Daphne Elania Baratheon
Un coro di voci si susseguono, ma è come se avessi l'ovatta nelle orecchie, non sento niente... non capisco niente, mi perdo ad osservare il tavolo con gli occhi sgranati, perchè non riesco a tenere gli occhi su Efrem e queste lacrime che cominciano a sfuggire al mio controllo non mi aiutano affatto «i Ribelli hanno bisogno di soldati che si battano per difendere e conquistare. Abbiamo già perso molti uomini, così come mia cugina Anne che ho dovuto riportare io stesso a casa da suo padre, è una cosa che devo fare da solo, non posso e soprattutto non voglio che altre vite vengano messe a repentaglio oltre alla mia.» Riporto gli occhi a lui, è così deciso, so che è un testone e quando prendere una decisione è quella. E' irremovibile e sento chiaramente l'acido risalirmi in gola «se volete scusarmi, andrò a preparare le ultime cose e poi riposerò… rendetemi orgoglioso domani!» Mi osserva ed in quel momento ho un sussulto, come se mi avesse piantato un coltello al centro del petto, è un addio questo? Un vero addio? Ho provato a rinunciare a lui come uomo, all'idea di qualcosa tra noi, ma non questo... questo non voglio farlo. Quando Efrem esce dalla stanza lo seguo con gli occhi, vorrei dire qualcosa, vorrei fermarlo... ma le parole non vengono fuori e resto a fissarlo con la bocca semi-aperta, senza dir nulla. Riporto lo sguardo al tavolo e chiudo gli occhi per qualche istante nel tentativo di riprendermi. "Vado a dormire, domani sarà una giornata impegnativa" mi alzo, senza aggiungere niente, senza guardar nessuno e mi dirigo in camera mia fissando il pavimento col capo chino. Quasi come se fossi un automa, mi sfilo gli abiti e mi stendo, non riesco a smettere di tremare, le mani non rispondono alla volontà, nulla del mio corpo reagisce come vorrei, sono stordita, confusa. Mi stringo con le braccia al petto, ho bisogno di dormire, devo dormire, domani tocca a me e non ho intenzione di perdere, non più. Il cuore martella, lo sento in gola, lo sento nelle vene, lo sento in tutto il corpo che sbatte e mi esplode nella testa, ho bisogno di calmarmi, l’ultima volta sono sopravvissuta, nonostante la sconfitta, sarà così anche questa volta, lo prometto a me stessa. Quelle parole… quella parole che ha detto Efrem alla riunione, a chi voglio mentire? E’ per quelle che non trovo pace, non posso realizzare l’ipotesi che potrebbe non tornare, era serio, maledettamente serio, probabilmente come non l’ho mai visto in vita mia e… sto male. Sono arrabbiata, profondamente arrabbiata, perché so che il mio malessere non è per le parole proferite da un capo, ma per le parole proferite da qualcuno che non riesco a cancellare, non ci riesco, non ci riesco in alcun modo e mi odio per questo. Sono più di dieci anni che non faccio altro che pensarci e mi sono buttata in decine di letti per provare anche solo a cancellarlo per un giorno, credevo di riuscirci con Markus, ma anche questa volta non è andata così, lui è sempre là come tarlo che mi divora dall’interno. Mi sento stupida, vorrei morire solo per la consapevolezza di non doverlo più guardare, dovrei essere solo io a rischiare la vita, non lui. Penso che potrei aver incrociato i suoi occhi per l’ultima volta a quel tavolo, sento che qualcuno mi sta tenendo stretta alla gola e potrei soffocare da un momento all’altro, non gli ho mai detto cosa sento, anche se lo sa benissimo, lo sanno tutti e non gl’importa niente, ma avrei dovuto farlo di persona, avrei dovuto togliermi questo peso e probabilmente mi sarei sentita meglio in quel momento, stupida, stupida che non sono altro. Questa notte non chiuderò occhio e se devo morire domani, se deve morire anche lui, non posso più trattenermi, non ce la faccio, per una volta, un’unica e sola volta, devo guardarlo negli occhi e dirgli tutto, ripetergli ogni singola parola ed avere un suo rifiuto. Mi alzo dal letto e per un attimo devo fermarmi a causa di un forte capogiro, ho bisogno di calmarmi almeno un pò...
quasi senza pensarci ed esco dalla porta, a passo diretto avanzo per il corridoio, è come se fossi guidata da una forza estranea, non vorrei, ma il corpo ancora reagisce da sé con comandi inconsci. Arrivo avanti la porta delle sue stanze e spingo il pomello, se è chiuso devo tornare in camera, la devo smettere… è aperto. Ancora avanzo e mi blocco avanti la sua stanza, starà dormendo… mi caccerà via, ma quando mi affaccio titubante non lo vedo sul letto, ma sento lo scrosciare dell’acqua provenire dal bagno. Respiro profondamente e per una volta, finalmente, sento che mente e corpo rispondono ad un unico volere. Non busso, mi limito a chiamare il suo nome, prima di entrare “Efrem…” è nella vasca e volta il capo verso di me, visibilmente infastidito, con quella espressione che non abbandona mai il suo viso ed in un attimo la morsa alla gola aumenta, mi manca l’aria.
“Io…” le parole muoiono in gola, ma avanzo di un passo, respiro profondamente mentre socchiudo gli occhi ed inizio a parlare “Io… se è vero che potrei non vederti mai più, se è vero che potresti perdere la vita, sento che non posso e non devo continuare a non dirti quello che sento, potrei morire nello stesso istante in cui avrei la consapevolezza di averti perso per sempre, pur non essendo stato mai mio ed io… se non lo faccio ora, sento che non potrei farlo mai più…”
lascio che una spallina della vestaglia scivoli sul braccio ed accompagno l’altra nella discesa, resto nuda per qualche istante accanto la vasca, l’osservo per qualche in silenzio per un lasso di tempo che mi pare infinito, in cui avverto i battiti saltare e la vergogna salire sempre più prepotentemente, perché non parla… ?
“Scusami…” mi volto raccogliendo la vestaglia, devo andarmene… devo andarmene ora.
*Efrem nella vasca da bagno concordato