reso partecipe delle analisi, con l’aggiunta di qualche piccolo indizio che portasse ogni sospetto su Callien, casualmente questa missiva capiterà in mano di tua nipote, la quale non esiterà un attimo a trascinarmi in Giudizio. Lei, come ogni Leithien sa del sodalizio con la mia casata, penserà che io abbia voluto tradirti”
“Stai rischiando grosso Niniel, avresti potuto rendermi partecipe, avremmo trovato un altro modo…”
“Grazie a quelle lettere crederanno che io tenga alla vita del Re, che sia preoccupata e che agisca in suo nome, nulla di più sbagliato e lontano dalla realtà ed in più… stasera ho un’udienza privata con le guardie di Taras, hanno un grosso punto debole quei due, ho una certa età, che non ha intaccato l’avvenenza, creerò un po’ di caos, solo per il gusto di confondere le idee. Sarà la fine di Callien e di Taras, probabilmente crederanno che il secondo abbia manipolato il primo, sicuramente verrò punita anche io in qualche modo, magari imprigionata, ma tra qualche anno riavrò la libertà, mentre loro periranno miserevolmente”
La donna non aggiunse altro, sorrise compiaciuta del proprio operato e col passo leggero, uscì dalla stanza, sotto gli occhi ammirati del Lord.
Quelle antiche parole...
Il passo greve come la terra, come i pensieri che affollano la mente del Principe Lantis, scandiscono il ritmo del suo cuore, del suo cammino fino a giungere all'uscita del castello. Non c'è più molto tempo, lui lo sa, lo sente che la sabbia nella clessidra è scivolata giù, che non restano molti granelli ancora. Deve farlo, deve restare lì ad attendere l'arrivo di colui che tanto gli era caro, di colui che ora è il nemico più acerrimo.
Mercur ha fatto il suo dovere, ne è certo quando il piede di Drako Kalisi varca il magico portale, calpestando l'erba del giardino su cui tante volte avevano riso come fratelli. Nessuno è nei paraggi, nessuno può vederli, sono totalmente soli. Lantis se ne è accertato.
E' da quel giorno, da quando Drako era in piedi come imputato e Lantis seduto sul trono del giudice che non hanno più incrociato i loro sguardi. Tante cose sono successe, troppi avvenimenti li hanno divisi eppure, sotto la luna pallida di questa notte, i loro cuori sono ammantati della stessa angoscia, della stessa tenebra. Kalisi avanza, sente il fuoco vibrare sotto la pelle, sente che la sua guerra interiore è solo agli inizi. Vuol bene a quegli occhi gelidi che lo osservano con ira, ma sa quanto si sono allontanati dal giusto, dal sentiero che Rickard aveva segnato. Non può cedere ai sentimenti, non può cedere alle sue debolezze: il fuoco illumina la notte più oscura e indica il cammino. Drako è disposto a morire per questo.
L'ultimo dei Dragoni si avvicina, supera il fianco di Lantis e in breve lo lascia alle sue spalle possenti. Lantis sussurra: "E' nella sua stanza, va e fa presto. Non sopporto la tua vista".
Kalisi accenna un assenso, ma quante parole vorrebbe rivolgergli, quanti appelli disperati vorrebbe ancora urlargli contro. Quanto vorrebbe che tutto si risolvesse con un abbraccio. Ma sa che Lantis non cambierà idea, non devierà la sua marcia. Il principe sente l'uomo allontanarsi, l'eco dei passi farsi sempre più lieve, più sfumata. Resta con gli occhi al Glados, senza voltarsi, come se dietro le sue spalle ci fosse Gomorra in fiamme. Come se voltandosi, potesse diventare di sale. Resta lì immobile, come silente guardiano del dramma che sta per consumarsi in quelle mura. Il re sta morendo, la fiamma della candela alla sua finestra è sempre più fioca, vacilla come fosse in preda ai venti, come se anche lei partecipasse alla lotta contro il male che sta divorando il sovrano.
Il cielo inizia ad adombrarsi di pesanti nuvole, come se gli dei stessero partecipando a quell'evento segreto, seppur importante, che mai bardo, probabilmente, potrà mai cantare. Lantis le osserva come vorticano lente nel cielo, sente pizzicare il fulmine sulle dita, ascolta i tuoni lontani che si stanno avvicinando.
