Vicent Dreth
La solitudine è qualcosa di intangibile, un sentimento che ti dilania dentro e che nessuno al di fuori di te può vedere. E’ qualcosa di amaro, strano, sgradevole. E’ come stare in una stanza piena zeppa di persone ed urlare a squarciagola ma non essere udito da nessuno perché d’un tratto ti rendi conto di essere chiuso in una bolla di vetro. E’ sentirsi in trappola, incompreso, escluso da ciò che ti circonda. E da quando Dahmer Gray mi ha privato dei miei affetti è esattamente così che mi sento: solo. Quando Esperin mi sorride però, per un attimo, il cuore mi fa capolino nel petto e mi crea l’illusione di averla qui, vicino a me, facendomi sentire bene, calmo. <<Sto bene Vicent, non preoccuparti. Io...>>, il tono di voce contrito mi riporta bruscamente alla realtà.

E’ la prima volta che la sento darmi il tu al posto del voi, e questo cambio brusco mi lascia stranito. Rilasso senza neanche rendermene conto le mani quando Esperin me le afferra e la guardo in viso confuso da questo improvviso slancio d’affetto.

<<Ho saputo di Aeglos, ti ho chiamato per dirti che mi dispiace tanto. Volevo... Farlo di persona, nonostante tutto>>. Un turbine di emozioni, di sensazioni e di pensieri mi investono a causa di queste semplici parole. Lei è qui, nonostante sia una reietta, nonostante combatta per ideali diversi, nonostante la guerra ci divida, ha voluto incontrarmi per dirmi che le dispiace. Sento che gli occhi bruciano ma non per la tristezza, piuttosto la consapevolezza di poter contare ancora sull’amicizia di Esperin un qualcosa che in cuor mio temevo invece d’aver perso per sempre. La mia mente ripercorre la sfogo con Cassandra, elaborando solo adesso quella sgradevole reazione avuta in camera sua e che non sono mai riuscito a togliermi dalla testa. Era paura. Terrore. La paura di perdere per sempre Esperin mescolata al terrore di ritrovarmela un giorno sul campo di battaglia, come una nemica, un soldato di una fazione avversa che va eliminato… Il problema è che non voglio, non riuscirei a torcere un capello alla persona che ho di fronte perché ci tengo troppo a lei. <<Ti ringrazio>> , dico in un sospiro sforzandomi di sorriderle nonostante gli occhi mi tradiscano mostrando comunque angoscia e tristezza... Tanta tristezza.

La mia famiglia non era impeccabile come credevo ma mi donava affetto, forza d’animo, tranquillità, amore, ed adesso tutto questo mi manca davvero. Con il pollice provo a sfiorarle le nocche della mano destra per farle una lieve carezza e poi, a malincuore, lasciandola andare esclamo, <<quello che è successo ad Aeglos è stato un errore, uno sbaglio che andava cancellato tanti anni fa, ma ormai è troppo tardi…>>. Abbasso lo sguardo, visibilmente scosso, ed inspiro profondamente per cercare di farmi forza. <<Un errore di anni fa?>>, dice d’un tratto Esperin, visibilmente confusa dalle mie parole, <<io... Pensavo fosse colpa di Lantis, Dahmer mi ha detto questo, o di qualche intruso>>.
Mi mordo la lingua, insultandomi mentalmente per la mia stupidità. Ma cosa mi dice il cervello? Devo stare più attento a ciò che rivelo, momento di tristezza o no, ne va della reputazione del mio casato. Deglutisco innervosito, distogliendo lo sguardo da Esperin, e serrando le mani a pugno cerco di ricordare le parole di Caligus quando mi ha dato la notizia prima di pronunciarle. <<Sì, io... Non mi sono ancora ripreso dallo shock. Sono stati degli intrusi, hanno attaccato Aeglos, la notte dell’incoronazione. Mio zio si è salvato perché non era presente…>>.
Nota: Frasi ed azioni concordate.