Non sarei uscito vivo da quello scontro, ma per lo meno il moccioso sarebbe sopravvissuto e magari qualcuno avrebbe seppellito il mio cadavere, o quel che ne sarebbe rimasto. In quei momenti, la morte è solo un'ombra, non pensi alle sue conseguenze, ma solo al buio che ti aspetta. Un battito del piede sul terreno e qualcosa in me si legò al potere della terra riuscì a immobilizzare la lupa con il mio primo pozzo sabbioso, che era debole, poco esteso, ma fu sufficiente al bambino per fuggire via. Si dissipò subito, così la fiera puntò me, che caduto a terra per la paura e lo sforzo, sentivo già i suoi artigli affondare nella carne, ma qualcosa si piantò giusto sul suo collo, soffocando il suo slancio. Vicent non era fuggito via, aveva raccolto la mazza e con entrambe le manine, l'aveva conficcata addosso all'animale, uccidendolo sul colpo. La mazza era sì pesante, ma non eccessivamente perchè, appunto, non sapevo farle poi così bene. Si inginocchiò in lacrime davanti al lato della carcassa e io mi sedetti, incredulo e silenzioso per il fatto di respirare ancora. Mi faceva male il petto per come il cuore lo colpiva violentemente, la fronte fradicia, l'odore di piscio nei calzoni. Me l'ero fatta addosso e, volgendo lo sguardo sul bimbo, anche lui stava nelle mie stesse condizioni. L'adrenalina che però s'era messa in circolo dentro di noi, esplose prorompente quando incrociammo i nostri sguardi. Avevamo ucciso una lupa enorme, feroce.
Mi alzai di scatto, con le gambe ancora tremanti ed estrassi il coltello: era la nostra preda, eravamo stati coraggiosi e forti, come i veri uomini del nord.
"Abbiamo sconfitto questa puttana, ci meritiamo un trofeo" dissi sistemando la carcassa dell'animale in modo da iniziare lo scuoiamento. Ci saremmo divisi la sua pelliccia, l'avremmo portata addosso con orgoglio perchè anche noi eravamo spietati cacciatori del nord. Come Ulfric, come Caligus. I bambini hanno la capacità di rielaborare la realtà in modo del tutto distorto: le lacrime un lontano ricordo, i pantaloni bagnati non davano nemmeno fastidio.
"L'ho uccisa... io l'ho uccisa" balbettò Vicent, non riuscendo a smettere di piagnucolare.
"Hai dovuto farlo, lei ci avrebbe sbranati, Vicent" replicai scocciato. La lama del mio coltello era già affondata nel ventre della bestia inerme, l'aveva già tagliato di lungo, così da consentirmi di svuotarne gli intestini. Mio padre lo faceva con una sublime maestria, l'arte dello scuoiamento era come suonare il violino per lui: lo ammiravo tanto, cercai di essere alla sua altezza in quel frangente, mentre il bambino continuava a frignare.
"Forse era così rabbiosa perchè doveva difendere i suoi cuccioli... ora non avranno più la mamma e moriranno di fame" lamentò il piccolo, avvicinandosi alla testa della lupa per accarezzarla.
Lo guardai sbigottito: come riusciva a provare della pietà in un momento come quello, verso un essere che voleva ucciderci? Pensai fosse ridicolo, debole ma poi... mi resi conto che io e quella lupa, che marciva sotto la mia mano, non eravamo tanto diversi. E di entrambi, il piccolo Dreth aveva avuto compassione. Sbuffai, ritirando la mano dalle interiora e pulendomela alla bene e meglio addosso, mi rialzai per esclamare:
"E va bene, hai vinto, cerchiamo la sua tana... anche se è assurdo salvare dei cuccioli che un giorno cresceranno e sbraneranno qualcuno... seguiamo le sue impronte, dovrebbero portarci a destinazione". In effetti, quello che trovammo fu davvero una scena tenera: cinque piccoli cuccioli di lupo, due femmine bianche, due maschi argentati e uno nero. Quando presi in braccio quest'ultimo, un po' più grande del mio piede, lui mi guardò fisso con i suoi occhi di ghiaccio e mi leccò la faccia.
Gli sorrisi di rimando, in modo spontaneo, sincero. Non sorridevo spesso, non avevo molti motivi per farlo. Ma quel cucciolo nero, forse anche lui un bastardo tra quei fratelli così chiari, m'era grato, non gli importava chi fossi, da dove venissi... non gli importava che avessi contribuito ad uccidere sua madre... mi aveva leccato in faccia per ringraziarmi.
"Ti chiamerò Ripper, perchè sei nero come la morte e hai i suoi occhi gelidi... ma anche dolci" dissi con enfasi. In realtà, Ripper era l'unica cosa che sapevo di mia madre: il suo cognome. Giocammo coi cuccioli e Ripper si dimostrò subito fedele, Vicent non piangeva più e ci proponemmo di salvare queste creature dalla fame.
Un giorno non molto lontano si sarebbero trasformati in predatori di uomini, ma in quel momento erano solo i nostri piccoli protetti. L'innocenza scintillava ancora sui loro musetti che altro non avevano assaggiato se non il latte materno. Quella fu la settimana più felice della mia vita: io e Vicent ci recavamo tutti i giorni al pomeriggio per sfamare i nostri compagni, con cui giocavamo spensierati fino alla sera. Tra me e Vicent, c'era il segreto di questo patto di vita, di gioia, di infanzia, quando tutto intorno era freddo, severo, spietato. Ripper cresceva a vista d'occhio, forte e agile come sarei voluto essere io stesso. Riconosceva da lontano il mio odore, ululava per poi corrermi incontro e leccarmi la faccia, perchè sapeva che avremmo corso a perdifiato, io cercando vanamente di superarlo. Quando Ripper correva troppo lontano, si fermava e mi attendeva: come un guardiano vegliava su di me, e io avrei vegliato su di lui. Niente può essere forte come il legame tra un ragazzo solo e il suo cane. Ripper era il mio cane, non più un lupo famelico, ma un compagno, l'amico che non avevo mai avuto.
Terza parte di quattro, sono riuscita a diminuire di un post XD Continua...