Non sono mai andato alla tomba di mia figlia, quando l’ho seppellita non ho avuto neanche il coraggio di incidere il suo nome sulla pietra, ogni parte di me tremava, ogni singolo muscolo non rispondeva alla mia volontà, anche solo il minimo movimento mi causava fatica, con gli occhi così doloranti e gonfi dalle lacrime che non riuscivo a veder nulla. Mi vergogno di me stesso, mi vergogno di essere sempre giunto a due passi da lei e non aver avuto il coraggio di arrivare a quel piccolo tumulo, non le ho mai portato neanche un fiore, mi sento debole solo all’idea. Mayla, tuo fratello non sa neanche il tuo nome, non sa di non essere nato solo, gli ho nascosto così tante cose, come faccio a pretendere di entrare nella sua vita come nulla fosse? Come farò a dirgli tutto? Probabilmente sarebbe stato meglio per lui non conoscermi mai, se quel giorno non mi fossi avvicinato a quella casa, se non avessi ceduto all’impulso di guardare un figlio che avevo rinnegato da quella finestra, del quale avevo deciso di non importarmene più… Lo ricordo così piccolo in quella culla di legno così grande per lui, gli abiti stropicciati e la bambola di pezza in un angolo, dormiva beato, con un sorrisino che gli tirava l’angolo delle labbra, rimasi fermo come ipnotizzato dal movimento del suo respiro nel sonno. Tornai altre notti per affacciarmi a quella finestrella, tornai sempre più spesso ed i mesi si susseguirono, così come gli anni, ormai lo conoscevo seppur indirettamente, l'ho spiato mentre cresceva senza stringerlo mai tra le braccia, senza reggerlo quando ha imparato a camminare, non ero con lui quando ha pronunciato le prima parole, quando ha chiamato papà… un perfetto sconosciuto. Trascorsero tre anni, era mattina e come al solito mi ero ritagliato un po’ di tempo per andare ad osservarlo, a volte restavo sul ramo di un alto albero per non farmi vedere mentre giocava nello spiazzale, ma visto che non c’era nessuno mi avvicinai alla solita finestra. Non c’era nessuno neanche all’interno della stanza, probabilmente erano usciti ed un po’ rammaricato feci per voltarmi ed andarmene, ma sentii qualcosa tirarmi i pantaloni. Abbassai lo sguardo e lo vidi… Auron era di fianco a me a guardarmi dal basso, sorrideva, non gli facevo paura nonostante il grande stacco di altezza. La sua piccola mano era aggrappata ai miei pantaloni e tirò un paio di volte
“Ciao” disse con una vocina squillante ed io sgranai gli occhi senza sapere cosa fare
“Io sono Auron” ripeté ancora una volta senza accennare a smorzare quel sorriso
“Ti sei perso?” mi guardai in giro, non vedevo i suoi genitori adottivi, non potevano essere stati tanto stupidi da averlo lasciato solo a quell’età, così lo guardai titubante
“hem… sei solo?” tirò ancora una volta i miei pantaloni, ma questa volta senza rispondere
“allora?” Il suo sorriso si allargò e mi resi conto che alle mie spalle c’era qualcun altro
“Per tutti gli dei antichi…” era la donna alla quale lo avevo affidato
“Auron, smettila di fuggire appena mi volto un attimo” la osservai, ma girai subito il viso, non volevo essere riconosciuto, cosa che purtroppo la donna fece all’istante
“Come sono felice di rivedervi, non saprò mai come ringraziarvi, il piccolo Auron ha riempito la vita mia e quella di mio marito, è un bambino così intelligente, venite in casa, vi offro una tisana e dei biscotti appena cotti” mi fece segno di seguirla, ma non ne avevo per niente voglia, volevo andarmene al più presto, iniziavo a sentirmi a disagio
“No… grazie, sono di fretta, magari la pro…” la presa sul tessuto dei pantaloni aumentò e quella volta con entrambe le mani
“A quanto pare non ha intenzione di lasciarvi” la donna mi sorrise, era solare ed Auron era cresciuto bene, avevo decisamente scelto la famiglia giusta per lui
“E va bene…” dissi quasi con rammarico ed in quell’istante Auron lasciò il mio pantalone per alzare entrambe le braccia verso l’alto
“Vuole essere preso” mi bloccai senza sapere come reagire
“Da me?” “certo” rispose subito la donna sorridendo avanti a quella scena, probabilmente mi prese per stupido. Mi abbassai ed Auron mi saltò letteralmente tra le braccia ed io lo strinsi per sollevarlo, ricordo ancora cosa provai in quel momento, qualcosa che sento tutt’oggi: un senso di appartenenza, di familiarità, di affetto… sentii di non volermi più negare la sua vicinanza e così feci. E’ vero che era intelligente, probabilmente ha sempre saputo chi io fossi, dopotutto bisognava essere ciechi per non accorgersene, più cresceva e più mi somigliava, più cresceva e più mi rivedevo in lui. Mio figlio... è sempre stato più deciso e forte di me.
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