Quel giorno, invece, era mattina, splendeva il sole, il Reggente riesce ancora a sentire... quel lontano clangore...
...
Le urla degli spettatori nell'Arena di Dohaeris erano prepotenti, altisonanti.
Il prode Cavaliere, Sir Drako Kalisi avrebbe affrontato il Principe Lantis in quella finale di torneo e tutti, conoscendo il grande valore di entrambi, erano febbricitanti per l'attesa. Uno scontro epico, che avrebbe regalato al pubblico ludibrio mosse spettacolari, fendenti di potenza e blocchi di eleganza.
Drako da una parte, con le sue kopesh infuocate a fargli da guardiane, come due artigli pericolosi che s'avventano sulla preda;
Lantis dall'altra, che brandisce la sua spada figlia del fulmine e della notte, divoratrice di anime e sangue.
Nessuno avrebbe visto in quel giorno i soliti due ragazzi che s'affrontavano in allenamento: no, v'erano, ormai, due uomini che avrebbero incrociato le loro lame per l'onore, per la gloria. Al cenno del re, fiero dei due cavalieri, la melodia della guerra iniziò:
Lantis attaccò al fianco, Drako parò e si divincolò. La danza era fluida e vivace e il valore di entrambi era sullo stesso gradino.
I corpi incalzavano, le braccia tese e le gambe scattanti, le menti concentrate, l'occhio attento per carpire una zona scoperta dell'altro, un punto debole.
Lady Esperin, dall'alta balconata dei seggi reali, sentì sussurrare a fianco a lei sua madre, ancora bella seppur il viso emaciato, una preghiera agli dei che il suo Lantis non si facesse del male.
Lady Lumen, che invece era seduta affianco al re, come visione di ciò che sarebbe stato nei mesi seguenti, aveva la mente altrove, gli occhi fissi su Targaryus e totalmente disinteressata all'esito della lotta.
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Nello spalto accanto a quello della famiglia reale, la famiglia Leithien, con Lord Tywin in disappunto che non ci fosse suo figlio Ryuk tra i due contendenti: il ragazzo era stato pigro e sciatto e aveva preferito al duello, le attenzioni di tre ancelle di sua cugina.
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Ci fu d'un tratto silenzio e pochi videro l'occasione d'oro che si presentò a Drako: un secondo o meno, un fiato o batter di ciglia in cui Lantis, per errore, scoprì un punto della difesa. La kopesh del cavaliere di fuoco stava per dettare la sua condanna ma esitò, spostò l'attenzione del suo attacco su una zona più coperta. Lantis se ne accorse e un moto di rabbia e di delusione gli fece prendere la via della potenza e dal buon cuore di Drako nacque la sua vittoria.
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Un grande boato fece vibrare le mura degli spalti dell'Arena e il cuore di Lady Esperin si fermò di terrore: la lama di tenebra di Lantis puntata dritto alla gola di Drako, le sue kopesh volate via, gli occhi severi del principe su di lui.
"Hai esitato... perchè?" chiese l'erede con un tono pesante come un macigno.
"Sei un fratello per me e so quanto tieni a questa vittoria davanti a tuo padre" gli sorrise Kalisi.
"Sei un debole, non hai avuto la forza di colpire... prega gli dei che mai diventeremo nemici, perchè io, come oggi, non avrò pietà" continuò Lantis, sempre più cupo e determinato.
"Perchè gli dei dovrebbero desiderare una cosa tanto orrenda?" domandò il domatore del fuoco.
"Non avere mai la presunzione di conoscere il volere degli dei e sii sempre pronto... se mai saremo nemici, sappi che la mia lama non avrà timore di lordarsi del tuo sangue. Perchè sono un guerriero e l'onore è tutto... risparmiandoti, toglierei onore a me, ma anche a te... non potrei mai toglierti l'onore, Drako, piuttosto la vita... non farei mai ciò che hai fatto tu quest'oggi" rispose il fulmine nero, apprestandosi a sollevare le braccia in segno di vittoria.
