Gildas Demonar
Il freddo pungente della stanza inizia a farsi sempre più pungente man mano che inizio a svegliarmi. Apro lentamente gli occhi mentre nella testa le ultime note di un vecchio ricordo si fanno sempre più flebili. Un vecchio pianoforte si mostra ancora sfocato nella mia testa e piano a piano la figura di una donna prende vita da esso, mia madre è seduta a quel piano, il viso giovane e senza alcun segno dell’età è solcato da lacrime mentre le sue dita sottili e affusolate si muovono leggere su quei tasti candidi, la melodia esce lenta, dolce… in netto contrasto con il luogo tetro, il freddo castello dei Demonar pare tingersi per un attimo di colori caldi, accesi e per un attimo, un solo singolo istante mi pare di scorgere un sorriso sul volto di lei.
...
Quella notte mi alzai terrorizzato dal mio letto, era la prima volta che le mie piccole orecchie udivano qualcosa di diverso dalle urla rabbiose e dal suono agghiacciante della frusta. Il terrore di poter vedere qualcosa di diverso e mostruoso associato a quel suono così delicato divenne ben presto più potente, mai avevo udito simile suono, ogni strumento mi era precluso, ogni conoscenza per me era limitata al solo studio con il septon dei Fern rimasto ancora in vita dopo la morte degli altri allievi. Astor aveva fatto sparire ogni cosa potesse allietare le giornate di mia madre, a parte una cosa… quel grosso pianoforte per il quale lei stessa si era inginocchiata, pregando mio padre di risparmiarlo assieme alla sua vita. Le gambe mi dolevano e i lividi pulsavano man mano che i muscoli venivano tesi ad ogni passo. Sentivo come se le percosse fossero ancora vive, quella giornata papà era stato più violento del solito e il mio corpo era ormai ridotto a brandelli doloranti, scesi le scale tremante e inciampandovi un paio di volte mentre le gambe faticavano a reggermi dritto e a muovere più di due passi per volta. Non so come ma arrivai in fondo alle scale, forse ci caddi perché il dolore che avvertivo in ogni angolo del corpo mi faceva mancare il respiro ad ogni spasmo.
Mi aggrappai a un tavolo avanzando lentamente verso la fonte di quel suono, il salone del castello parve vibrare per un attimo e un intenso calore mi pervase, come se quella stessa melodia fosse qualcosa di ancestrale, qualcosa di proibito al contempo e al quale mi era vietato avvicinarmi anche solo per sfiorarla. Avevo paura… un terrore enorme, come se da un momento all’altro dovessi veder sbucare da dietro ogni angolo la spada di mio padre che mi avrebbe squarciato e bruciato le carni come punizione per aver udito quel suono. Ma al tempo stesso ne ero attratto, più quelle note andavano avanti incalzando e poi ritornando calme, più sentivo di dovermi avvicinare che quel pericolo mi piaceva, mi chiamava, come se fosse mio. Mamma sbucava appena da dietro il pianoforte,
la guardai per un istante fin quando i miei occhi non incrociarono i suoi, erano rossi, gonfi e le lacrime solcavano il suo viso mentre muoveva le mani sulla tastiera.
Mi guardò... il suo volto si distese e per un attimo, per un solo singolo istante della mia vita, vidi su quel viso tanto odiato, tanto temuto… un sorriso. Non lo capii e forse fu questo il mio errore più grande quella sera… mi avvicinai a lei, tremante e le mie labbra si schiusero «madre…» la chiamai come mi era stato insegnato.
Ma qualcosa mutò, la musica si interruppe di colpo, il sorriso si tramutò in una smorfia rabbiosa, le sue mani si serrarono a pugno sui tasti bianchi e le batté entrambe sul piano tuonandomi contro «vattene! Sparisci dalla mia vista, mostro!» lanciandomi ai piedi il calamaio con cui stava scrivendo che si frantumò con un suono sinistro. Corsi via ignorando il dolore che diveniva sempre più pungente ad ogni scatto, corsi fin quando non mi rintanai nella mia camera sbarrandone la porta e accasciandomi ai piedi di essa con gli occhi gonfi, rossi, come lo erano gli occhi di mia madre davanti a quella melodia…
...
Mi sveglio sospirando a quel ricordo che diviene sempre più amaro ma non appena apro gli occhi noto Vicent sveglio e seduto sul letto mentre legge qualcosa, sembra non avermi notato chiudo gli occhi aprendoli di tanto in tanto per spiarlo ed è in uno di questi momenti che mi rendo conto di cosa sta leggendo. Mi volto dall’altro lato, non voglio vedere la sua reazione. Lo sento sospirare amareggiato e dopo poco lo sento uscire dalla stanza per chiamare un servo. Lascia a lui la lettera e si avvia verso il glados. Cerco di biascicare un saluto verso di lui augurandogli di tornare muovendomi appena sotto le lenzuola, di tutta risposta il ragazzo sembra accorgersene e mi pone una seconda coperta sul corpo prima di lasciare la stanza. Stringo a me la stoffa arrotolandomici dentro e osservando fuori dalla finestra il sole che nasce lento illuminando il cortile esterno. È l’alba e Vicent è ormai partito, non ha senso continuare a stare qui dentro. Rapido faccio portare dai servi l’occorrente per il bagno e dopo essermi ripulito per bene indosso qualcosa di normale, abbinandola con una giacca coi colori del mio casato e dopo aver lanciato nel mobile tutte le mie ampolle con i coloranti «non mi serve più quello schifo.» mi dirigo in fretta in biblioteca, ho bisogno di fare alcune ricerche sui Feralys e sulla mia famiglia. Arrivato in sala trovo al suo interno Loren e poco più avanti Adamantia. Perfetto! Metto le braccia dietro la testa e silenziosamente le arrivo alle spalle «direi di darci una mossa.»
le dico senza preavviso e quando si sarà voltata, la porterò in disparte sussurrandole «credimi… non mi resta molto tempo…» mi premo una tempia spingendo appena per ricacciare indietro alcune fitte. Calmo… devo calmarmi…
*Azioni di Vicent concordate con Damnedgirl