CAPITOLO 5 - Dolore
Quando pensi di poter tornare alla normalità, è proprio in quel momento che le cose si complicano ancora di più.
- Pronto - rispose una voce strascicata dall'altra parte dell'apparecchio.
- Frank - respiro - Scusa se ti disturbo - respiro.
- Sai, penso di aver bisogno di te... - Non riuscii più a tenermi calma con i respiri e scoppiai a piangere come una scema, e a ripetere parole sconnesse come "odio Madison" "Scusa, frustrazione" "Papà è morto".
Frank non disse nulla ne interruppe il mio delirio, la cerimonia era appena finita, e io avevo appena visto la bara contentente il corpo di mio padre venire interrata.
A quella vista mi ero sentita completamente sola. Il mio stupido orgoglio era completamente morto, e quando il prete ancora non aveva finito con la sua preghiera d'addio, io stavo già componendo il numero del mio ragazzo.

Ovviamente la differenza di 2 ore che ci separava era minima, ma mai come in quel momento sentivo il bisogno della sua presenza e del suo affetto.
Mi scoprii a vergognarmi di me stessa quando gli avevo chiesto di lasciarmi andare da sola.
Un'altra litigata si era scatenata, ma poi aveva capito.
Aveva capito la sua versione, cioè quella nella quale avevo bisogno di affrontare e superare il mio dolore da sola. La realtà era che io mi vergognavo a portarlo a casa, mia madre e il resto della baracca sarebbero stati atroci con lui, e lui era troppo sensibile, non me la sarei sentita di vederlo ferito.
- Arrivo subito amore mio. - fu la sua risposta, e poi attaccò.
Sarebbe corso in capo al mondo per me, lo amavo tantissimo, si lo amavo.

Vivevamo insieme da 3mesi e stavamo insieme ormai da 2 anni, i miei non sapevano neanche della sua esistenza, mentre lui aveva scoperto della loro esistenza soltando quando alla prima ricorrenza mi sentì parlare al telefono con loro.
Aveva voluto sapere tutto, mostrandosi però contrario al mio modo di affrontare la situazione, lui che aveva una di quelle famiglie numerosissime e appiccicose peggio della colla non poteva capirmi.
Ma ormai mi ero abituata anche alle loro frequenti visite, e ai loro insistenti consigli e infiltrazioni nella nostra vita privata. Dopotutto non potevo lamentarmi per nessun motivo, prima non avevo una famiglia e dopo mi ritrovavo con fin troppe persone intorno.
Non mi accontentavo mai, e la mia coscienza non faceva altro che ripetermelo, finchè non ebbe la meglio su di me.

- Emma a cosa pensi? - mi chiese Mara avvicinandosi a me.
Era strana, per la prima volta la vedevo addolorata sinceramente per la nostra perdita. Esattamente dal momento in cui aveva visto la tomba chiudersi su mio padre.
Mi voltai verso di lei, e provai a risponderle qualcosa, ma non riuscivo più a parlare.
La consapevolezza che non avrei più potuto parlare con lui, che non avrei più potuto chiedergli nulla e lui non avrebbe più potuto chiedere nulla a me, anche solo il fatto di avere la certezza della sua esistenza mi toglievano il fiato, e sentivo che non sarei più potuta andare avanti con la mia vita.
Un pezzo di me ora si trovava un tot di metri sotto terra, ed era morto anche lui, ma era un pezzo talmente grosso che non riuscivo a sopportare il peso sul mio petto.
Mi infiali gli occhiali da sole con un gesto che doveva sembrare naturale, ma non fece altro che farmi sembrare ancora più distrutta.

Mara aveva capito il mio stato d'animo, ma non capiva che io avevo bisogno solo e soltanto di Frank, che la sua vicinanza non mi aiutavano, e continuava a blaterare.
- Sai, almeno tu lo hai visto poco. Ma io lo vedevo quasi tutti i giorni, non puoi proprio capire cosa provo. - aggiunse affranta tra i suoi delirii.
Ovviamente questa fu l'unica frase che percepii, e non fece altro che farmi infuriare ancora di più.
Un vortice di pensieri confusi mi turbinava in testa, non riuscivo a mettere insieme una frase coerente per risponderle. COME OSAVA anche solo avre il coraggio di dire tali cose!!!!!
Solo perché io non avevo leccato il culo dei miei per avere i soldi non voleva dire che comunque non fossi affezionata a loro. A MIO PADRE. Ogni singolo ricordo felice della mia infanzia era associato a lui, e lei osava dire che a me non sarebbe mai mancato come a lei??
No, non potevo più farcela.
Decisamente volevo lasciare per sempre quella città, confermando e rafforzando la mia idea di non tornarci mai più.