"I soldati devono temere il loro principe, prima che il loro Primo Cavaliere, se gli dei avranno in serbo per noi tale atroce destino... allora non mi tratterrò" ribatté il cavaliere, con la dignità di un soldato di Dohaeris sul viso.
...
Il ricordo di quelle antiche parole, di quelle promesse da guerrieri, questa notte non hanno molto valore. Rickard sta dicendo addio al mondo, dinanzi alla morte ogni parola può solo essere questo: vana. Eppure, quell'avvertimento risuona ancora, accende il cervello, fa sanguinare il cuore. Ritorna sui suoi passi, per un attimo si affaccia nella sala da pranzo ma i fantasmi del passato, di gioia, che aleggiano ancora davanti agli occhi di Lantis sono troppo dolorosi.
L'immagine che quasi appare fioca, evanescente, di Esperin piccina e gioviale in braccio al loro amato padre; di quella volta che la loro madre aveva preparato da sè dei biscotti che ora sarebbero così deliziosi e preziosi; di quando Drako imberbe l'aveva chiamato con una spada di legno per tirar i primi affondi della scherma e lui ne era stato così felice. Si guarda intorno, l'erede di Dohaeris, e tutto è buio, enorme, silenzioso. Vuoto. Vorrebbe a tratti distruggere ogni cosa, ogni maledetta presenza di quei giorni perduti inesorabilmente, ma non può, sa bene che è solo la disperazione del momento. Ha un ruolo da mantenere, da sopportare, da prendersi con gli artigli. Sale la grande scalinata tappezzata di velluto, raggiunge a breve la soglia della camera da letto di suoi padre. Drako è ancora lì dentro, dovrà ancora attendere. Pochi rintocchi ancora di quella notte così oscura e la porta cigola, l'uomo si manifesta, il viso sconvolto, abbattuto eppure ancora fiero, ancora la luce della speranza negli occhi. "Puoi sparire dal mio cospetto, ora che hai finito di lagnarti" dice il principe rabbioso.
Drako solleva gli occhi, ancora colmi di dolore, ma un fuoco si accende e divampa. "Che ti piaccia o no, quell'uomo ci vuole bene entrambi. E' un modello per entrambi. Ci ha insegnato a perseguire dei valori che tu stai cercando in tutti i modi di ignorare. Sta morendo e tu sei qui a fare l'offeso. Sono fiero di queste lacrime, anche se Rickard merita di più di questo: merita una Dohaeris giusta e pacifica... e io lo farò, con o senza di te" esclama il domatore del fuoco, cercando di trattenere la voce.
Si placa, però, d'un tratto, gli occhi del Principe sono offuscati da un pianto soffocato. Poi li vede riaccendersi di rabbia e ritornare asciutti: "Ha voluto parlare con te e questo mi è pesato molto. Se fossi il mostro che pensi, non saresti qui, ora. Vattene, la nostra tregua sta per terminare". Kalisi lo guarda inizialmente stupefatto, poi rimembra le parole di Mercur, le parole scritte da Lantis. "Per amore di re Rickard, questa notte non saremo nemici, ma due fratelli che piangono un padre. Fallo per lui, ha chiesto di te in punto di morte". Stringe i pugni Drako dalla kopesh di fuoco, l'orgoglio del guerriero lo trattiene eppure sente che tutto questo è una follia. Questa soppressione, questo soffocamento, questo imbarazzo. Drako Kalisi non ama stare in catene, così le strappa, le spezza, le distrugge. Le riduce in cenere. Conosce quell'uomo che ha davanti, ha conosciuto il ragazzo e il bambino, sa cosa è giusto fare, cosa è bene fare. Per questa notte, lascia ai demoni le maledizioni e le incomprensioni, gli odi e le vendette: lo abbraccia di slancio, petto contro petto, cuore contro cuore, respiro sul collo dell'altro.
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Lantis è spiazzato, sorpreso, furioso, triste... disperato che gli occhi riprendono a pizzicare. Si lascia abbracciare, di primo acchito, ma poi le lacrime sgorgano, quei dannati ricordi che riaffiorano. Anche le sue braccia cingono il nemico, cingono quell'uomo che, nonostante tutto, non potrà mai odiare fino in fondo.
