Gildas Demonar
La vecchia comincia a mugugnare, forse per il soffocamento o forse perché gradisce il sapore della buccia unita alla pastella di banana sulla faccia. Mi pulisco la mano su un tovagliolo di stoffa e lo lascio scivolare sul tavolo. D’un tratto è il comandante a infuriarsi «Gildas, basta!» urla fissando poi il vuoto.
Ecco, l’ho fatto infuriare. Dannazione. No. No. Non ne faccio mai una giusta, sono un completo fallimento. Un completo idiota. Merito la sua ira, come meritavo quella di mamma, quella di papà e così come meritavo quella di tutti i nobili ai quali mi ribellavo. Io non volevo loro e loro mi punivano. Io cedevo e loro mi punivano lo stesso, più forte, con più potenza della volta precedente. Percosse su percosse, colpi su colpi. Il mio corpo non poteva più farne a meno, le cicatrici facevano male, pulsavano sotto i colpi di frusta o sotto il peso delle catene. Ma il dolore si trasformava, cambiava, mi faceva ridere, sorridere e urlare allo stesso tempo. Gridavo con tutto me stesso per coprire il dolore e le urla degli altri. Una sorta di gioco, sempre le stesse regole, sempre le stesse modalità, colpo, dolore, sorriso, colpo. E di nuovo a seguire, colpo, dolore, sorriso, colpo. Era necessario urlavano, dovevo imparare il mio posto, il mio ruolo senza sbagliare. Mai.
Scuoto la testa guardandolo preoccupato, ma è ciò che fa la septa a distrarmi dal suo sguardo e a farmi dubitare seriamente della sua sanità mentale. Quella donna è pazza, totalmente suonata. La vedo prendere parte della poltiglia giallognola e disegnarsi delle schifosissime sopracciglia, come a voler rimarcare la sua espressione infuriata. Bah, non la capirò mai e mai vorrò capirla, questa vecchia è pazza, i secoli di reclusione le hanno mandato il cervello in pappa facendoglielo perdere chissà dove in quelle segret… sento qualcosa sotto di me rompersi, rumori di legna spezzata. La sedia. Non faccio in tempo ad aprire le gambe per accertami che qualcosa sfonda la seduta in legno sparpagliando le schegge sul pavimento e su di me. Qualcosa di grosso, rigido spinge per… per entrare bloccato solo dalla stoffa elastica dell’abito, l’abito che uso per i miei spettacoli acrobatici o per le lotte. L’oggetto spinge, spinge e non posso fare a meno di abbandonarmi a un gemito di dolore… di piacere…
tutte le voci, tutti i suoni arrivano lontani, ovattati. Non sento altro che il richiamo del mio corpo. Serro le labbra soffocando la mia voce che mi muore in gola e subito abbasso lo sguardo. Una radice. Devo liberarmi, non posso mostrare questo… schifo. Resisto al dolore e, con un ultimo scatto della schiena mi do velocemente lo slancio all’indietro cadendo disteso per terra seguito dalla sedia, il sollievo è immediato e, non appena alzo gli occhi vedo la radice svanire nel pavimento prima di arrivare all’altezza del tavolo.
Maledetta. Me la pagherai! «Bastarda!» dico in un sibilo sommesso, non faccio più caso ai presenti nella stanza. Al momento siamo solo io… e il mio nuovo giocattolo. Balla, balla bella bambolina. Richiamo a me le fiamme, il dolore di prima misto al piacere si mescolano scatenandosi in alte vampate dentro di me, sento le dita formicolarmi e subito libero una fiammella. Non voglio che qualcuno la veda, perciò la contengo all’interno delle due dita e, mirando subito alla base della sua gonna,
al centro tra i suoi schifosissimi piedi, la scaglio utilizzando il dito medio come una frusta facendolo scorrere sul pollice. Non bado al suo esito, per me può pure prendere la sedia e bruciare quella, basta che arrivi il… messaggio. Mi rialzo prendendo la sedia intera accanto a me «scusate l’interruzione, alcune sedie qui sono un po’… difettose… ihihihihih» rivolgo una rapida occhiata di sfida alla vecchia e riprendo ad ascoltare…
credo di essermi perso qualcosa mentre… quello…
Distruzione:
Allievo Dardo di fuoco – La fiamma è alla pari di una piccola sfera di 20 cm di diametro, provoca ustioni di secondo grado
*La fiamma è molto, molto più piccola rispetto alla versione originale U_U