Astro circumpolare: è un astro che, nel moto
apparente di rotazione della volta celeste, non tramonta mai.
Sono visibili a qualsiasi ora del giorno e della notte,
soprattutto nelle regioni polari.
CAPITOLO VII
IL MOROK
Erano passati solo 3 mesi circa del nostro tempo terrestre quando Jordan imparò come catturare i serpenti a mani nude. Pamla si era inizialmente insospettita nel vedere il medaglione con lo stemma della casata Regnante al collo della ragazza, ma aveva preferito tacerne perfino con sua figlia. Il medaglione era ora conservato al sicuro sotto il letto di Jordan, nessuna delle due donne che la ospitavano si era mai azzardata a toccarlo, ma Pamla ogni tanto lo rimirava chiedendosi quando Jordan si sarebbe decisa a raccontare la verità sulle sue origini.
Eppure, man mano che i giorni si alternavano alle notti, si era resa conto di volere un bene smisurato a Lena, la quale le aveva detto quasi subito di non avere più una madre da moltissimo tempo.
Mentre Keira aveva ripreso il suo lavoro alla cava e vi trascorreva ore interminabili tornando a notte fonda, Jordan aveva cercato di apprendere il più possibile dalla vita dell’anziana signora che la ospitava pur non chiedendo nulla in cambio se non la sua compagnia durante il giorno.
Il pozzo, dopo la tempesta, si era alimentato da una nuova sorgente d’acqua, non molto consistente ma comunque abbondante, prelievo di cui ovviamente Lena si faceva carico ogni mattino.
Spesso, dopo il tramonto, Pamla insegnava alla ragazza a cacciare dei piccoli serpentelli delle rocce, con le quali integravano la mancanza di proteine che quella vita così isolata gli imponeva. Jordan era una buona cacciatrice, nonostante quello che diceva Keira, che non perdeva occasione per deriderla e denigrare il suo operato.
“Si nascondono sotto le rocce, di notte” spiegò Pamla invitandola ad abbassarsi per cercarne uno “I serpenti del deserto sono innocui ma ti conviene accertarti che siano quelli grigi, prima di catturarli. Guarda, si fa così..’’
Jordan osservava ed imparava, si sporcava le mani e non andava a dormire finché Keira non era rientrata dalla cava.
Avuta la conferma da Pamla che si, in effetti era meglio non uscire all’aria aperta quando vi erano entrambi i soli in cielo, Jordan passava molto tempo a guardare le stelle del deserto per aspettare il ritorno di Keira che le raccontava sempre una marea di storie ed aneddoti che si verificavano alla cava.
Il terzo giorno dal suo arrivo e ancora non completamente ristabilita passò due ore del suo tempo a sentir raccontare di un tale che si chiamava Azhar e che aveva cercato di far saltare in aria un magazzino in cui le guardie di vigilanza tenevano i viveri, utilizzando un esplosivo di sua fabbricazione a base di zolfo e carbone.
Esso, oltre a spaccare pietre come lei, si dilettava di meccanica e chimica, proprio come Jonsy.
Le piaceva da morire parlare con una ragazza della sua età, non l’aveva mai fatto in vita sua, anche se più di una volta aveva dovuto mordersi la lingua per non domandare a Keira cosa avesse fatto al viso.
Assurdamente fu lei stessa a raccontarglielo, come se le avesse letto nel pensiero, quella stessa sera.
“C’era questa macchina a cui lavoravo che non funzionava più molto bene, l’avevo notato ma non ho fatto in tempo ad allontanarmi che un filo d’acciaio è schizzato via dal suo perno e con lui sono venuti via anche tutti gli altri, mi hanno colpita ferendomi la parte sinistra del viso.”
Mentre lo diceva guardava per terra ed era visibilmente in collera, allora Jordan l'aveva accarezzata per un istante come se fosse la cosa più naturale del mondo e Keira aveva accennato un sorriso, molto stentato.
Nonostante questa cicatrice deturpante il viso era lo stesso molto bello, con una sua aristocratica grazia, impreziosito da un paio di occhi grandi, di un verde smeraldo incredibilmente chiaro che a Vaniant non avrebbero potuto descrivere, perché non esisteva donna o uomo che possedesse quel colore d’iride.
Inoltre la ragazza del deserto sorrideva molto di più di quella di città, sembrava conservare una fierezza e una pace interiore che invece a Jordan ancora mancavano, essa infatti era spesso pensierosa e diffidente, distante.
“E’ stata più la paura di perdere l’occhio che il dolore, non preoccuparti” concluse Keira minimizzando la cosa.
Quella sera la luna di Vaniant, che gli autoctoni chiamano Sin, era al pieno della sua candida luce, ma veniva ugualmente oscurata dall’alone azzurrognolo che emanava l’eterno sole Blu, poco sopra la linea dell’orizzonte.