Valar Morghulis
E la campana rintocca le ore della notte più buia, la cantilena del gufo accompagna i morti nei boschi tenebrosi, avvolti dalla nebbia più fitta, con alberi di scheletro a incorniciare il passo delle anime evanescenti. Questa notte è tutta per i demoni, un orecchio attento potrebbe percepire, lontani, i balli e le danze attorno alla carogna di qualche viandante, il loro baccanale attorno al fiero pasto che stanno consumando con inumana ingordigia. Gli spiriti maligni sembrano brindare, in questa notte, al calice di sangue del sacrificio che sta per compiersi, a quella vita strappata con così tanta fatica, che ha un valore così grande, sconfinato. La Luna di Diamante ha mura perlate e si adagia come un vecchio stanco sulle rive del fossato su cui poggia le sue antiche membra, pare che nulla lo perturbi, che nulla possa disturbarlo, che l'apparenza è un velo destinato, però, a squarciarsi presto. Nelle sue viscere, infatti, qualcosa di orribile si sta consumando. Le tende sono chiuse, a celare quei pensieri che ormai ronzano per la testa, che la dominano, che sono fuoco di una prospettiva che guarda lontano. Lantis cammina nervosamente per la stanza dove giace inerme suo padre, il re di Dohaeris, Rickard Raeghar. Un'idea che si espande silenziosa ma inesorabile ad incupire il viso del Principe, una visione di qualcosa che non è ancora accaduto. Ma il cuore sanguina, i ricordi lo ammoniscono. Ma la mano è ferma, gli occhi sono asciutti, la mascella serrata. Si avvicina al suo amato padre, al suo stimato padre, al suo odiato padre, gli si siede affianco, a quel corpo inerme ormai smagrito, così fragile, così delicato.
"Ricordo quando tornasti da un lungo viaggio, ero piccino, forse tre o quattro anni. Ricordo... riesco a vedere solo qualche immagine sbiadita... ma è nitido il sentimento di gioia che provai nel rivederti. Quasi stentai a riconoscerti. Mi sorridesti, però, e mi venisti incontro... là ti riconobbi e ti corsi tra le braccia e tu... tu eri così forte, mi sollevasti come fossi un fuscello fin sopra il tuo capo... la tua chioma nera sapeva di mare, di avventura, di battaglie e di coraggio... lì, stretto tra le tue forti braccia e sopra la tua testa, mi sentii... felice. Sì, è il primo ricordo che ho della felicità. Ero così leggero, senza pensieri, senza doveri... ero così libero, sciolto da ogni catena, così piccolo eppure così... forte" dice sommesso il Principe Lantis, con le iridi bagnate che iniziano a tradire il suo sangue freddo.
"Mi sono dibattuto tra mille tempeste pur di essere anche solo la parvenza di ciò che sei sempre stato per tutti... sai padre, per me è stato molto frustrante non riuscire ad essere come te e alla fine... ho preferito costruire la mia strada con le mie forze... e so che la percorro da solo. So che non ci sei al mio fianco, su quel sentiero... eppure, padre, qualcuno deve percorrerlo. Mi sono fatto carico dei problemi che hai lasciato in sospeso, delle aspettative utopiche di un popolo ingrato, degli artigli sudici e avidi dei Leithien sul trono... tutti ricorderanno la tua luce, nessuno comprenderà le tenebre, le mie tenebre, che consentono a questo regno di andare avanti. Le stesse che tu mi hai lasciato come una scia nell'ombra della tua grandezza. Cercavi sempre di sconfiggere il necessario, cercavi di rendere felici tutti... oh padre, questo è un mondo che ci vede nascere piangendo... tu che hai perso tuo fratello, che ti è morto tra le braccia... come hai potuto credere che ci fosse felicità in questo mondo?" si alza di scatto, Lantis Raeghar, sa che la sua domanda rabbiosa non avrà mai risposta. Le lacrime scendono violente, inarrestabili, come sale sulle ferite bruciano, bruciano gli zigomi reali dell'erede al trono. Nemmeno da bambino quel pianto è stato così dirotto, così disperato. Volge lo sguardo sulla sofferenza di quel vecchio che tanto ama, che tanto gli ha insegnato. La mano ora non è più ferma ma trema, trema per l'atto scellerato che sta per compiere.
