Immagina.
Immagina una spiaggia senza mare,
un sole senza ombra,
un'ombra senza sole e una stella senza notte.
Benvenuti a Gohl, dove non c'è nessuno e
da nessuna parte ci sono tutti.
CAPITOLO VI - Parte 1
Il mondo nuovo

Quando le due donne uscirono dalle gallerie della cava il cielo era ancora buio, ma le prime stelle facevano già capolino tra le nubi di fine tempesta e l’orizzonte andava schiarendosi molto velocemente.
Il passaggio non era altro che un buco tra le montagne, Keira l’aveva scoperto per caso quando l’avevano mandata su per il precipizio a cercare un operaio che si era smarrito tra le rocce.
Poco prima di giungere alla grotta Lena perse i sensi. Anche Keira era stremata dalla fatica nel sorreggere sia lei che l’otre pieno d’acqua che teneva nella sua bisaccia, così l’adagiò lentamente sulla sabbia e fece lo stesso con l’acqua.
Sorrise tra se pensando alla faccia che avrebbe fatto sua madre quando l’avesse vista arrivare con quel doppio carico.
Inoltre, quasi sicuramente, la Vanatiana che stava trasportando si sarebbe svegliata con una sete del diavolo ed il suo furto sarebbe stato quasi vano; non se ne preoccupava ma sorrideva, perché sapeva che sua madre l’avrebbe curata come voleva la legge del deserto.
I Morok, gli abitanti di Gohl, erano ben diversi dai freddi e scostanti cittadini di Vaniant che immolavano una bimba appena nata ad un Dio che non si era mai rivelato loro, essi si aiutavano e proteggevano l'un l'altro, vivendo all’ombra di una civiltà che ignorava quasi totalmente la loro esistenza.
Erano nomadi, ma conoscevano l’ospitalità e la fratellanza, concetti che la quasi maggioranza dei cittadini della capitale ignoravano vivendo nella paura verso il prossimo e l’esterno.
I Morok infatti si nascondevano dai Vanatiani sfruttando l’enorme catena di monti che si erigeva nei pressi della città, dove essi avevano i propri rifugi quando le oasi del deserto si prosciugavano. Molti di loro rubavano acqua dalla cava da almeno un secolo per poi ripartire, mentre Keira e sua madre erano ormai diventate delle sedentarie.
La ragazza si domandava se la pioggia fosse arrivata anche a casa, riempendo il loro pozzo per garantire almeno un paio di mesi d’acqua potabile.
Ridendo a quell’idea ridicola si sedette su di una duna, osservando i primi raggi dell’ alba di inizio anno nuovo che sorgevano ad est e tornavano a colorare il cielo.

Il Sole Blu, che fino a quel momento era rimasto nascosto dietro a spesse nubi giallastre fece il suo ritorno in scena, mostrandosi già particolarmente alto nel cielo rispetto a quello Rosso che invece sembrava faticare oltre il ciglio dell’orizzonte, pigra stella innocua ma compagna di una serpe dai sonagli argentei.
Il tempo scarseggiava, doveva affrettarsi a raggiungere la grotta dal momento che sua madre si alzava sempre molto presto, al mattino.
Svegliò Jordan e la convinse ad affrettarsi:
“Perdonami, ma l’alba sta sorgendo, il sole blu è già risalito. Io porto un carico pesante e devi aiutarmi ad arrivare a destinazione. ”
Jordan annuì in una smorfia di dolore, mortificando Keira che già si sentiva in colpa per non averla lasciata dormire.
“Hai ragione” fece Lena cercando di rialzarsi “Non è prudente viaggiare nel deserto con entrambi i soli nel cielo, potremmo morire a causa delle radiazioni”.
Keira non sapeva di cosa stesse parlando, ma la osservò in silenzio immaginando altre mille cose che Lena probabilmente sapeva mentre a lei erano state negate o semplicemente omesse.
A cosa si riferiva quando parlava di radiazioni? Non le sembrava di aver mai sentito quella parola, nemmeno dagli anziani o da sua madre.
Jordan cercò di alzarsi da sola, ma la caviglia non resse il suo peso, così si rimise seduta in una smorfia di dolore.

“No, non puoi camminare, non sforzarti. Ormai manca poco” annunciò Keira.

Sorridendo come se non si potesse fare a meno di lei, allungò il braccio verso Jordan, la quale lo guardò con aria afflitta ma decisa.
“Avanti, ho muscoli per reggerti ancora un altro pò, ma se vogliamo fare in fretta dobbiamo muoverci”
Jordan guardò quella ragazza che l’aveva portata via dal suo inferno personale, la quale sghignazzava di autocompiacimento.
“Non siete molto resistenti alle avversità voi cittadini” la prese in giro poi “Se si fosse rotta del tutto avrei dovuto portarti in braccio!”
Jordan si indispettì ma era talmente contenta di essere lontana dalla Torre che non diede peso alle poco velate insinuazioni della ragazza.
“Beh, per nostra fortuna non lo è” rispose sorridente, nonostante il pulsare alla caviglia che non le dava tregua.
Keira notò le macchie scure sotto i suoi occhi, segno che la poverina era ormai allo stremo delle forze, così smise di scherzare e decise di rimettersi in cammino attraverso il deserto.

