Completamente nuda sul letto attese, con apparente calma, che Karin facesse il suo dovere, mentre nella sua testa i pensieri vorticavano furiosamente: gli sguardi, i gesti, le botte, la paura di non farcela, la rabbia e infine il sapore dolceamaro della vendetta, tutto si scontrava ed esplodeva furioso dentro di lei.
Quando la guaritrice risanò tutte le sue ferite, la strega, come risvegliatasi dopo un incubo notturno, si sfiorò la pelle diafana e perfetta senza proferire parola con nessuno e rifiutando con asprezza le cortesie che le ancelle le riservavano. Strinse i pugni e poi li rilassò, fece più volte questo gesto ogni volta stringendo più forte, giurò a se stessa che non avrebbe più permesso che qualcuno la guardasse come aveva fatto suo padre o pensasse ciò che lui aveva pensato, che non si sarebbe più mostrata debole, ferita e dolorante come una stupida donzella in pericolo e che non si sarebbe più fidata di nessuno. Mai più.
Purtroppo quell’incubo era ancora lontano dall’essere finito, c'era ancora qualcosa che doveva fare, una cosa che una parte di lei trovava ripugnante, ma che sapeva che l'avrebbe finalmente resa completa, una vera Feralys, degna di appartenere ad una tale gloriosa famiglia. Si ripetè più volte, prima di riuscire a trovare il coraggio, che ne valeva la pena e che la sua vita aveva bisogno di una svolta, quindi si vestì e si diresse, ostentando una sicurezza che in realtà non aveva, nelle stanze di sua nonna Alycent.
La trovò alla finestra, lo sguardo attento e vispo scrutava verso la città che si era risvegliata tra fiamme, fumo, grida e soldati. Si voltò verso la nipote e la invitò ad avvicinarsi:
“La mia piccola strega rossa! Siediti qui, qui davanti a me.”
Alycent, nonostante l’età, era ancora una bella donna, i lunghi capelli ingrigiti le donavano un’aura di regalità come a poche, il corpo snello era ancora flessuoso e fluido nei movimenti e il suo sguardo catturava l’attenzione di chi le parlava come se fosse provvisto di una calamita invisibile. Era l’unica in famiglia che sembrava provare un briciolo di umanità e affetto nei confronti di Adamantia, per questo la ragazza si sentiva più sicura a rivelare a lei, non a sua madre, l’accaduto e quello che aveva scoperto di provare a riguardo.
Adamantia la vide allontanarsi verso il secrataire in legno e rovistarvi dentro, ne trasse una luccicante spazzola in ambra, regalo di nozze del defunto marito Athon, e si rivolse nuovamente alla nipote. Le prese con delicatezza una ciocca di capelli tra le dita ed iniziò a spazzolarla dolcemente,cadenzando sottovoce una nenia antica, parole incomprensibili in una lingua strana, forse retaggio di un'arcana tradizione.
“C'è qualcosa che ti turba?” - la voce bassa di Alycent aveva interrotto il canto per concentrarsi su sua nipote, adesso.
Adamantia aveva nel frattempo raccolto le idee e i pensieri che aveva avuto non le sembravano più così strampalati come aveva creduto, quindi prese coraggio e parlò:
“Sono pronta per iniziare.”
“Per iniziare cosa, cara?”
“Voglio imparare ad essere come voi, come te e mia madre. Sono pronta ad accettare quello che sono, ad abbracciare i miei poteri ed essere una degna erede per la famiglia Feralys! Ieri notte … ho ucciso delle persone, con il fuoco, e, ecco, la sensazione, quello che ho provato ...”
Alycent smise di pettinarla e si sedette di fronte, gli occhi negli occhi: “
So bene come ti sei sentita, l'ebrezza del potere, di controllare la vita e la morte … a tutti quelli che si abbeverano da questo pozzo piace fin troppo quello che trovano. E non puoi farci niente, una volta che ci sei dentro l'unico modo per fermarsi è essere fermati.”
La giovane strega non era molto sicura di quello che le stava dicendo sua nonna, da un lato il potere che si era sprigionato dalle sue mani le aveva dato sicurezza, orgoglio, l'aveva fatta sentire bene, come se avesse finalmente vissuto per la prima volta, ma dall'altro, svanita la sete di vendetta, ciò che le era rimasto era la paura, la vergogna, il rimorso per quello che aveva fatto a quegli uomini.