"Non posso più sopportare il tuo dolore, non posso più sopportare questo vacillare sul fil di lama... un'altra delle cose che ho il dovere di compiere, padre, ché la mia sciagura è quella di essere colui che deve fare ciò che deve essere fatto ma che nessuno oserebbe mai fare. Sono l'ineccepibile, sono l'inesorabile... questa mano..." mormora dolcemente, accarezzando il viso del genitore, così freddo, così scarno. "Perdonami, padre, semmai potrai perdonarmi... ma gli occhi sanguinano della tua sofferenza e io... sono incapace di reggerla ancora sulle mie spalle... perchè l'amore che ho per te... è troppo grande. Devo farlo, è il mio dovere, il Regno ha bisogno di un Re e io... ho bisogno di una tomba su cui piangere mio padre" sussurra con la voce flebile, rotta dall'emozione.
Poi il silenzio... il lungo e ineluttabile silenzio di una notte cupa ed oscura.
Addio, Rickard
E l'Auspex pare così silenzioso ora, che i clangori della lotta da poco terminata sembrano già lontani. E' una notte senza stelle, il cielo ingombro di nuvole minacciose come se conoscessero il destino che pende sulla testa di Dohaeris, come se ne comprendesse la tragedia e il dolore. L'altare dei bagliori tace, la luna si nasconde, tutto pare deserto e abbandonato, come se in questo mondo non possa più risplendere alcuna luce. Il corpo di Rickard giace inerme sull'ara di pietra, vestito del suo abito da cerimonia, con la spada stretta tra le mani, quell'arma che tanto gli era cara, quella lama che tante volte lo aveva protetto.
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La pira è maestosa, magnificente, quasi a voler imitare la grandezza dell'uomo che dovrà consumare. Il sudario candido e delicato che tra poco lo avvolgerà ricade dolcemente dai lati dell'altare e sembra avere una consistenza evanescente, eterea in questa penombra della notte e il vento leggero che lo smuove lo lascia danzare all'aria, sospeso nel vuoto, così come l'anima di Lantis, come l'anima di Esperin. Tutti gli abitanti della Torre sono presenti al rito che si svolgerà tra poco, indistintamente dalle razze cui appartengono, così come molti Lords che lo hanno servito e stimato.
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Perchè Re Rickard era il Re di tutti e tutti ne sentiranno la mancanza. Ci sono anche Lord Horas Waters, che sperava di vedere l'amico in un giorno felice, al matrimonio dei loro figli e Lord Jubert De Lagun, fiero pur nella sua profonda tristezza. Esperin pare così fragile e piccola ora, così dignitosa nel suo vestito di lutto e il suo viso intristito, lei che qualche ora prima su questo campo ha combattuto da leonessa, lei che su questo campo ha messo il vessillo dei Raeghar, che sventola potente, veemente, inoppugnabile. L'alta figura di Lantis è poco più di un ombra ma il suo sguardo è sempre fiero, seppur contrito. Non piangerà Lantis Raeghar perchè un Re non piange. Questo lui crede. Eppure, quel suo cuore che tanto vuole mostrare duro, sanguina, sanguina a quel che ha fatto, a quel che ha macchiato le sue mani, a quel che vorrebbe ora urlare. Ma niente può il potere davanti la morte e Rickard è steso lì davanti ai suoi occhi, quel corpo che era animato dalla gioia, dalla bontà è ora vuoto, in involucro vuoto che rappresenta tante cose, moti dell'anima che si scontrano e sbattono per uscire ma che sono imprigionati con la forza lì sotto, che Lantis seppellirà sempre più sotto. Pare che dorma, che riposi, che si desterà dal suo sonno e che rivedranno il suo sorriso, che sua sorella gli correrà incontro, che lo abbraccerà e che torneranno insieme a casa. Ma il giovane Re abbassa lo sguardo e quel cencio di stoffa gli ricorda che non sarà così. Che lui non può farci nulla. Che tutti sono impotenti dinanzi alla morte. Che tutti finiranno così, un giorno, anche lui. Valar Morghulis. Tutti gli uomini devono morire. Questo il nome della zona dei Saggi perchè è questa la grande saggezza che vola su di noi. Questa l'unica fine di tutti gli affanni, gli amori, le sofferenze. Qualcosa si smuove però nell'aria, un arrivo, forse più di uno. Grande era Rickard e incredibili sono gli eventi che si manifestano in suo onore. Persino il Gran Maestro degli Stregoni, Lord Tywin Leithien, può calpestare il suolo sacro dell'Auspex, che si impregna della sua aura malefica e terrificante.
