
Lucynda Mellow
Un urlo si propaga dal nulla, echeggiando vanamente per il soffitto. Ruoto la testa spaesata in ogni direzione, cercando di capire se ho avuto un miraggio. No. Impossibile. Se qualcuno mi avesse fermata, costui o costei poteva essere una persona in carne ed ossa. La lama della Tenebris sta sfiorando il punto in cui vi è presente il cuore... un cuore non pienamente sazio dall'angoscia, quando sorprendentemente sento tirare la spada dalla gittata opposta, come se questa volesse abbandonarmi e non rispondere più ai miei comandi

«Ma cos…» inarco un sopracciglio stizzita, possibile che io non abbia l’onore di concedermi un suicidio in santa pace?! Dovranno rompermi le palle anche da morta?!
Tiro con forza la spada, ma la scarsa energia non me lo permette... mi sembra di giocare, in un afoso pomeriggio d’estate, al tiro alla fune con Andreus e Cassandra... maledizione!
«E’ inutile che insisti, la spada non trapasserà MAI la carne della sua detentrice!» continua a provocarmi con quel tono da
Hai Capito Chi E’ L’Uomo... mentre la spada svolazza a circa due metri da me, nelle vicinanze del cassettone, emettendo un tonfo metallico non appena l’acciaio dell’arma tocca il suolo. Ma chi cazzo sei? Come hai osato disturbarmi? Mi stavo deprimendo così bene!
«VAI VIA!» urlo al culmine della pazienza, sono snervata da tutte queste interruzioni improvvisate, perché gli Dei ce l’hanno con me? Cosa c’è di sbagliato in me? COSA?!
«No, non ci sarà alcun dietrofront finché non mi darai delle spiegazioni più esaurienti di quel che ho intravisto, nipote.» mi dice la misteriosa entità con una certa fermezza. Nipote? No... ancora lui... non può essere... sono stata sgamata da uno spirito?! Lucynda, la tua dignità è andata a farsi fottere per l’eternità. Decisamente.
Nel momento in cui faccio leva con la mano per ricompormi in piedi, dalla spada fuoriesce una figura deformata, la quale in pochi istanti si manifesta, in tutta la sua immaterialità, dinanzi al mio cospetto… è lui, il Rovinatore di Suicidi Altrui… nonno Geraldum. Inspirando profondamente, aggrotto la fronte e mi precipito su quel viso dai lineamenti così ingenui, agganciando i verdi delle nostre iridi come catene che cercano di rimanere saldi a tutti i costi, nonostante le loro vigorosità non si equivalgono
«Spiegazioni? Vuoi delle spiegazioni esaurienti, nonnetto? E sia, te lo dirò in parole povere: mi fate SCHIFO tutti quanti! Sei felice adesso?» sputo acida, non sono mai stata così convinta di pronunciare tali parole.
«Mi auguro che dalla bocca della verità sia uscita una menzogna per questa volta. Sappi che ce ne vuole di coraggio per confessare certe cose, Lucynda... sei ammattita per caso?» menzogna, tsk... ma quale menzogna, è la pura verità. Perfino il sarcasmo lo conferma.
«Tu non sai cosa significa essere innamorata di un uomo che non ricambia i tuoi sentimenti, non sai cosa significa rivivere completamente il passato, senza tralasciare alcun dettaglio, non appena incroci i suoi occhi dopo tanti anni... ti pare che io abbia gioito quando mi resi conto che l’amicizia con Andreus è ormai divenuta una cosa superficiale? Ti pare che io mi fossi dimenticata del suo fisico possente, dei suoi splendidi porcospini che si ritrova in testa, durante le mie serate quotidiane trascorse nel palco delle varie taverne? Mio padre aveva ragione quando mi ordinava di essere acida con tutti fin da piccola, nessuno è pronto a sostenere un’amicizia vera, tutto va e viene come se nulla fosse… tu non sai niente, niente di come stanno seriamente le cose!» le lacrime rigano ancora una volta il mio viso, le parole mi escono, a momenti smorzate dai singhiozzi, come dei sacchi di merda pronti a rivoltarsi contro il fondo del gabinetto. In momenti come questi non esiste la calma, per niente
«E adesso, se vuoi farmi il piacere di ritornare sul serpendaglio, lasciami esaudire il mio ultimo desiderio. Ho una volontà propria, e di certo non sarai tu a strapparmela dalle mani, essendo uno spirito libero!» mi strofino il volto con gli indici e i medi, sgranando di poco gli occhi per asciugarmi meglio. L’uomo non reagisce, non fiata, rimane immobile a fissare tutto il rancore racchiuso nella mia espressione facciale. Sul volto di egli non traspare alcuna delusione, rabbia o altro, lui è… tranquillo, se ne sta con i piedi piantati per terra a differenza mia. Come fa… come fa a sopportare la mia brutta persona? E’ così… strano.
«Come vuoi nipote, ma sappi un’ultima cosa...» si avvicina, poggiando una mano sulla mia spalla, nonostante il contatto immateriale su un corpo umano non sia percepibile
«…uno spirito, seppur libero, è capace di grandi cose.»
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