Esperin Raeghar
Ho sempre adorato guardare il cielo stellato nelle notti serene, ed è forse per questo che impiego più del necessario per percorrere la distanza che mi separa dall'armeria. Non so bene se sia una buona idea raggiungere Lantis, credo sia più opportuno rimandare a domani una nostra eventuale conversazione, adesso la sua presenza è necessaria altrove. C'è una guerra da preparare, due guerriere da addestrare, strategie da definire. Non posso comportarmi da egoista.
Sono totalmente assorta nei miei pensieri quando la voce di Sir Aiden mi fa ridestare, sussulto impercettibilmente, guardandolo sorpresa per un attimo, non avevo minimamente notato la sua presenza, nè sentito i suoi passi.
<<Principessa, buonasera>> mi saluta, galantemente, fermandosi.
<<
Sir Aiden...Scusatemi, ero sovrappensiero. Buonasera>> gli rispondo, giustificando la mia sorpresa di poco prima.
Il cavaliere si intrattiene con me per qualche minuto, rispettando ciò che l'etichetta impone. Non posso negare che sia un gentiluomo, spero solo che sia davvero una persona in grado di districarsi tra gli intrighi di corte, come mi ha fatto intendere la septa, restando però al contempo fedele ai Raeghar.
Poi si congeda, e riprendo a camminare verso l'armeria, dove però con rammarico noto che mio fratello è già andato via. Nella sala sono presenti solo Cassandra ed Adamantia, per cui decido di allontanarmi senza farmi notare per non disturbarle.
Torno nelle mie stanze, sono davvero giù di morale. Troppi avvenimenti in questi giorni, e questa storia del matrimonio è davvero quanto di peggio potessi immaginare.
Mi avvicino al cassettone di legno ed apro lentamente il primo ripiano dove ho riposto ciò che sono riuscita a portare con me da Castello prima del trasferimento. Qualche affetto personale dei miei genitori, di quando erano in salute, un libro che adoravo da bambina, ed un piccolo ritratto della nostra famiglia al completo... quando ancora eravamo insieme, ed uniti.
Quando ancora credevo nei miei stupidi sogni da bambina.
Stringo con forza il ritratto, pregando gli Dei di ascoltarmi, di ascoltare le mie preghiere.
Non ho sonno, non credo riuscirò a chiudere occhio stanotte. L'ansia, la paura, lo sgomento...mi attanagliano l'animo. Mi sento così piccola, impotente, inutile. Ho cercato di essere forte per tutta la giornata, ma ora sento che le forze mi stanno abbandonando. Ma sento anche che se dovessi cedere adesso non riuscirei più a riprendermi. Sento di dover fare qualcosa per trovare sollievo, e devo farlo subito, o potrei scoppiare. Ho bisogno di chiarimenti, di risposte. Ho bisogno di riflettere, e di decidere come affrontare questa situazione.
Forse andare in quel luogo...mi potrebbe aiutare. Io... potrei stare meglio andandoci, ne sono certa.
Prendo nuovamente tra le mani gli oggetti precedentemente sparpagliati sul letto, dopo essermi distesa su di esso. Ciò che mi resta di mia madre...e di mio padre. Della nostra famiglia.
Sospirando apro la porta della mia camera ed esco in corridoio, dove intravedo
Agatha e le comunico di avere una forte emicrania, e di voler riposare senza essere disturbata nelle prossime ore. Successivamente la congedo, osservandola andare via.
Poi, senza pensarci ancora, indosso un mantello per coprirmi il viso ed esco furtivamente dall'edificio. E' notte fonda, nessuno dovrebbe notarmi. Tuttavia, dato che la prudenza non è mai troppa, prima di uscire in giardino faccio appello al mio potere, per materializzare un mio clone proprio accanto a me. In pochi secondi vedo me stessa assumere consistenza a pochi centimetri di distanza. Quella che prima era solo aria ora prende la forma del mio corpo, dei miei vestiti, dei miei capelli. Lentamente, l'immagine che ho di me nella mia testa si tramuta in una figura quasi reale, anche se immateriale, che mi guarda a sua volta.
Sorrido, soddisfatta di quello che vedo... questo vestito, nonostante il mantello, mi sta davvero bene, aveva ragione mia madre. Arrossisco per questa inutile riflessione, e decido di agire.
Lascio che il clone cammini lentamente verso la fontana, al centro del giardino. Se dovesse esserci qualcuno nei paraggi, o sui balconi, non potrebbe non notarla, o supporre che non sia reale. Lascio che si avvicini alla statua di mia madre, e che tenda la mano per toccarla, quasi volendole parlare, ma senza sfiorarla, non potrebbe. Farei la stessa cosa, se mi trovassi lì. E poi lascio che intoni quella filastrocca, che mai potrei dimenticare. La mia voce si espande debolmente nel giardino, armoniosa e soprattutto discreta... voglio solo convogliare l'attenzione di chi è nei paraggi nella sua direzione, non attirare gli altri.