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Ma il suo clima di paura non dura a lungo: Drako Kalisi fa il suo ingresso a piccoli passi silenziosi, come a non voler svegliare l'anziano che dorme. E' il Gran Maestro dei Maghi, tutta la sua razza può riconoscerlo ora, la sua aura è divenuta sensibile, è legata all'Auspex a dispetto del Grifone che sventola.
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Ha sentito che succedeva qualcosa o forse Rickard ha voluto salutarlo ancora, perchè tanto gli era stato caro in vita. La sua luce si espande, tutto pare rasserenarsi. Ma Lantis lo guardo di sbieco, muove solo il capo di lato e serra la mascella, gli occhi pieni di ira. Anche qui, anche oggi Kalisi ha voluto rimarcare quanto il Re ci tenesse a lui. Più che a suo figlio. Non sa cosa sia successo durante quella visita notturna, sa solo che le ultime parole di suo padre erano per Drako. Nel silenzio più totale e religioso, perchè non è onorevole nelle tradizioni di Dohaeris turbare la pace del defunto, il giovane Re prende per mano sua sorella, che ancora gli riserva del rancore, ma che ora ha la mente completamente presa dal cuore infranto che le batte nel petto.
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Si avvicinano all'altare, al corpo di quell'uomo che un tempo era stato forte, che era la roccia, la loro speranza ed Esperin piange con calde lacrime che cadono dolci su quel viso tanto amato, lo accarezza, gli sussurra il suo amore come se egli potesse sentirla. Ne è certa, Rickard suo padre può ancora udirla. Potrà udire quelle parole per sempre, perchè per sempre riecheggeranno nella valle dell'Auspex.
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Lo scrosciare della cascata le sembra che diventi più lento, che il tempo stesso rallenti per dilatare quel momento fatale, quell'addio ineluttabile. Lantis del Fulmine la guarda che le sta di fronte, stringe l'altra mano di suo padre, così fredda e fragile e vorrebbe piangere anche lui, vorrebbe non avere quella gabbia di chiodi e ferro intorno al cuore. Gli sfila la spada, perchè sarà piantata sulla sua tomba, perchè era un guerriero Rickard Raeghar, nessuno dovrà mai dimenticarlo.
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Entrambi i ragazzi prendono un lato del sudario e dolcemente abbracciano il loro padre, lo avvolgono come fosse le loro braccia. Ne legano i lembi e Lantis fa per prendere in braccio quel fardello bianco quando Kalisi gli si avvicina e si offre di aiutarlo. Il Re non è pesante, è men che una piuma ormai e Lantis vorrebbe urlargli di rabbia che deve stare lontano, che quello era suo padre. Ma una lacrima scende meschina, più veloce e scaltra delle altre sue compagne soffocate dal rancore. Lantis e Drako ripongono insieme i resti mortali di Rickard sulla pira perchè ora non è momento di guerra, è solo il tempo di dire addio all'uomo più importante delle loro vite.
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Il Fulmine si arma di torcia, il Fuoco ci mette la scintilla. Violenta e potente brucia la pira, illuminando tutta l'oscurità che li circonda.
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E poi, d'un tratto, un miracolo sotto gli occhi degli increduli: tutta l'Auspex si risveglia insieme, le lucciole iniziano a danzare e brillare vivaci nella notte e sconfiggono il buio, come il più grande e maestoso trionfo dei Maghi. La luna vince sulle tenebre, le nubi si disperdono, le stelle scintillano come diamanti su un manto di seta.
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Forse Rickard è uno di loro, adesso, e lo stanno accogliendo. Sì, sarà sicuramente così. Lo spirito di Rickard sta ora volteggiando sereno e leggiadro così da illuminare i cuori di chi lo ha amato, di chi lui ha amato con ogni fibra del suo essere.
