Era mattina, solitamente mi recavo al pomeriggio da Irina ed i bambini, ma quel giorno era arrivato un carico di vivande e cacciagione fresche al Castello, cose che avrebbero fatto bene ad Auron e Mayla, quindi feci un bel fagotto e me lo misi sulle spalle senza pensarci due volte, tanto erano abituati a vedermi trafugare cibo, pensavano che fossi il solito pozzo senza fondo.
Il sole non era particolarmente alto, anche se la temperatura era tipicamente estiva, l’aria calda che si incollava addosso ed io, che sono sempre stato abituato a temperature glaciali, cominciavo a sentirmi soffocare. Avanzai nel bosco, gli alberi alti mi davano un po’ di refrigerio grazie all’ombra delle chiome, arrivai poco distante dalla casa in legno e notai le teste di Elysa ed Irina che spuntavano dalla finestra della cucina, decisi di far loro uno scherzo: avvicinarmi senza farmi vedere, aprire la finestra e lasciar cadere il sacco sul tavolo, sicuramente mi avrebbero urlato entrambe, ma io avrei riso come sempre. Mi portai lateralmente all’abitazione in modo che non potessero vedermi e mi avvicinai in modo da non far rumore con i miei passi, per poi posizionarmi accanto la finestra, ero pronto ad aprirla con un movimento brusco della mano, ma…
“
Ho scritto la missiva a Tywin, presto saprà che è nonno di due bei pargoli” era la voce di Irina, mi pietrificai all’istante, non capii… non volevo capire il senso di quella frase, rimasi fermo, immobile, con la mano che scendeva dalla finestra allo stomaco.
“Che ne sarà di Ryuk?”
La voce di Elysa era più bassa, quasi sussurrata, ma stando seduta accanto alla finestra, riuscivo a sentire ugualmente le sue parole.
“Beh… con degli eredi è totalmente inutile, non serve più al casato Leithien e tutti sappiamo che Lord Tywin tiene ad una discendenza, non so come abbia fatto Ryuk a credere che non sapessi del suo casato, povero idiota, non mi sorprendo di averlo raggirato così facilmente. Probabilmente suo padre lo farà fuori ed io verrò accolta al Castello con i nipoti del Lord: i legittimi eredi. Auron è uguale a suo padre, Mayla ha gli occhi di famiglia, è evidente che siano figli suoi, non c’è bisogno di altre prove. Anche se mi è venuto un colpo quando ho visto il bambino appena nato, tutto stropicciato com’era, non somigliava per nulla al padre, per fortuna si è sistemato” Credo che una pugnalata al centro del cuore sarebbe stata cento volte meno dolorosa, non saprei esattamente descrivere cosa provai, è come se mi fosse venuto a mancare il sangue nelle vene, l’aria nei polmoni, la terra sotto i piedi, la capacità di ragionare… ogni forza venne meno, fisica e mentale.
“Oh avanti, non fare quella faccia, se resta vivo te lo puoi prendere, ho visto come lo guardi”
“No, io voglio bene a Ryuk, è come un fratello, io… io non…”
“Ma sono io tua sorella e vuoi più bene a me, non è vero Elysa? Tuo vuoi che tua sorella sia felice, che i tuoi nipoti siano felici, che nostro padre smetta di lavorare come un mulo, potrei passarvi del denaro, non sarà più un problema per noi. Non apprezzi i miei sacrifici, ho giaciuto con quel ragazzino più e più volte per avere quei bambini, per assicurarci un futuro, non mi piace neanche Ryuk, quel conte che stavo abbindolando prima di lui almeno era un uomo, ma non era ricco quanto lui. Quindi fatti due conti sorellina, è più di un anno che porto avanti questa recita, non vedo l’ora di levarmelo di torno e quando i bambini verranno riconosciuti col cognome che spetta loro, li smollerò a una nutrice e noi ci godremo finalmente questa vita!”
In quello stesso istante, è come se Raiden in persona si fosse impossessato di me, tutte le mie forze, tutta la mia volontà ritornarono mescolandosi con la rabbia cresciuta ed accumulata per tutto il tempo della conversazione al cento dello stomaco, ero pronto per esplodere, per dar sfogo ad ogni mio istinto. Digrignai i denti e lasciai cadere il sacco in terra, deciso, mi diressi all’interno dell’abitazione e spalancai la porta sbattendola contro il muro.
Irina ed Elysa sobbalzarono dalle loro sedie, capirono immediatamente cosa fosse accaduto, forse per il rumore della caduta del sacco, forse per la mia espressione, forse perché non mi avevano mai osservato negli occhi in quel modo ed appena il mio sguardo si posò su di loro, ebbi l’istinto di trucidarle all’istante.
“No… Ryuk… nooo” Irina era la più lontana da me
solo un passo mi divideva da Elysa, troppo lenta e troppo gracile per fuggire, la afferrai per il collo e la costrinsi ad inginocchiarsi avanti a me
“T-ti preg…” le lacrime sgorgavano abbonanti dai suoi occhi verdi, risaltavano ancor di più col rosso delle vene che si estendevano e pulsano all’interno della sclera, boccheggiava cercando di liberarsi, ma stringevo, stingevo sempre più forte. Mi aveva mentito, mi aveva mentito per tutto quel tempo, doveva morire.
Con un gesto dell’altra mano, le costrinsi ad aprire ancor più la bocca, ci infilai il pugno per intero e feci scivolare il palmo all’interno della sua gola con forza, gli angoli della bocca si stracciarono e sentii il rumore delle ossa della mascella dislocarsi.
Liberai tutta l’energia che avevo in corpo, il vento che si scatenò dalla mano e le esplose nelle interiora. Elysa era come un pezzo di carne macinato e schiacciato riversato sul legno, il sangue che si espandeva rapido tra le fessure colando attraverso di esse ed un pezzo del cranio ancora appoggiato sulla mia mano. Un forte rumore giunse dalla stanza da letto di Irina, non ci pensai una seconda volta, mi diressi là, dove la trovai intenta ad aprire il finestrone per fuggire.
Non le diedi il tempo di parlare, non le diedi il tempo di dirmi altre menzogne, volevo guardarla negli occhi mentre si spegneva, mentre tutto moriva assieme a lei.
Le strinsi una mano attorno la gola, serrai, serrai con tutta la mia forza, mentre la mia vista si annebbiava, mentre piangevo già la sua perdita, la perdita di una illusione che mi ero costruito nella mente, che lei aveva piazzato nei miei sogni da ragazzino idiota, proprio come mi aveva definito.
La osservai mentre i suoi occhi si spegnevano, mentre quell’azzurro che mi aveva annebbiato la mente moriva sotto la pressione della mia mano, il viso violaceo e gonfio, le pupille dilatate e il rosso delle sclere che si era fatto così intenso da brillare quasi al posto del colore delle iridi. Aveva smesso di dimenarsi, la presa sulla mia mano era venuta meno, ma continuavo a stringere, continuai fino a solcarle il collo e perforarlo. Singhiozzai con il viso mutato in una espressione straziata di chi aveva perso ogni cosa.
Lasciai la presa ed il suo corpo si accasciò in terra, la osservai per qualche secondo prima di cascare su me stesso sulle ginocchia, la strinsi tra le mie braccia, non so neanche perché lo feci, volevo sentirla ancora una volta accanto a me. Le guardai gli occhi ormai bianchi rivolti all’indietro, abbassai le palpebre con un gesto della mano, e singhiozzai ancora, lo feci fino a quando la sentii diventare fredda e rigida.
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