Andreus De Lagun
«Capisco, ma mio fratello... sai, non perchè è mio fratello... è un ragazzo come pochi, è dolce, forte, protettivo, insomma fossi in te ci penserei.» dolce, forte, protettivo. Mentalmente ripeto queste ultime parole associandole a quel nome, Kaleb. Il suo volto si compone lentamente nei miei ricordi, i lineamenti delicati ma marcati e gli stessi occhi della sorella.
Quegli occhi carichi di speranza e che io ho distrutto per sempre. Ricordo ogni cosa di quella sera, Daphne aveva insistito perché uscissi dalla torre dopo quasi una settimana di reclusione. Papà e Cassandra avevano intensificato il nostro giro di allenamenti e io avevo a malapena il tempo per dormire e mangiare. Quel pomeriggio ero sgattaiolato di nascosto e mi ero rintanato in camera mia buttandomi sul letto con poca grazia. Passò solo una mezz’ora prima che qualcuno bussasse alla mia porta, la voce di Daphne che mi implorava di aprirle mi fece sorridere. Quando me la ritrovai davanti tutta trafelata mi disse solo che aveva voglia di andare nella sua terra natia, non ebbi il tempo di replicare o di dire altro che la ragazza mi trascinò per un braccio fino al glados. Sbucammo all’ingresso di un viale alberato, alti si ergevano sopra le nostre teste, era la prima volta che ne vedevo di così. A Gaearmir, la mia terra, sono sempre stato abituato alla vegetazione bassa e rigogliosa dei luoghi di mare, poche volte ne avevo visti di diversi. Ci incamminammo a passo lento per quel viale, Daphne continuava a sorridermi raggiante mentre io ero solo stanco e giù di corda, gli allenamenti con papà non finivano mai bene e a fine giornata mi ritrovavo stanco e col morale a terra. La ragazza doveva aver notato il mio malumore, così decise bene di provare a tirarmi su di morale lanciandomi una mela… matura… Mi voltai di scatto furente massaggiandomi il punto colpito. «Oh, ma che ti prende oggi?» sbottai forse con troppa rabbia. La ragazza smise di ridere e il suo volto si fece serio, quasi arrabbiato «che ti prende a te! Ma ti sei visto allo specchio?» non ci pensai più, la rabbia di quei giorni era troppo forte e l’accumulo era spaventoso e, se non fosse perché mi aveva pregato, l’avrei piantata lì in mezzo a quegl’alberi. Sbottai ancora un volta «non mi hai dato il tempo di sciacquarmi la faccia! Ti dà fastidio?» ripensai poco dopo a quella risposta e mi sentii stupido... molto stupido e «sei proprio una signorinella Andreus!» ecco appunto. Sbuffai rumorosamente riprendendo a trascinarmi sul terreno, quella giornata era iniziata male e stava finendo sempre peggio. Daphne riprese a camminarmi accanto con ancora quel sorriso stampato sulle labbra, era particolarmente radiosa quel giorno. «Come faccio a presentarti a mio fratello con quel broncio, sai... è venuto a trovarmi e gli ho detto che ho un amico da fargli conoscere...» sgranai gli occhi guardandola. Stentavo a credere a quelle parole... Daphne, aveva organizzato tutto questo... per farmi conoscere suo fratello. Non sapevo come reagire e molto probabilmente dissi la prima cosa che mi capitò per la testa «tuo fratello? Mi avevi detto che volevi farmi vedere la tua terra!» perlomeno non erano parole a caso tipo "sonno sonno sonno" o "fame fame fame" o peggio... "Targaryus Targaryus Targaryus". Ecco, magari quest'ultima sarebbe stata d'aiuto. Dei, avrei dovuto parlargliene prima. Da quanto tempo andavano avanti i miei sentimenti per quel ragazzo? Molto probabilmente dal mio arrivo alla torre. Fu la prima persona che vidi nel cortile appena fuori dal glados. Non so se ad attrarmi fu più l’aria da idiota, spaccone e… idiota o il mezzo sorriso che mi rivolse o penso più che rivolse a mia sorella quando ci vide varcare la luce del portale. La voce di Daphne interruppe il flusso dei miei pensieri «Beh mio fratello è un pezzo della mia terra, sottigliezze...» la guardai fissando i suoi occhi «Daphne, cosa stai macchinando?» sbuffai e dopo un po’ mi calmai, molto probabilmente vedere gente nuova mi avrebbe fatto bene, le sorrisi «scusami... in questi giorni papà e Cassandra non mi danno tregua...» la ragazza mi sorrise a sua volta «io? Con questa faccia? Cosa potrei macchinare?» mi prese sottobraccio e mi trascinò verso una casa, la sua forse. Dalla porta venne fuori un ragazzo, i capelli violini, ribelli che contornavano un viso dai lineamenti gentili ma marcati e un paio di occhi violacei screziati di verde. Non c'era alcun dubbio, quello doveva essere per forza il fratello di Daphne. «Voglio solo distrarre un mio amico presentandogli mio fratello che è... bello, gentile, dolce, così... giusto per fare amicizia...» il giovane sorrise abbassando gli occhi forse imbarazzato dai complimenti della sorella e solo in quel momento mi ricordai di averlo già visto durante molti dei miei allenamenti con papà, era sempre in compagnia della sorella, ma la sua attenzione non era per lei... ma per me. «Oh per favore Daphne, smettila!» disse alzando nuovamente il volto e porgendomi una mano «sono Kaleb, spero solo che