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Un tumulo di terra e marmo proteggerà le sue ceneri dal tempo, nel giardino della Luna di Diamante, accanto alla sua amata Margarete. Lui avrebbe voluto così, passare l'eternità accanto a lei. Lantis vi pianterà lì la sua spada, appena la pira avrà terminato il suo lungo incendio. Il tripudio di luce sembra adornare l'Altare dei Bagliori finchè il fuoco si esinguerà, finchè un nuovo sole porterà ancora sulla terra di Dohaeris, il vento della guerra.
Foto con Eclisse84
L'ombra del passatoAvanza silente per i corridoi del castello, Lantis del fulmine ha il capo chino e l’animo in tempesta, un naufragio che si abbatte al centro del petto, che si infrange su ogni particella del suo corpo, ma lo sguardo è impassibile, non lascia trasparire emozione alcuna, neanche le lacrime riescono a farsi spazio su quel viso che appare di pietra.
Tutto attorno tace, solo poche candele ad illuminare il lungo percorso che porta alla stanza del defunto padre, dove l’ultimo respiro di Rickard è stato esalato sotto il peso delle braccia di un figlio dolorante, sotto il peso soffocante delle responsabilità di un regno in guerra.
Vorrebbe poter urlare il giovane in tumulto, vorrebbe prendere a pugni ogni cosa in quella stanza, tirare i tendaggi e strappare i ritratti di famiglia dal muro, ma è come se le emozioni che si agitano nel suo interno non abbiano controllo alcuno sulla sua mente. Resta fermo, con lo sguardo perso tra le pieghe delle lenzuola ancora disfatte, resta con gli occhi vuoti, a tratti vitrei, a rivivere quella scena, che, ancora una volta, gli ha strappato via un pezzo di umanità.
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Rivede se stesso, con quel cuscino tra le mani, rivede suo padre inerme su quel letto e solo in quell’istante una morsa allo stomaco si fa più persistente, come un pugno che lascia il segno e non guarisce. Un alito di vento gli smuove i capelli, ma non ci bada e resta immobile, ma solo al secondo soffio decide di voltarsi per chiudere la finestra alle sue spalle, forse la sua immaginazione gli ha tirato un brutto scherzo, forse il corpo ha reagito con dei brividi a tutti quei ricordi, perché quella finestra di ferro battuto è in realtà chiusa. Lantis è confuso, ma decide di non dare peso all’accaduto, ha ben altro a cui pensare in quel momento, tra poche ore quella corona, tanto ingombrante eppure indispensabile, verrà poggiata sul suo capo e…
“Mi sto divertendo, come mai avrei immaginato, ma si può fare di più…” una voce giunge ancora alle sue spalle, il giovane si volta di scatto colmo di ira, chi può aver mai osato entrare in quella stanza? Chi può mai essere lo sconsiderato che ha scelto di prendersi gioco di lui? Ma ciò che nota è un’ombra scura con le fauci in mostra, che rapidamente si dissolve nel nulla sotto lo sguardo attonito del giovane, il quale si ritrova a fissare il vuoto.
Con gli occhi sgranati, totalmente incapace di capire cosa sia appena accaduto, il ragazzo non muove un muscolo, cercando di realizzare se la sua visione sia solo il frutto della sua mente devastata o meno. Quella voce non appartiene a nessuno di sua conoscenza, era profonda e calma, ma è certo di averla ascoltata altrove, cerca di scovare un ricordo nella sua mente, ma è tutto troppo offuscato dal momento, tutto così incomprensibile.
Le luci che filtrano attraverso i vetri e che disegnano i contorni delle finestre sul pavimento, sono il segno che è ora di andare e che forse la stanchezza per la notte insonne è la sua più grande nemica in questo giorno che sta aver avere inizio. E' l’alba di una nuova Dohaeris, è l’alba di un nuovo Re.
L'incoronazione
Occhi di ghiaccio, occhi crudeli, occhi senz'anima si specchiano nella preziosa cornice di marmo a Luna di Diamante.
