Mi svegliai col pianto dei bambini, erano entrambi sollevati mantenendosi alla sbarra in legno della culla, li guardai ancora con gli occhi gonfi, che faticavano ad aprirsi, Irina era ancora stretta a me, ormai bianca e fredda.
Li osservai per qualche istante: il viso di lui così simile al mio, se avessimo paragonato i ritratti di quando avevo la sua età ci avrebbero distinto unicamente per i colori dei capelli e degli occhi, mentre lei… lei aveva tutto di me, come quel verde giallo che brillava in una cornice corvina. Mi alzai e mi avvicinai a loro, spostai i capelli di Mayla dal viso per guardarla meglio, osservare ancora i suoi occhi e feci lo stesso con Auron, mi sorrisero entrambi e li presi dalla culla, sorreggendo ognuno di loro con un braccio. Le parole di Irina rimbombavano ancora nella mia testa: gli eredi dell’Adamantem, loro che sarebbero cresciuti da Leithien, lei con quegl’occhi rappresentava tutto ciò che era mio padre e mia nonna prima di lui. Li strinsi a me, li strinsi forte portando i visi al mio petto, con il naso a premere contro la pelle, a smorzargli il fiato.
Non dovevano esserci altri Leithien al mondo, non dovevano esserci altri me, quei bambini avrebbero seguito la loro madre pur non avendo colpe di tutto quel che mi era capitato. E se c’è un momento nella vita che posso segnare come quello più oscuro di tutti, fu proprio quello, quando scelsi di scendere negli abissi infernali assieme a loro, accompagnali nel sonno profondo che li avrebbe accompagnati per l’eternità. Troppo piccoli per ribellarsi, troppo fragili… Quando lasciai la testa di Mayla ricadde all’indietro, abbandonato ad un collo senza forze, forse spezzato, non ebbi il coraggio di controllare se le avessi tolto la vita per quello o per averle portato via l’aria.
Rimasi ad osservarla, con il cuore che andava in mille pezzi, forse realizzando la follia che avevo appena compiuto, tra tutte le barbarie che ho commesso nella mia vita, prima e dopo quel giorno, niente è mai stato paragonabile a quel gesto.
Mi persi ad osservare quegl’occhi che per fortuna erano rimasti chiusi, avrei visto la morte in quelle iridi che erano le mie, una morte che cominciai a desiderare per me stesso, ma un movimento all’altro braccio mi ridestò facendomi voltare. Auron stava respirano contro il mio petto, alzò il capo con una mano ancora poggiata contro di me, apri gli occhi e mi sorrise, un sorriso che mi riportò in dietro, mi strappò dall’abisso in cui mi ero gettato.
Scoppiai nuovamente in lacrime guardando mio figlio negl’occhi, gli occhi di Irina, ma in un viso che era il mio, lui mi sorrise ancora abbassando nuovamente il capo sul mio petto, stringendo con la sua piccola mano il mio braccio.
Quel bambino mi ha salvato la vita, nel momento in cui avevo scelto di portarmi via la sua e forse fu il tremendo senso di colpa che mi ha portato ad abbandonarlo, forse è stata la paura di farlo diventare come me, ma ero certo che avrebbe vissuto una vita migliore senza suo padre e senza sua madre. Poggiai Auron nella culla e tornai in cucina, persi nuovamente le forze alla vista di cosa avevo fatto ad Elysa, a lei che mi ha aveva voluto realmente bene, a lei che aveva avuto la colpa di essere arrendevole con una sorella come Irina. Preso da un momento di follia mi inginocchiai provando a ricomporre i pezzi, sapevo che non potevo tornare indietro, ma il senso di colpa mi imponeva di provare a ridare un minimo di dignità a quel corpo martoriato.
Presi Auron tra le braccia e me ne andai, seppellii Mayla poco distante dalla tomba di mia madre, non ho mai avuto il coraggio di tornarci. Non guardai il cadavere Irina, non lo feci più al momento in cui mi ero alzato per andare dai bambini, le avevo voltato le spalle anche da morta, a lei… che avevo amato con tutto me stesso, mi ripromisi che mai nessun’altra avrebbe potuto avvicinarsi a me.