Gildas Demonar
Sto per uscire dalla sala quando sulla mia traiettoria incontro la principessa. Mi fermo prima di caderle addosso e le cedo il passo rivolgendole un profondo inchino portando il braccio paralizzato avanti e quello sano dietro. «FrinFiFeFFa!» dico cercando di muovere la bocca ancora appiccicata alla mano di mia madre. Subito dopo di lei arriva Dreth che zoppicando mi chiama da lontano «Sir Gildas…» scuoto per un attimo il capo quando una leggera fitta raggiunge la mia testa facendola pulsare, il dolore alla mascella aumenta credo si stia per staccare. «Aspettate un momento, prima devo curarVi o non potete di certo girare in queste condizioni per la residenza!» ancora? Ma basta. Ve ne prego. L’ho capito il vostro giochetto, volete accumulare, accumulare, accumulare finché poi non mi chiederete il prezzo esorbitante. Si avvicina ancora di più facendo apparire nella sua mano destra una luce biancastra e mugugnando un «Posso?» no! Urla la mia mente, non voglio, non voglio che mi tocchi, non voglio che mi curi. Io… io non merito tutto ciò, io merito la sofferenza. Perché si ostinano tutti a curarmi? Il mio corpo non risponde più alla mia testa e in un attimo mormoro un semplice «Fì…» avvicina quindi quella luce biancastra al mio volto prendendo a parlare nuovamente «Potete anche tenere la Kopesh… Ma ammetto che senza sarebbe molto più comodo sistemarVi la mascella» ruoto leggermente la testa di lato e poco dopo incrocio gli occhi puntandoli sulla lama «FcuFaDe!» gli dico e subito dopo mi concentro sull’arma, la lama prende fuoco e si disgrega senza ledermi la bocca in uno sbuffo di vapore bianco che soffio verso il volto del soldato prima di rivolgergli un sorriso dolorante. La luce nella sua mano diventa rosata non appena viene a contatto con la mia pelle. Subito una sensazione di calore e… benessere si propagano per tutta la faccia prima di spostarsi verso il braccio paralizzato, il sapore metallico e costante del sangue non vi è più così come il dolore che ormai è svanito. Lentamente il mio arto si scongela e finalmente riesco a muoverlo. Lo guardo scostandomi la maschera con un dito e permettendogli di vedere il mio volto «come… come si dice… in questi casi?» l’uomo mi guarda stranito sollevando un sopracciglio prima di dirmi «Basta un grazie.» me la sfilo totalmente rigirandomela tra le mani «grazie? Sì… mi piace…» se è questo il prezzo che vuole, credo che potrei accontentarlo. Dopotutto, è una semplice parola, no? Dei, non capisco più nulla. Mi gratto la testa e nel farlo, l’uomo riprende a parlare «magari la prossima volta evitate termini quali “schifoso” o simili nel corso della lotta. Dopotutto il nostro era solo un allenamento, non vi è bisogno di insultare.» non capisco. Che abbia sentito mamma? È impossibile, ma non voglio scatenare nulla «non capisco quello che dite… ma se è questo ciò che volete, sarete accontentato…» detto ciò, mi congedo dal resto del gruppo, mi rimetto la maschera e in silenzio mi avvio verso la mia camera ignorando i servi che mi passano accanto. Entro al suo interno e dopo essermela sfilata dagli occhi la stringo tra le dita. Sento gli occhi pizzicarmi. Perché? Perché? Perché non capisco, cosa c’è che non va in me? Cosa c’è che non va negli altri? Perché sono tutti strani? Sento le lacrime scivolare sul mio volto e lavare via il sangue raggrumato sugli zigomi, singhiozzo prima lentamente, poi sempre più forte, mi lascio scivolare contro la porta in legno prendendo tra le braccia le ginocchia e affondando con la faccia in esse. Perché? Perché? «Perché?» in un impeto di rabbia stringo ancora di più l’oggetto nella mia mano e lo scaglio verso il letto incurante di dove sia finito. Cosa c’è che non va in me? Cosa sono? Sono un mostro… ecco cosa… un errore…
*Frasi e azioni di Vicent concordate con Damnedgirl