Markus Obelyn
Stento a crederlo ma riesco a leggere, con qualche strafalcione dato che ogni tanto tendo a mangiarmi le lettere ma comunque ci riesco. E, finalmente, parola dopo parola, prendo sicurezza, ed assieme alla sicurezza aumento anche la velocità di lettura. Il merito però è del libro, rispetto la favola è molto più interessante, più significativo, e ci sono degli spezzoni di racconto davvero molto particolari. Ripeto, in modo corretto, la frase che ha letto Efrem e poi lascio che sfogli il libro per me così da fermarci e leggere solo le parti più significative. Quando arrivo allo spezzone in cui il Piccolo Principe dice addio alla rosa, ammetto di provare un po’ di amarezza: mi incuriosisce il finale di questo libro, magari la rosa metterà da parte l’orgoglio e mostrerà il suo affetto al bimbo, in fondo con un amico non ci si dovrebbe vergognare di mostrare queste stronzate. Seguo il dito di Efrem e... <<[…] era abitato da un… ubriacone?>>, deglutendo mi blocco dal leggere, fissando accigliato il libro. Sarei tentato di chiedere ad Efrem se possiamo evitare questo pezzo, ma poi decido di riprendere curioso del pensiero che ha fatto il bambino: non mi sono mai chiesto cosa potessero pensare gli altri di me quando mi addormentavo sui tavoli delle taverne, ubriaco fradicio. <<Questa vi-si-ta fu molto breve, ma im-mer-se il piccolo principe in una grande ma-lin-conia. «Che cosa fai?» chiese all'ubriacone che stava in si-len-zio da-vanti a una col-lezione di bottiglie vuote e a una col-lezione di bottiglie piene. «Bevo», rispose, in tono lu-gu-bre, l'ubriacone. «Perché bevi?» do-man-dò il piccolo principe. «Per di-menti-care», rispose l'ubriacone>>. Peccato che i problemi non si risolvano con qualche sbornia, anzi, più il tempo passa, più diventa difficile uscire dalla fossa che ci si scava con le proprie mani. Irritato da questo pensiero e sempre più cupo con la voce, mi sforzo di continuare la lettura, <<«Per dimenti-care che cosa?» s'infromò il piccolo principe che comin-ciava già a… piangerlo?>>. Pena, voglia di aiutarlo, malinconia. Dei. E' forse per questo che Efrem, quel giorno in taverna, si è avvicinato cercando di parlarmi? Mi fermo di nuovo, notando che l’espressione di Efrem è cambiata, probabilmente nella foga di leggere devo aver sbagliato qualcosa. In silenzio aspetto che mi corregga, ripetendo di nuovo, con più attenzione, l’ultima frase prima di smettere e guardandolo in viso chiedere, <<Io ti facevo pena?>>. Possibile che le parole che mi ha detto in taverna, le cure che mi ha pagato per l’occhio, la possibilità di tornare a vivere, a combattere per qualcosa in cui credono tante altre persone oltre che me, siano stati davvero dei gesti mossi solo dalla compassione e dalla pietà?
Nota: Azione accordata dal master.