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Adamantia restò a terra, la schiena appoggiata alla porta e il volto tra le mani. Avrebbe voluto piangere, ma gli occhi erano asciutti, lei era riuscita a portarle via persino le lacrime! Dopo qualche minuto un gruppo di ancelle occupò la Sala delle Udienze per le solite pulizie e nel mentre chiacchieravano allegramente.
Sembrano così felici, di sicuro lo sono più di me! - poi le sentì parlare del torneo e due di loro si diedero appuntamento al teatro delle marionette, dietro il venditore di salsicce. Adamantia si alzò di scatto e aprì la porta, le ragazze in sala si bloccarono e ammutolirono.
“Se qui avete finito potete andare, tranne … te” - indicò una di loro che aveva più o meno la stessa corporatura e statura e, qualche minuto dopo, stava indossando i suoi abiti, scusandosi in cuor suo con la poveretta per aver usato lo charme su di lei in maniera così meschina.
Riuscì senza difficoltà ad uscire dalla rocca attraverso le stanze riservate alla servitù, ma era già pomeriggio inoltrato quando arrivò all'Arco della Piana, l'ultimo ostacolo che la separava dall'agognata libertà. La volta prima, quando aveva provato a scappare con l'aiuto di Mirri, la figlia di una delle ancelle di sua madre, Illyria l'aveva riportata indietro poco prima di superare quel punto. Adamantia, in piedi di fronte all'Arco, si guardò intorno,sapeva che era un gesto stupido, contro potere del teletrasporto di sua madre non avrebbe certo avuto la meglio, ma quel gesto la rese più sicura e si arrischiò ad oltrepassare l'arco con un saltello.
Fece un respiro profondo e attese immobile. Non successe nulla. Fece un altro piccolo passo avanti, poi un altro ancora e infine si ritrovò a correre lungo i gradini in marmo bianco che la separavano dalla Piana. Poteva vedere sotto di sé lo spazio pianeggiante antistante la città di Asshai brulicante di vita e il fiume Panther che scintillava argenteo e placido verso la capitale. Si sentì invadere da un'irresistibile felicità ed era grata agli dei che le avevano permesso di assaporare finalmente la libertà, poi il senso di colpa le fece frenare la corsa e ripensò a Ser Arlan: doveva avvisarlo, doveva cercare di rimediare a quello che gli aveva fatto Illyria, forse poteva aiutarlo col suo charme e annullare il potere di sua madre. Doveva provare o non si sarebbe mai data pace.
S'incamminò lungo il dedalo delle bancarelle dove centinaia di mercanti vendevano la loro mercanzia urlando, chiamando, strattonando.
Dall'alto era riuscita ad individuare il padiglione giallo dei Florent, ma ben presto finì col perdere il senso dell'orientamento, travolta dalla folla, dagli odori, dalle voci. Giocolieri, maghi e teatranti si aggiravano tra le bancarelle esercitando i loro mestieri, così come le prostitute e i borsaioli. Un senso di paura si impossessò di Adamantia, non sapeva più dove andare, né cosa fare e restò imbambolata a fissare un braciere colmo di carne sfrigolante e dall'odore invitante per qualche minuto.
D'un tratto una brusca stretta alla spalla la fece sobbalzare e siritrovò immobilizzata contro il busto di uno sconosciuto che lastava chiamando tesoro.
Cominciò ad agitarsi per divincolarsi dalla presa, il giovane non era poi così muscoloso, anzi, quindi riuscì a sfuggirgli mordendogli un bicipite, ma non fece più di due passi che quello la riacchiappò.
“Quanta fretta! E' questo il ringraziamento per averti salvato?”
Finalmente lo guardò in volto, aveva proprio la faccia da furfante, di quelli di cui le avevano insegnato a diffidare.
“Salvato da cosa, di grazia, da una salsiccia sfrigolante?” - rispose lei, facendo la sua espressione più truce.