A volte Jordan rimaneva stupefatta da quello spettacolo e pregava Keira di mangiare di fuori insieme a lei, preparandole il pasto su una roccia davanti la grotta per poter rimanere a guardare il cielo.
Ormai Jordan aveva dismesso il suo vestito da Cerimonia, regalandolo a Pamla con la promessa che le avrebbe cucito un nuovo abito utilizzando altri scarti di stoffa. L’ultimo regalo di quella nuova vita era stata una carnagione più scura che catturava i raggi del Blu come una trappola e le donava il classico aspetto da Morok. Già, i Morok, Keira gliene aveva parlato in più occasioni.
Sapeva che si nascondevano nelle grotte, sapeva che dovevano aver trovato un’oasi piuttosto rigogliosa, perché non ne aveva ancora visto uno.
“E’ venuto qualcuno qui, oggi?” chiese Keira dopo che Jordan ebbe abbassato la mano dal suo viso.
“Aspetti visite?”
“Lena, tu dimmi solo se hai visto qualcuno in giro per la vallata o anche se ti sembra solo di essertelo immaginato”
“Sarebbe stata la prima cosa che ti avrei detto quando ti ho vista tornare stasera.” Rispose Lena, sinceramente contrariata.
“Vedo che i modi di mia madre sono diventata un’altra materia da apprendere, per te” continuò Keira, innervosita da quel modo di fare altezzoso che Lena aveva tirato fuori da qualche tempo “Non mi va che esci troppo dalla grotta, potrebbe vederti qualche Morok e portarti via. E poi chi me la prepara la minestra?”
Il viso di Jordan si spalancò in un dolcissimo sorriso, quello che probabilmente aveva da appena nata ma che non aveva mai tirato fuori.
“Ha ragione tua madre, sei una perfetta idiota.” Rispose guardando altrove.
Keira sorrise a sua volta, era un piacere parlare con qualcuno che stava al gioco e non si innervosiva quasi mai.
“Devo proteggere le donne di casa visto che siete due femminucce. Se vedi qualcuno che gira nei paraggi fammelo sapere, dobbiamo tenere sempre gli occhi aperti.”
“Ma smettila! Perché qualcuno dovrebbe infastidirci?” chiese Jordan realmente ignara di dove volesse andare a parare Keira con quel discorso sconclusionato. Si stupì molto della risposta.
“Per rapire te e portarti via da qui.” ammise Keira che ormai era diventata dipendente dal sodalizio stretto con Lena, la faceva sentire non più sola e con una madre anziana da accudire, ma parte di un qualcosa che si sosteneva e sorreggeva a vicenda.
Lena era una femmina ma era forte, era bella ma non era arrogante, nemmeno quando si sforzava di esserlo.
In quel preciso momento si era messa a guardare le dune intorno a se e proprio su di essa stava un giovane uomo, molto affaticato e claudicante, che si avvicinava a passo spedito nonostante avesse serie difficoltà nel deambulare.
"Keira!!!” gridò l’uomo che si era accorto di essere stato ‘’avvistato’’
Dall’alto e in pieno sole Blu Keira riconobbe Azhar, l’amico sovversivo della cava.
Keira rispose facendogli segno di avvicinarsi.
Azhar, un giovane dallo sguardo severo ma con modi gentili, si avvicinò immediatamente a Jordan, la quale rimase stupita da quell’arrivo improvviso che sembrava capitato proprio nel momento più adatto.
“Keira non mi hai mai detto di avere una sorella” chiese senza distogliere lo sguardo da Jordan mentre si avvicinava.
“Non ce l’ho infatti. Lei vive con me e Pamla ma non è mia parente.”
“Sono Lena!” si affrettò a concludere lei, naturalmente abituata ad evitare gli uomini che non le staccavano gli occhi di dosso mentre le parlavano come faceva Jonsy.
Keira si stupì della velocità con la quale Lena aveva risposto, ma preferì anche lei mantenere una sorta di alone di mistero intorno alla vanatiana che ospitava, onde evitare che si spargesse troppo la voce tra i nomadi del deserto.
“Io sono Azhar, lavoro alla cava con Keira. Ti disturbo se mangio un piatto della tua buonissima minestra e me ne torno per la mia strada?”
“E’ finita” rispose Jordan.
“Cosa?” chiese Azhar, sorridendo.
“La minestra, la minestra è finita.” Confermò lei rientrando in casa.
Keira lo richiamò all’ordine e lo portò verso la grotta, scortandolo in gelido silenzio.
