Andreus De Lagun
Un sorriso amaro si dipinge sulle mie labbra mentre Keyra mi parla «…e se quella verità non fosse tanto sconvolgente come dici?» alzo lo sguardo di scatto fissandolo nei suoi occhi, quegli occhi viola, ora profondamente rassicuranti in netto contrasto col verde triste e smorto dei miei. Un verde che si trasforma in una landa pianeggiante fiancheggiata da dei monti che mai avevo visto in vita mia, sento il fresco del vento che trasporta con se il dolce profumo dell’erba e dei fiori che crescono selvaggi sul campo, un luogo mistico, quasi magico. Ma eccola, una parete di roccia a oscurare la visuale, che posto è questo? Non l’ho mai visto. Questi non sono miei ricordi, questo posto non mi appartiene. Guardo Keyra in viso, mi sorride.
Che siano suoi? «… non avere paura di ciò che inconsciamente già conosci. Vai da lui e…torna vincitore» sul mio volto il sorriso si allarga e senza nemmeno accorgermene le mie labbra mormorano un veloce «grazie…» seguito da un cenno del capo, nella mente ancora l’immagine di quell’alba attraverso le montagne, gli occhi lucidi mentre i colori ambrati del cielo nascondono per un attimo l’immagine di un’aquila che veloce passa osservando per intero la vallata. E me, quell’unico puntino, quella macchiolina che disturba con la sua presenza la calma del luogo, quella macchia scura che porta al suo interno la tempesta che incombe dietro l’alba. Sento il rumore di padelle e lo scrosciare dell’acqua all’interno della cucina, perfetto almeno lei sarà distratta quando Efrem mi urlerà alle spalle cacciandomi a pedate fuori dalla sua porta. Mi muovo a passo lento e con decisione busso un paio di volte sul legno della porta. «Efrem? Sei presentabile?» dico abbassando la mano, da dietro le assi non arriva alcuna risposta, che sia nell’altra stanza? Spingo piano ed entro nella sala col tavolo in marmo sul quale sono appoggiati una scodella e un bicchiere vuoti,
all’interno della camera regna l’ordine, le sedie al proprio posto e i libri sistemati negli scaffali. Non lo facevo maniaco dell’ordine. Un mezzo sorriso compare sulle mie labbra quando attraverso il corridoio illuminato solo dalla candela all’altro capo e dalle quattro sopra la mia testa. Ed eccola lì, la sua porta, l’antro della bestia, dentro di me ripeto le parole che mi ha detto poco fa Keyra, le ridico di continuo come un mantra, una cantilena per aiutarmi farmi coraggio. Nella mia testa l’immagine di quella pianura così calma e tranquilla, la parete di roccia alle mie spalle e davanti a me i monti che coprono interamente la visuale, da cui dietro inizio a vedere le prime nuvole. Il grido dell’aquila mi distrae, le immagini si sovrappongono e in un attimo dentro di me la vedo avanzare veloce sbattendo le ali verso la tempesta che avanza inesorabile così come i miei passi verso la porta di quella stanza. Un passo, un battito d’ali, la porta davanti ai miei occhi, le nuvole scure che avanzano veloci. Altri passi si susseguono alle ali di quell’aquila che impavida si dirige verso la tempesta. Un tuono squarcia il cielo illuminando la vallata nello stesso istante in cui la porta della stanza di Efrem si spalanca davanti ai miei occhi. La poca illuminazione del corridoio viene sostituita da quella della camera, «Efrem…» dico una volta che l’ho individuato disteso sul letto,
senza stivali e le braccia allargate, solo un mugugno esce dalle sue labbra in risposta. Osservo il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente ad ogni respiro, non sono movimenti accelerati come in armeria, ma calmi, rilassati quasi come se stesse dormendo e io fossi entrato nel momento sbagliato. «Dove devo… cioè… dove ti fa male?» dico rimanendo al mio posto sulla porta dopo averla richiusa.
Seguo il suo dito sollevarsi dal letto e poi indicare lentamente i due polpacci e… la sua zona intima per poi farlo ricadere pesantemente su giaciglio. Mi avvicino in silenzio tenendo i palmi aperti e tesi verso le sue gambe le quali non tocco e rimango a distanza, faccio appello alla mia capacità curativa pregando silenziosamente gli dei gemelli di darmi, anche adesso, il potere che i De Lagun tramandano da generazioni. Sento aggregarlo particella dopo particella sui palmi delle mie mani sulle quali si manifesta sotto forma di globi luminosi bianchi leggermente dorati.
Li passo entrambi sui polpacci del giovane e, nel momento di arrivare lì, distolgo lo sguardo e unisco le mani appena sopra tenendole a distanza. Non appena vedo la luce scemare ritiro le mani e le distendo lungo i fianchi rimanendo sul posto. «È tutto?» dico con voce tremante. Il ragazzo si alza di scatto dalla sua posizione e mi indica la porta, «puoi andare.» dice semplicemente guardandomi, che cosa ho fatto? Sono un idiota. Potevo approfittare per parlargli, fare qualcosa, fargli capire che mi dispiace e invece no. Sono un grandissimo idiota. Vorrei urlare, lanciare qualcosa verso quello specchio al mio fianco fino a farlo cadere al suolo e farlo smettere di riflettere l’immagine di un codardo. Un vile che non merita nulla, nemmeno un briciolo dell’amore che qualcuno potrebbe provare per lui. Non Efrem, non Cassandra, non Daphne, non Keyra, non Lucynda. Nessuno.
«D’accordo…» reagisci Andreus. Smettila di comportanti come un inutile pollo. Smettila con tutta questa sceneggiata e diglielo, è inutile continuare. Sento il mio corpo seguire un’altra via, quella della fuga e lentamente da come sono entrato, mi avvicino alla porta tirandola a me «ti rendi conto di ciò che stai facendo?» sento sbottare Efrem alle mie spalle. «Che ti è successo? L’Andreus che conosco non mi avrebbe mai mentito così stupidamente come hai fatto tu prima! Pensi davvero che mi sia bevuto la storia della battaglia?»
aquila colpita… richiudo di scatto la porta stringendo la presa sulla maniglia e mordendomi un labbro per il nervoso improvviso. «Io… non volevo parlarti di questa cosa davanti a Keyra…» mormoro alzando di poco gli occhi, è quando incrocio i suoi che le sue parole mi colpiscono «ovvero? Quale sarebbe questa cosa di cui non vuoi parlare con anima viva?» non rispondo, non ce la faccio. I suoi occhi, quell’occhio. Quell’occhio glaciale che silenzioso mi penetra nell’animo. Non ce la faccio, non riesco a sostenerlo. Volgo lo sguardo verso lo specchio trovandovi il mio volto, un’espressione di terrore mista a una profonda tristezza si mostra ai miei occhi.
Dov’è Andreus? Chi è quel mostro all’interno dello specchio? Non sono io. «Ma guardati. Non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi… cosa stavo pensando l’altra sera?» spalanco gli occhi guardando la mia immagine riflessa cominciare a tremare «è stato tutto un errore. Uno sbaglio che non avrei dovuto commettere!» stringo i pugni. No. Non è vero. Non è stato un errore. Non può dirlo sul serio. La sua voce muta in un ringhio rabbioso «sei solo un cod-»
non ci vedo più e un secondo prima che possa finire la frase ecco che il mio pugno destro si schianta con forza contro la sua mascella.