Il ragazzo, alto, dalla pelle abbronzata e gli occhi color carbone,la guardò sbuffando:
“Sei proprio tonta, un borsaiolo stava per infilare la mano nella tua tracolla! Ma da dove vieni, dal paese dei balocchi? Solo una stupida se ne poteva restare così imbambolata in mezzo a questo casino!”
“Chiamami di nuovo tonta o stupida e ti farò assaggiare la frusta, magari scopri che ti piace!” - rispose Adamantia indignata per quel linguaggio.
Quello la guardò per un attimo sbigottito poi si fece una grassa risata:
“Chi sei una di quelle teatranti di Terrafredda?”
“Dovresti essere punito per questi tuoi continui affronti! Il mio nome è Lady Ada ...” -
mantia Feralys, stava per terminare la frase, ma si ricordò cosa stava facendo e perchè era lì e allora si limitò a stringere gli occhi e a mettere le braccia conserte.
Il ragazzo, ancora scosso dalle risate, fece un profondo inchino edisse tra le lacrime:
“Chiedo scusa, non sapevo che sotto quegli abiti da serva ci fosse un corpo da principessa. E che corpo ...” -tentò di sbirciare scostandole la camicia dal seno, ma ricevette una sonora sberla sulla mano. Continuava a ridere mentre le diceva, sventolando la mano colpita:
“Lady Ada, io sono Gunnar, il vostro umido servitore. Al vostro servizio.”
“Umile”
“Mmmm?”
“Ah, lasciamo perdere, ho altro da fare.” - ancora con le braccia conserte Adamantia si voltò e cominciò a camminare.
“Non puoi andartene” - Gunnar le si parò davanti con balzo -
“Non ho sentito ancora la paroletta magica, ragazza”
Deglutì, quel tipo aveva forse scoperto qualcosa? Aveva percepito la sua magia? Non le sembrava possibile, lei non aveva sentito nessun tipo di potere scorrere in lui, era un ragazzo qualunque, un popolano e anche parecchio ignorante e fastidioso.
“Levati di mezzo, devo cercare una persona.”
“Vai a trovare il fidanzato? Dove sta? Ti porto io, così ti difendo dai furfanti”
Adamantia sbuffò più volte, stava perdendo la pazienza, oltre che tempo prezioso e cercava di usare tutto il suo autocontrollo per evitare che le sue mani sviluppassero il fuoco e bruciassero la faccia di quel bifolco.
“Il mio fidanzato combatte al torneo, devo andare da lui prima che cominci la giostra.” - sperava in questo modo di impressionare il ragazzo, ma lui continuò ad insistere dicendo che andava dalla parte sbagliata e strattonandola per un braccio. All'ennesimo tentativo fallito di liberarsi di lui, Adamantia sbottò:
“Non vado al torneo dei poveracci! Ser Arlan è un nobile cavaliere valoroso e coraggioso, non un cencioso e puzzolente cavalcamuli come te! Adessofatti da parte e deciditi a lasciarmi in pace una buona volta!”
Non lo aveva fatto apposta, non si era quasi nemmeno resa conto diaver rilasciato sui presenti la sua aura di tenebra. Non era un granché potente, all'epoca aveva appena 16 anni, ma quel poco bastò per fare dare di stomaco ad un bambino mezzo nudo che chiedeva spiccioli aggrappandosi ai calzoni dei passanti e ad innervosire un paio di cavalli, che imbizzarrendosi, riuscirono a sfuggire al loro custode e a lanciarsi in corsa proprio alle sue spalle. Prima che potesse rendersene conto Gunnar le finì addosso, spostandola dalla traiettoria degli animali, che poi riuscì ad afferrare per la capezza e a calmare parlando loro dolcemente mentre li accarezzava sul muso. Adamantia restò imbambolata a fissare tutta la scena, conaria mortificata: non voleva essere la causa della sofferenza degli altri eppure spesso lo era e non riusciva a fare nulla per cambiare lo stato delle cose.
Devi abbracciare la tua natura, non combatterla. Solo così riuscirai a dominarla.