Frank aveva preso il primo volo e sarebbe arrivato nel giro di poco.
Mi sedei sulla scalinata di casa risoluta ad aspettare lì il suo arrivo, anche se avessi dovuto aspettare fino a notte fonda.
Nessuno mi rivolse la parola, per una volta la mia aura era talmente nera che nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi.
Ogni tanto non riuscivo più a stare seduta quindi cominciavo a misurare il vialetto contando i miei passi.
Ero riuscita ad arrivare a 200passi, me ne stupii da sola.
Dopo un pò che camminavo non riuscivo più neanche in quello, quindi mi ri sedevo afflitta e scoppiavo in un altro pianto.
Ma quanto ci metteva?? Erano 2 ore che aspettavo!
Il sole stava calando, e i lampioncini che si trovavano lungo il vialetto scattarono automaticamente, rilasciando un dolce riflesso sul terreno non ancora completamente oscurato dalla notte.

Dopo un'altra ora sentii una macchina avvicinarsi e poi fermarsi proprio di fronte a casa mia.
Mi alzai di corsa e mi buttai letteralmente tra le braccia di Frank.
Il suo odore familiare mi riportò a casa, nella dolce e sicura Los Angeles, e riuscii a frenare i singhiozzi. Ebbe il tempo di pagare il taxista, e di prendere l'unica piccola valigia che aveva portato prima che io ricominciassi a piangere.
Restammo un pò nel portico, e poi decisi che quello era il momento di presentarlo, sarebbe stato troppo da maleducati aspettare oltre.
Entrati in casa Mara ed Erica erano sedute sul divano a guardare la placida danza delle fiamme nel caminetto. La tv era spenta, e nell'aria aleggiava un sentimento di dolore profondo.
Anche loro come me provavano dolore, e non era finto come avevo sospettato, era tutta apparenza la loro, me ne sarei dovuta accorgere prima invece di passare il mio stupido tempo a giudicarle.

Tossicchiai per attirare la loro attenzione, e loro come due zombie voltarono la testa verso di me.
La loro espressione vuota mutò immediatamente alla vista di Frank, trasformandosi in un cortese disappunto.
"Cosa ci faceva questo sconosciuto a casa loro a quest'ora di notte? E come mai era vestito così da pezzente?" Mi sembrava quasi di poter sentire i loro pensieri.
Maledicendomi e benedicendomi allo stesso tempo introdussi una breve presentazione di Frank, che ostentando dei perfetti modi gessati, andò a stringere la mano prima mia madre e poi a mia sorella, che continuavano a fissarlo austere.
- E un piacere incontrarvi finalmente, Emma parla sempre di voi, a casa. - Oh, Frank, Frank, Frank, come sei bugiardo - Io sono Frank Bishop, il fidanzato di Emma. - Le ultime parole sembrarono raggelare l'intera stanza.

Nonostante fossi un'adulta vaccinata, un'ondata di panico cominciò a prendermi il petto.
Non capivo il motivo di quella sensazione, ma lo sguardo che mi lanciarono le mie parenti più strette era eloquente. "Non ci hai detto niente perché è un pezzente". Come a volerlo difendere e tirare un pò su dissi in fretta
- Frank gestisce il locale più IN di Los Angeles, si chiama Open Bar, immagino che ne avrete sentito parlare, l'altra settimana ci è passata Jennifer Aniston... -
Non mi aspettavo una reazione precisa, ma quello che ne seguì mi lasciò a dir poco basita.
Erica si alzò e dopo essersi complimentata per il lavoro di Frank, ed essersi scusata andò a dormire.
Mara fece lo stesso poco dopo, aggiungendo che Jennifer "Anison" le piaceva molto come cantante. Quelle due donne sembrava vivessero in simbiosi e la cosa cominciava a spaventarmi.
Lui si voltò verso di me con un'aria completamente stupefatta, ed io, per la prima volta in non so quanto, mi aprii in un vero sorriso e poi scoppiai di nuovo a piangere.

- Sono anche peggio di come mi avevi detto! - Esclamò lui accarezzandomi la testa mentre io piangevo avvinghiata al suo maglione di feltro.
- Sai, avrei voluto farti conoscere mio padre, lui era forte! - Dissi tra i singhiozzi, e il mio pensiero corse a cosa avevo sentito quella mattina, i singhiozzi si calmarono un pò.
Avrei dovuto dirlo a Frank?
Beh, lui era corso da me in un baleno quando glielo avevo chiesto, e sapevo già che da adesso fino alla fine della sua permanenza non avrei dovuto muovere un dito, sarebbe stato premuroso e perfetto e io nel giro di pochi giorni mi sarei ripresa completamente.
Una voce dentro di me, però, continuava a ripetermi che non era una cosa da divulgare, che era una cosa mia.
Quindi gli mostrai la sua stanza (non sia mai che avremmo potuto dividere la stanza sotto il tetto di Erica) senza aggiungere una parola.
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