mia sorella non abbia esagerato come suo solito...» la ragazza rise e si dileguò in fretta dicendo di volerci lasciare da soli. Lo sapevo. Maledetta Daphne e maledetto me... soprattutto. Il sole stava già tramontando e l'aria fresca dei mesi delle foglie stava già soffiando. Dovetti ricredermi su Kaleb, non era noioso come me l'ero sempre immaginato. Solare, simpatico e con un forte attaccamento verso la sua famiglia e in particolare per la sua piccola schizzata, Daphne, ma in cuor mio sapevo che quella giornata così allegra non sarebbe durata molto e che la resa dei conti si sarebbe avvicinata, avevo paura. Paura di ferirlo, di ferire i sentimenti di un ragazzo che in me aveva visto chissà che cosa. Come l'avrebbe presa Daphne? Era sempre felice quando mi parlava del suo fratellone e adesso io stavo per fare del male proprio a lui. Il magone non tardò ad arrivare e Kaleb se ne accorse dal mio improvviso silenzio, tutte le risate e i sorrisi che erano apparsi poco prima erano svaniti lasciando il posto alla mia espressione dubbiosa che non fa altro che farmi sembrare ancora più cretino. «Andreus? Tutto bene?» disse ad un certo punto posandomi una mano sulla spalla con gentilezza, sentii bruciare quel gesto dentro di me. Cosa avrebbe detto una volta palesatogli il mio rifiuto? Mentii scuotendo il capo «certo, ho solo un po' di freddo.» ancora oggi penso che la mia incapacità di mentire avesse fatto colpo anche quel giorno. Ma le mie parole sortirono un certo effetto sul ragazzo, tolse la mano dalla mia spalla e si sfilò la giacca porgendomela con un grosso sorriso sulle labbra. La afferai e per un attimo rimasi con la mano a mezz'aria incapace di fare o dire altro. Kaleb guardò le stelle già alte nel cielo blu intenso, non mi guardò ma fui io a notare il suo volto cambiare colore di colpo, era davvero carino, Daphne aveva ragione, ma per me non ci sarebbe mai stato altro che una profonda amicizia «Andreus...» disse tenendo lo sguardo fisso verso il cielo «mh?» riuscii a mugugnare soltanto in risposta «guarda che la giacca non ti legherà a quel ceppo se la indossi...» disse con un mezzo sorriso indicandola con la testa. Aveva capito... perché sono sempre così prevedibile? In quel momento feci una cosa della quale mi vergogno ancora, posai sulle mie gambe la giacca piegata e mi sistemai sul ceppo in modo tale che i nostri volti fossero l'uno di fronte all'altro. «Kaleb... io so cosa vuoi dirmi, ho visto i tuoi occhi un sacco di volte in armeria.» li abbassò visibilmente imbarazzato e colpevole. «Pensavo che non fosse così palese...» disse sorridendo ma tenendo gli occhi sul tessuto posato sulle mie gambe, «non voglio mentirti Kaleb... sei simpatico, gentile e bello...» gli posai una mano sulla spalla sperando che sollevasse il capo, dovevo farmi coraggio o sarebbe vissuto per sempre in una menzogna, una menzogna che non sarebbe mai stata da me mantenere «ma...» disse lui anticipando le mie parole, stavolta fui io ad abbassare gli occhi. Per un attimo mi si posarono sui suoi, erano lucidi, velati ma non piangeva. No, le storie che mi aveva raccontato Daphne su di lui erano vere. Respirai a fondo, come se quelle parole scalciassero e graffiassero per non uscire «io non posso...» dissi soltanto e sperai con tutto me stesso che ciò potesse bastare. Mi sentivo patetico, avevo distrutto le speranze di qualcuno solo per un mio capriccio. No, non sarebbe stato un capriccio. Avrei lottato, contro chiunque, anche contro mio padre e Cassandra stessa pur di provarci. Gli ridiedi la giacca posandogliela sulle gambe, era diventata un peso troppo grande da sopportare. «Perdonami Kaleb, davvero... ma io non voglio mentirti...» gli dissi alzandomi dal ceppo. «Te ne vai allora?» mi domandò mentre cominciavo a incamminarmi verso il glados, mai parole furono più dilanianti. Non risposi, non trovavo più la forza nemmeno per dirgli ciò che pensavo, le lettere mi morivano in gola. Corsi, corsi con tutta la forza che possedevo attraverso il viale alberato. Mai mi ero sentito più vigliacco. L'ultimo ricordo di tutto ciò fu la luce del glados che mi avvolgeva e un nome... semplici lettere sussurrate al nulla a comporre quel nome...
Scuoto la testa ricacciando indietro quel ricordo e osservo la ragazza negli occhi «Daphne... c'è una cosa che devo dirti da troppo tem-» un boato seguito da una intensa luce arriva dall'esterno del monastero. Daphne sobbalza chiedendomi spiegazioni, salto in piedi anche io «veniva dall'esterno!» non ci penso su oltre e corro fuori attraversando uno dei tanti fori nella parete. La vedo, accasciata su se stessa accanto a ciò che rimane di un albero incenerito «LUCYNDA!» urlo e corro verso di lei inciampando nell'erba alta non può essere stata colpita da un fulmine, il cielo è sgombro, allora cos'era quel bagliore? Mi siedo sul terreno accanto a lei e inizio a scuoterla cercando di lasciarle lo spazio necessario per respirare. «Lucynda svegliati!» continuo a scuoterla sperando con tutto me stesso che apra gli occhi...