“Ladri e briganti, non essere triste per loro, bambina." - disse Alycent come se le stesse leggendo nel pensiero -
"Si sono meritati la loro sorte e i soldati che ha mandato Azor hanno finito ciò che tu hai brillantemente cominciato. Non ne resterà nemmeno uno, di quei balordi malfattori!”
Adamantia guardò per la prima volta dalla finestra, ormai il sole era alto e le baracche sulla piana erano quasi tutte bruciate, colonne di fumo alto si sprigionavano verso il cielo terso e il fiume Panther serpeggiava lento tra le macerie, come un vecchio guardiano che si sincera che sia tornato tutto quieto dopo la tempesta.
“Voglio essere migliore, ma non posso farlo da sola, ho bisogno del tuo aiuto.” - le raccontò del giovane cavaliere Arlan, della reazione di Illyria e la sua fuga dopo aver usato lo charme su una ancella per il vestito. Proseguì dicendole dell'incontro con Gunnar, delle guardie che l'avevano riconosciuta e di come il ragazzo l'avesse aiutata a sparire tra la sua gente, di come poi la sua famiglia si fosse rivelata meschina e subdola cercando di rapirla e chiedere un riscatto, dopo averla picchiata senza pietà -
“Quando mi sono sentita quelle orrende mani addosso ho pensato solo a me stessa, a come potessi sopravvivere. E non mi importava di niente e di nessuno, c'ero solo io e la mia voglia di vendetta. E' questo che voglio essere, questo che voglio ricordare, nessuna debolezza, niente rimorsi, questa notte l'Adamantia stupida e sciocca che voleva fuggire ed essere amata per ciò che era ha smesso di esistere e ha dato vita alla nuova me. Devi aiutarmi, usa il tuo charme su di me, voglio dimenticare di essere mai stata così, voglio dimenticare di non essermi sentita all'altezza. Lo farai, nonna?”
“E' davvero quello che vuoi?” - il cenno positivo della testa non le lasciò dubbi -
“Guardami negli occhi, Adamantia, e ascoltami con attenzione.”
Quella che tornò in stanza, a schiena dritta e col mezzo sorriso furbo sulle labbra, era un'altra Adamantia, sicura di sé e delle sue capacità, fiera di aver tenuto testa a quella banda di balordi che non aveva la più pallida idea del grosso errore che aveva commesso cercando di rapirla.
I ricordi su quanto era accaduto erano confusi, ma non era quello l'importante, ciò che contava era che adesso si sentiva completa, orgogliosa di ciò che era diventata e non vedeva l'ora di dimostrarlo a tutti. A sua madre, prima di chiunque altro.
Ora che si sentiva pronta ad affrontarla mandò una delle ragazze a chiedere il permesso di farle visita; Illyria si fece trovare nella Grande Biblioteca, intenta a leggere un antico volume dalla copertina rilegata in pelle nera:
La Leggenda della Pantera – Saffron Feralys e la Pietra di Fuoco.
Non attese che le facesse nessun cenno, non c'era traccia di deferenza nei suoi confronti, prese posto sul divano accanto a lei ed accavallò le gambe, guardandola con fare sornione. Dopo qualche minuto in silenzio Illyria chiuse il volume avvicinando entrambe le mani e facendo in modo che emettesse un suono secco e grave:
"Cosa vuoi?" - le disse con la voce che tradiva una certa irritazione.
"La tua completa attenzione, mamma, e mi sembra di esserci riuscita perfettamente. Sono qui per darti ragione, la tua previsione si è avverata: ti sto chiedendo di rendermi migliore, degna di ricevere l'eredità che mi spetta."

Illyria la scrutò con sospetto, chiedendosi se fosse un trucco, una specie di finta e quale fosse il suo scopo finale, poi scosse la testa e decise di prestarsi a qualunque cose volesse sua figlia:
"Ti sei decisa finalmente! Ci hai messo un po' troppo, Adamantia, pensavo avresti capito quale fosse il tuo dovere quel giorno che ho ucciso la tua amichetta del cuore. Da allora non ho fatto altro che pensare che ci dovesse essere qualcosa di sbagliato in te, ma forse sei solo un po' ritardata. Beh, meglio tardi che mai!" - rise, nascondendo la bocca con la mano.
La ragazza represse a fatica un moto di stizza, ma abbozzò un sorriso nonostante tutto, e non si mosse, nemmeno quando Illyria si alzò dal divano osservandola dalla testa ai piedi, con aria a metà tra il pensieroso e il disgustato.
"Prima lezione, impara a vestirti come una donna del tuo rango e non come una poveraccia. Vieni con me, Adamantia, vediamo come te cavi a vivere nel mondo reale"