Lantis osserva quel vestito, sempre lo stesso per tradizione, accarezza quei colori che gli appartengono, quelle due sfumature di argento e azzurro in cui è stato fasciato sin dalla nascita.
Preferisce indossare armature, come se il suo cuore fosse perennemente in guerra, perennemente sotto assedio da qualche forza oscura che si annida dentro di lui. Guarda di sbieco come gli cade la ricca casacca di seta e velluto, mentre le sarte cercano in tutti i modi di adeguarla alla sua taglia. Più magro di Rickard, che aveva un fisico più possente, ma allo stesso modo forte e muscoloso. Lantis del Fulmine è famoso per la sua velocità in battaglia e per i suoi fulmini neri, per quella discendenza dai Blackfire di cui va così fiero. La sua Cuore di Tenebra è un'eredità di sua madre, un'arma ancestrale che si dice forgiata all'Abgruntis da Raiden stesso. Sul fodero, che porta a fianco e trattiene quell'oscurità, all'altezza della chiusura per l'elsa, fa bella mostra un corvo nero di zaffiri scuri, il simbolo che Margarete Raeghar ha sempre portato con fierezza. Sperava di averla accanto a sè, Lantis, in un giorno così importante, nonostante la mente gli ha sempre detto sin da bambino che la cosa era poco probabile. La corona passa da una testa morta ad una viva, il suo passo verso il trono sarebbe stato solitario, è sempre stato così. Eppure pensa che se Reneè non fosse fuggita sarebbe qui al suo fianco come sua Regina a sistemare con la mano candida il merletto ribelle; che se quella malattia non avesse tranciato la giovane vita di sua madre, oggi lo avrebbe aiutato a legare la spada alla cinta. Forse ci sarebbero risa di bambini e non solo lacrime e dolore. Allora sì, avrebbe sentito quel calore al cuore che ormai lo ha abbandonato. Non ci sarebbe stata alcuna guerra, anche Drako sarebbe lì, al posto di Cassandra, a osservare divertito la sua vestizione, e sua sorella non sarebbe irata con lui ma magari sarebbe stretta al braccio dell'uomo che ama e sarebbe prossima alle nozze. Perchè gli dei non hanno voluto un simile quadro di perfezione? Capitava, a volte, che Lantis li maledicesse, ma mai a voce alta, perchè non è una cosa giusta da fare. Allontana con un gesto distaccato le serve che gli ronzano attorno con ago e filo e si volta verso il Primo Cavaliere. La guarda e le fa segno di precederlo, è pronto per la grande marcia. L'ampia Sala del Giudizio, gremita di gente, la solita che frequenta quel tipo di avvenimenti.
Nobili che vogliono consolidare il loro potere, aristocratici decaduti che tentano di entrare nelle grazie del nuovo Re, faccendieri pronti a svendere i loro servigi per qualche pezzo di terra smesso.
Lumen risplende nella folla, con il suo abito azzurrino di seta e organza, tempestato di fiori di diamanti. Un messaggio, elegante e sottile, di come l'azzurro dei Raeghar necessiti del bianco dei diamanti del Nord per brillare.
Il Re si siede sul trono, un attimo la vista si annebbia, ma giusto un battito di ciglia, nessuno avverte il suo malore. Il Sacerdote lo incorona, il Primo si inginocchia e pronuncia il suo giuramento, tutti acclamano, tutti son pronti al rituale che per secoli ha seguito l'incoronazione di un Raeghar.
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Lantis si alza in piedi, il ciambellano di corte gli porge il calice dorato con dentro del vino rosso, prodotto dalle cantine del Castello. Lo solleva in alto, stira un sorriso sulle labbra. "Brindo a Dohaeris e agli dei, che mi proteggano dalle insidie e mi diano la luce del giudizio. Vino, signori, vino per tutti" esclama con la voce altisonante.
Tutti berranno, come vuole la tradizione, persino Lord Tywin, pallido in viso più del solito, forse per l'aver festeggiato tutta la notte la vittoria su Rickard, che non ha lasciato con gli occhi un attimo Re Lantis.
Dopo la cerimonia dovranno parlare, dovranno discutere, dovranno disegnare il grande progetto su cui fondare la Dohaeris del futuro.