Le parole di sua nonna le rimbombarono nel cervello e tutto il resto intorno sparì fino a quando non si sentì scuotere violentemente.
“Oh, sei viva? Oh! Oh!”
Guardò Gunnar negli occhi, le stava facendo male alle braccia, forse le avrebbe lasciato dei lividi. Sorrise al pensiero, non aveva mai portato un segno per più di un giorno, non vedeva l'ora di sapere cosa si provava ad essere una persona normale.
“Grazie” - gli sussurrò mentre lui la lasciava e si allontanava per andar via -
“Aspetta” - gli corse dietro scansando la folla -
“Ti chiedo scusa per la mia maleducazione, mi farebbe piacere se mi accompagnassi. Posso pagarti”
Gunnar si girò guardandola in malo modo:
“Va bene le scuse, ma i tuoi denari tieniteli pure. A me non mi servono. Addio, Lady Ada.”
Lo afferrò per una mano e lo strattonò:
“Quanto vuoi essere pregato? Una, cento, mille volte? Fai conto che l'abbia fatto e dacci un taglio. Accompagnami”
Era un ragazzo orgoglioso Gunnar e non gli era affatto piaciuto come lei gli si era rivolta poco prima, quindi decise semplicemente di ignorarla e continuare per la sua strada. Adamantia ci restò male, ma poi andò verso il bambino mezzo nudo che prima aveva subito involontariamente la sua aura, gli diede una moneta e, forse, per convincerlo con maggior fermezza usò anche lo charme. Fatto sta che il piccolo trotterellò in direzione del giovane alto e con ogni moina possibile lo convinse a tornare sui suoi passi.
“Lo faccio solo per il bambino” - disse lui con l'aria imbronciata, una volta vicino. Lei alzò le spalle e sorrise, pensando che tutto ciò non aveva molto senso, poi fece scivolare un braccio intorno a quello di Gunnar e gli indicò la direzione da prendere.
“Un nobile, eh? Sai cosa fanno i nobili alle ragazze carine come te? Gli danno un paio di botte, le mettono incinta e tanti saluti”
“Potresti evitare di dire volgarità? E poi lui non è così, ha detto di volermi sposare”
A quella frase Gunnar si toccò le parti basse con la mano libera, mentre sul volto di Adamantia si dipingeva una smorfia di disgusto.
“Per carità, sposarsi! Sposarsi a una come te, poi. Forse non ti conosce bene.”
“Perchè tu mi conosci?”
“Abbastanza da non essere così scemo!”
Per tutta risposta lei gli assestò un pizzicotto sul braccio così forte da farlo urlare, poi si ricordò delle sue di braccia e controllò se si vedevano i lividi: alzò gli occhi in segno di approvazione quando vide il contorno violaceo e la parte interna arrossata.
Avevano camminato un bel po', era scesa la sera, a quell'ora, col buio non si sarebbero più tenuti scontri: Adamantia pregò gli dei di riuscire ad arrivare in tempo. Agli angoli delle strade, sulle bancarelle, nelle mani delle persone comparvero fiaccole accese e il calore del fuoco avvolse la piccola strega con la sua familiare sensazione di benessere.
“Siamo arrivati al muro. Il tuo fidanzato sta di là.”
Adamantia guardò davanti a sé: la palizzata realizzata in legno era alta il doppio di lei e quel punto era presidiato da soldati con i colori dei Feralys. A quella vista le sfuggì un'imprecazione e si voltò di scatto sperando che nessuno di quelli l'avesse riconosciuta.
“Che ti prende? Devi solo passare il muro e poi auguri e figli maschi! C'è nessuno in quella testolina rossa? Lady Ad … ahia” - lei gli aveva assestato una gomitata nello stomaco con tutta la forza che aveva per farlo stare zitto, ma le guardie erano riuscite a percepire qualcosa, le vide guardarsi e parlottare. Non ci pensò due volte, fuggì.
Gunnar le corse dietro e così i soldati a guardia del muro di legno che divideva la piana dei nobili dalla piana dei mendicanti.
CONTINUA