Lui procedeva come se conoscesse quel luogo da tutta una vita, continuando ad osservare Jordan con un sorriso appena accennato sul viso e la consapevolezza di non averla mai vista prima da quelle parti.
Nonostante i preamboli Azhar si rivelò un ospite gentile ed educato, ma a Keira non piaceva il modo in cui guardava Lena, la metteva a disagio. Purtroppo era accaduto l’inevitabile, Keira cominciava ad essere gelosa di Lena.
Ne era gelosa perché andava più d’accordo con sua madre di quanto non ci andasse lei, era gelosa perché era troppo bella e avrebbe voluto rinchiuderla anche lei come avevano fatto tutti gli altri, era gelosa perché non la voleva dividere con nessuno, era un bene troppo prezioso per disfarsene.
“Scusatemi ma io vado a dormire” disse poco dopo Jordan, che era esausta.
“A domani Keira” disse allontanandosi mentre le sorrideva ripensando a quello di cui avevano parlato prima e dell’eventualità che qualcuno potesse o meno portarla via.
Azhar era visibilmente colpito da Lena, ma non parlava e continuava a fissare il fuoco.
Fu comunque lui a rompere il silenzio.
“Keira, Keira, Keira.. Tu mi stupisci sempre.” ammise Azhar mentre si scaldava le mani avvicinandole alle fiamme.
“E perché mai?” chiese lei infastidita “Sei venuto qui per parlarmi di cose serie o vuoi passare la notte ad importunare anche mia madre oltre che la mia ospite?”
Azhar si mise a ridere di gusto, mantenendo lo stesso una sua linea di stile nonostante la bizzarra situazione.
“Hai ragione, ora veniamo a noi…”
L’antro di Jordan era a pochi passi da lì, ma per via del fuoco che scoppiettava accanto a lei non udì quasi nulla della conversazione tra Keira e Azhar. Si chiedeva se Pamla ne sapesse qualcosa, ma ne dubitava poiché ella dormiva da un pezzo.
Si sedette sul suo materasso e cominciò a svestirsi, sentendo il calore delle fiamme che l’accompagnava verso un sonno primitivo e pesante, quasi ipnotico. Fece in tempo a togliersi solo la gonna, poi sulle sue gambe nude c’erano solo le ombre delle fiamme che lambivano il bracere.
Tre ore dopo il fuoco si era spento e rimanevano solo le braci scure che illuminavano debolmente il viso di Jordan che dormiva di un sonno profondo.
Una figura si avvicinò sbucando dal buio e la svegliò.
“Dai, svegliati.”
Jordan si innervosì aprendo gli occhi, ma non disse nulla. In quel momento Keira era troppo seria perché le si potesse dire di no.
“Vieni un attimo fuori, devo parlarti e non voglio che mia madre ci senta.”
Allora Jordan si alzò, non fece in tempo nemmeno ad indossare i calzari, seguì Keira verso l’uscita facendo bene attenzione a non fare rumore e si ritrovò di fuori subito dietro a lei, la quale però guardava altrove senza apparente motivo.
“Di cosa devi parlarmi?” chiese con un'espressione insonnolita che intenerì Keira.
“Non devo parlarti, devo solo informarti che tra qualche giorno Azhar tornerà qui e ti porteremo in un posto."
“Non la cava spero..” rispose senza tanti svolazzi Jordan.
“No, non è la cava. Abbiamo parlato molto stasera, è intervenuta anche mia madre ad un certo punto. Come sai i Morok condividono tutto con i propri familiari, quindi dal momento che tu vivi con me è giusto che anche tu sappia.”
“Tu non sai niente di me, sono qui da appena un momento.” disse Lena, sorridendole con un’espressione interrogativa sul volto.
“Non ragiono come te su quello che c’è da fare, lo faccio e basta. Forse sai anche più di quel che credi.”
Il suo viso era diventato serio, tanto che Jordan se ne preoccupò e anche lei era diventata talmente seria che faceva quasi paura.
“Dove mi portate?” chiese un pochino più allarmata Jordan.
“Vedrai. Andiamo a dormire, qui fa freddo per te che dormi nuda come una gnui.”
“Ti ho detto di smetterla di darmi della gnui, avrai al massimo un paio di tramonti in più di me e svegli la gente nel cuore della notte per dire meno di niente!”
Keira le regalò un enorme sorriso di sfida e le prese la mano per scortarla nella grotta.
Pensava che forse fidarsi così presto di Lena si sarebbe rivelata una mossa azzardata, ma chi carezza con tanta delicatezza un viso come aveva fatto Lena poche ore prima con il suo non avrebbe mai potuto tradirla.
Questi ed altri pensieri le sfioravano la mente mentre si addormentava di fianco a sua madre.