“Dai vieni, casa mia è dietro quelle montagne laggiù” sospirò Keira porgendole il braccio per alzarsi.
Dopo meno di un’ora scesero in un’aspra vallata ornata da rocce di ogni forma che emergevano dal mare di sabbia che le circondava come scogli nel mare. Proprio nascosta dietro alla roccia più grande c’era la grotta di Keira, la quale era diventata raggiante già alcuni metri prima, accelerando il passo ormai esausto che la stava massacrando.
“Ci siamo” annunciò “Io vivo lì con mia madre, nella grotta.”

Jordan era trafelata, non riusciva a credere che della gente potesse vivere in una grotta. A dire il vero non ne aveva mai vista una, ma dai racconti di Jonsy, il quale si era occupato anche della sua istruzione, doveva essere soltanto un buco nelle montagne eroso dal vento e dalle intemperie.
“Va bene.” Rispose interdetta.
Keira notò per la prima volta dalla sera prima in cui l’aveva trovata nella cava che Lena non diceva mai grazie.
Non che l’etichetta fosse importante per i Morok, assolutamente, eppure le sembrava un atteggiamento inconsueto per una cittadina.
E poi quella giovane donna tanto bella e sofferente non l’aveva già ringraziata con gli occhi ogni volta che l’aveva guardata? Ma si, di cosa si lamentava, aveva certamente compiuto una buona azione, un’azione di cui andare fieri.
La condusse attraverso i cunicoli che scendevano nelle tenebre con una torcia in mano che aveva acceso all’ingresso, respirando ormai a fatica mentre avanzavano nell’oscurità.
Giunte nel corridoio che portava all’antro in cui riposava sua madre Keira mostrò a Jordan un piccolo angolo in cui c’erano soltanto dei vecchi materassi poggiati direttamente in terra e un tavolino di legno sul quale erano riposte tutte le erbe e le pomate curative di Pamla.

“Aspettami qui, vado a prenderti dell’acqua e avverto mia madre del tuo arrivo. Siedi sul mio letto, non è molto bello ma ti assicuro che è comodissimo!”

Jordan le sorrise con occhi semi-chiusi, la gamba doveva farle molto male.
Keira sorrise di rimando e scomparve più in là, dove un’altra torcia illuminava debolmente la fine della caverna.
Jordan, quasi pallida e stremata dallo sforzo, si sdraiò quasi subito sul quell’insospettabile giaciglio, trovandolo più comodo di quanto non si aspettasse. Il dolore era diventato piuttosto forte nelle ultime due ore, forse perché non era stata a riposo ma aveva percorso alcuni chilometri in piedi e a passo incerto nella sabbia delle dune.
Eppure sentiva che poteva fidarsi di quella ragazza così strana, così diversa da lei sia nell’aspetto che negli abiti.
E poi c’era quella cicatrice che le deturpava l’occhio sinistro. Come poteva accadere che una donna si rovinasse il viso in quel modo quando erano i robot a fare tutto il lavoro? Pensandoci meglio capì che era già assurdo il fatto che delle persone potessero vivere all’aria aperta su Gohl senza rimanere uccise dalle radiazioni o per la carenza d’acqua.
Dunque suo padre e Jonsy le avevano mentito, era possibile sopravvivere nel deserto, Keira ne era la prova lampante.
Mentre era assorta in queste scioccanti rivelazioni si addormentò.
Keira trovò sua madre che stava accendendo il fuoco.

Sospettava fortemente che non avesse dormito neanche un minuto, il suo giaciglio era intatto.
La donna, dall’udito ancora fine, la sentì arrivare quasi subito.
“Ti avevo detto di fare in fretta!” sbraitò Pamla voltandosi verso la figlia.

Keira si impietrì, non aveva il coraggio di rivelarle che, oltre a metterci il doppio del tempo, aveva portato a casa anche una donna ferita.
“Pioveva moltissimo, ci sono stati i fulmini di cui mi parlavi” cercò di giustificarsi mentre le porgeva l’otre dell’acqua.
Pamla allora sospirò, spaventata da quelle luci di morte che scendevano dal cielo e felice di rivedere la figlia sana e salva. Poi Jordan, alias Lena, tossì nel sonno.
Era distante da loro solo qualche metro, così Keira non potè esitare oltre.
“E’ una ragazza, si è ferita durante la tempesta e non può camminare. Le ho detto che tu saresti riuscita a guarirle la caviglia, non credo sia rotta, forse con l’erba Glitch..”
“E’ una cittadina?” chiese Pamla in tono grave.
“Credo di si” ammise Keira “Ma l’ho trovata nella cava, era svenuta e non riusciva neanche a svegliarsi”.
Pamla s’incamminò nella direzione in cui aveva sentito tossire Jordan.
“Mamma..” cercò di tergiversare Keira mentre seguiva sua madre come un’ombra “Pensi che possa aver sbattuto la testa?”
“Ne sono quasi sicura e spero che tu non l’abbia fatta dormire ancora, potrebbe esserle stato fatale”
Keira capì perché Lena le appariva così stanca e non era riuscita a svegliarla subito, nella cava.
“No, grazie a Dio l’ho tenuta sempre sveglia” confessò Keira con un sospiro di sollievo.
Continua...