Gildas Demonar
Sbatto lentamente gli occhi. Cosa è successo? Ho dormito? Quanto tempo è passato? Alzo lo sguardo, mi bruciano gli occhi e le guance fanno male. Fuori dalla finestra il cielo è scuro, stellato e non una nuvola a disturbarne quella quiete. Oh, quanto ho agognato le stelle prima. Quante volte le ho sognate, come il sogno di un condannato a morte, lì, rinchiuso nella mia camera, l’unica finestra, l’unica forma di luce lì dentro era bloccata dalle assi e poco scorgevo da quei pezzi di legno. Un muro basso in mattoni seguito dal suono incessante dello scrosciare dell’acqua l’unico suono che si udiva quando le mie urla cessavano. Un richiamo alla realtà legato alla fine della violenza. Quel muretto era l’unico oggetto visibile dalle assi, non potevo avvicinarmi, non potevo vedere oltre. Nemmeno in quei momenti in cui uscivo dal castello ero libero di ammirare le stelle, un cappuccio nero mi veniva posto sulla testa e venivo portato al palazzo designato di qualche nobile. Una notte però… un puntino bianco penetrò attraverso un foro del tessuto, pensai a una torcia ma la luce era troppo bianca, troppo fredda per essere una fiamma. “Quella è la luna… ti piace?” mi disse una voce da dietro il cappuccio, la seguì. Serana, le prime parole che mi rivolse.
Scuoto la testa, ammirando ancora il cielo sgombro, gli occhi ricominciano a pizzicarmi, sento i muscoli delle gambe e del collo contratti dal troppo tempo nella stessa posizione. Mi metto in piedi e mi muovo leggermente stiracchiando le braccia doloranti. All’esterno della stanza non si sente alcun suono, che siano andati tutti a dormire? Che ore saranno? Boh, vabbè… non m’importa, se c’è silenzio vuol dire che o sono tutti morti, o dormono. Perfetto. Non ho più voglia di farmi vedere… oggi. Che cosa mi prende? Mi passo una mano tra i capelli e solo quando noto dei grumi appiccicosi mi rendo conto di ciò che ho combinato. Oh dei. L’ho fatto ancora. No, no. Tutto ciò non va bene. Sta accadendo sempre più in fretta. Perché? Perché? Perché non riesco a controllarmi? Guardo la mia mano. Sto tremando. Perché? Perché? Perché a me? Scosto lentamente la porta ed esco dalla mia camera, l’assenza di scarpe mi aiuta ad essere silenzioso, meglio così. Raggiungo i piani inferiori nascondendomi nelle cucine, i cuochi sono già andati tutti via e i servi saranno chissà dove in giro per la torre. Non appena i miei occhi incrociano una grossa torta alle noci sento un forte gorgoglio. Un brontolio pesante, mi volto di scatto spaventato «chi c’è?» dico terrorizzato. Il gorgoglio ricomincia e solo quando sento delle lievi fitte mi rendo conto che la mia è solo fame… sono un idiota. A cena non ho toccato cibo. Mi avvicino alla torta sentendone il profumo. Uno dei pochi cibi che mi era permesso mangiare alle corti nobiliari. Come si chiamava? Ah sì, Lord Evian, il panciuto e ingordo signorotto dalle mani lunghe. Rabbrividisco al solo pensiero delle sue dita grassocce che sfiorano la mia pelle. Senza pensare oltre afferro il vassoio della torta e mi allontano a passo svento dalla cucina. D’un tratto sento delle voci, provengono da una delle camere da letto. Chi diavolo è così stupido da rimanere sveglio a quest’ora? Ah già… eccomi. La mia curiosità vince sulla paura e in un attimo sono in corridoio a seguire il suono del vociare, riconosco le voci di Cassandra e di Vicent, chissà che stanno combinando. Mi avvicino alla porta e cerco di carpire qualche parola «Hey… Su, ora calmati, è stato solo un malinteso…» ma che sta succedendo lì dentro? Mi abbasso cercando di arrivare con l’occhio alla fessura della maniglia, ma la mia poca attenzione alle distanze fa urtare il piatto contro la porta provocando un rumore poco delicato. In contemporanea questa si apre rivelando i due intenti a… lottare? Che diavolo fanno? Perché Vicent sta tirando i capelli a Cassandra? Oddio, che sta succedendo? Non capisco. Non so più cosa dire e in un attimo mi raddrizzo coprendomi il volto con la mano libera. Non ho la maschera, oh dei, e ora? Cerco di formulare una frase decente. «Oh… ehm… me ne vado…» perfetto, ora voltati e va via… voltati e cam… «Una torta? E' per me? Vi ringrazio Sir Gildas ma domani in allenamento non avrò comunque pietà» beccato. Mi volto osservando, dalla fessura delle dita, il sorriso sul volto della donna. Perfetto. Addio cena. Devo cercare il perdono in qualche modo, no? «Oh beh... se proprio la volete...» dico ed entro nella stanza quei secondi giusto per appoggiare la torta sul cassettone prima di uscire e tornare nella mia stanza. Con gli occhi bassi mi dirigo alla porta ma vado a sbattere contro qualcosa di solido, di caldo. Alzo gli occhi notando la figura di Vicent che mi si para dinanzi agli occhi, indietreggio osservando il contenuto della sua mano che si avvicina a me. Cosa sono? Ho paura. Guardo incredulo il volto dell’uomo, anche lui mi sorride soffermandsi per un attimo sui miei occhi o su ciò che li contorna. Ma perché? Oh dei. Sono circondato. Indietreggio di un altro passo biascicando solo poche parole «volete avvelenarmi?» è così, ne sono sicuro. Una vendetta per ciò che… io, no. Lui gli ha fatto. L’espressione di Vicent muta passando dal sorriso all’incredulità «sono solo biscotti!» dice per poi prenderne uno e addentarlo senza preoccupazioni e alzando le spalle con tranquillità. Com’è che ha detto? Bis-cotti? Cosa sono? Qualche nuovo pasto della sua terra? Finisce di masticare ingoiandolo «visto? Perfettamente innocui ed anche buoni» guardo la sua mano che ancora mi porge quei piccoli pezzetti di cibo, «Su scherzo, Sir Gildas, entrate e festeggiate con noi» dice Cassandra alle mie spalle. Mi volto un attimo e la osservo versare un liquido ambrato all’interno di un calice prima di porgermelo. «Ehm... ok...» dico e allungo una mano per prendere il bicchiere offertomi, festeggiare. Che parola buffa. Chissà che vuol dire. Prendo poi un biscotti dalle mani di Vicent e me lo porto alla bocca ma… prima di addentarlo cerco di ricordarmi quella strana parola che mi ha chiesto di dirgli in questi casi. Oh dei, qual era? Gram… grac… graz… «graPie!» addento finalmente il biscotti assaporandolo. È dolce, simile alla torta ma più piccolo e friabile. Mi piace. Gli sorrido piegando la testa di lato. Mi siedo quindi per terra con il calice in una mano e il dolce nell’altra. Tiro un altro morso al biscotti e guardo alternativamente i due «ho visto che stavate lottando, vi ho interrotto forse? Se sì, vado via…»
*Azioni e frasi di Vicent e Cassandra concordate con Damnedgirl e Mary24781