Lena invece non dormiva. Si era coperta le gambe con la sua minuscola coperta e guardava fisso nel fuoco che andava esalando gli ultimi respiri. All’improvviso aveva pensato a Jonsy e a come le aveva mentito sfacciatamente sulla condizione del loro pianeta e del deserto che era loro vicino di casa da più di centosettantamila anni.
Jonsy le venne in mente come una paura, l’eterno spauracchio che molto probabilmente la stava ancora cercando e non
avrebbe smesso finché sarebbe stato in vita.
In effetti, a Vaniant, Jonsy era il solo a sentire la mancanza totale e soffocante della legittima Sacerdotessa, annaspava nel dolore ma continuava a lavorare senza sosta ad un progetto che, se tutto fosse andato secondo i suoi calcoli, gli avrebbe riportato Jordan a casa, posto che fosse ancora viva.
Il Sindaco, che ormai era in attesa insieme alla moglie del suo secondogenito, aveva fatto cercare in lungo e in largo nella valle di Vaniant, sulle montagne entro il suo perimetro ed in ogni angolo della cava, dalla quale Jordan, che in realtà si trovava a svariati chilometri dal confine della città, si guardava bene di avvicinarsi. Lui, lo scienziato, non aveva risparmiato nemmeno il fiume o gli scantinati cittadini nella sua ricerca disperata.
Ma non bastava. Jonsy l’aveva capito una sera, nei giardini della Torre, mentre sedeva su una panchina.
Era sceso nel suo laboratorio e si era messo a pensare sempre più alacremente, maneggiando alcune provette che aveva sul tavolo.
Se il corpo di Jordan non era stato ritrovato significava che era ancora viva. Se non era in città allora doveva essere FUORI dal perimetro di Vaniant, occorreva quindi cercare anche nel deserto.
Il sorriso intelligente che fece per un'idea lampante fu smorzato subito dalla sua innata paura dell’ignoto che Gohl rappresentava, ma si mise comunque al lavoro per cercare di mettere a frutto le sue idee.
Un mese dopo il suo progetto prese vita.
Nel laboratorio, una notte, una figura contenuta in un’enorme cabina di vetro spalancò gli occhi nel liquido gelido in cui era immersa ed inveì contro il vetro che la separava dal mondo esterno.
Il gas inondò la capsula quasi contemporaneamente dando respiro alla creatura, la quale fino ad allora era stata sommersa dall'azoto liquido.
Era una donna, non c’era dubbio, anche se della sua figura si scorgevano a malapena i seni. Nella stanza la temperatura era scesa di diversi gradi, facendola assomigliare più ad una cella frigorifera che ad un locale privato.
Jonsy aveva pensato proprio a tutto.
Resosi conto che la creatura lo stava fissando si avvicinò, sorprendendola in una posa infantile che lo sconvolse profondamente. Si stava succhiando il pollice. Quell’androide mezzo robot e mezzo donna immerso in un liquido velenoso che avrebbe ucciso all’istante qualsiasi creatura vivente aveva assunto una posa tipicamente fetale, forse trasmessa dal DNA che Jonsy stesso si era estratto dalle cellule del sangue.
Poi la capsula si aprì e lei uscì fuori tremante, avvolta da una nube di gas che sparì rapidamente nel condotto dell’aria in alto.
Era incerta, sulle sue nuove gambe, minuscole scariche elettriche ancora l’avvolgevano, ma sembrava funzionare assai bene per essere “appena nata”.
Di tutti i suoi familiari, in gran parte scienziati, nessuno si era spinto così lontano come Jonsy nel campo della bio meccanica, della robotica, delle applicazioni di ingegneria.
Mentre il 99% dei robot di Vaniant erano di solo scheletro metallico, questo qui aveva un rivestimento di pelle umana e non differiva in minima parte, all’apparenza esterna, da una qualunque donna di Vaniant intorno ai 25 anni di età, fatta eccezione per la mancanza di capelli che sarebbero stati innestati successivamente da Jonsy stesso..
Jonsy sorrise e le si avvicinò, orgoglioso di ciò che aveva fatto.
“840721, Jalia.” Disse Jonsy a voce alta e ben scandita.
“Ricevuto dottore, il mio nome è Jalia” rispose lei guardandolo, aveva un accento perfetto e senza alcuna pronuncia artificiale.
“Parli meglio di me, Jalia. Cos’hai nel database a proposito di Gohl?’’
“Gohl è il deserto che circonda Vaniant, capitale di Cygni, quarto pianeta dal sole Rosso e Blu. Gohl si estende in tutte le direzioni possibili, oltre esso non c’è che Vaniant. Le temperature oscillano tra..”
“..Va bene” Tagliò corto lui, “Basta così. Grazie.”
"Di nulla dottore." rispose cordialmente lei.