"Cygni è il nostro Dio Padre ed il nostro pianeta, la nostra casa.
Ci protegge dai pericoli e dai raggi mortali dei nostri due soli,
specialmente da quello blu, che rende la notte azzurra e luminosa.
Vaniant è la nostra capitale,
nessuno ne ha mai oltrepassato i confini e non c'è altro
posto in cui trovare l'acqua.
Dobbiamo amare e rispettare la nostra città,
come i figli amano e rispettano i propri genitori."
(Preghiera della Fede recitata da un bambino di 9 anni)
CAPITOLO II
La famiglia Shagun
L’indomani vennero in visita alla Torre due donne che Jordan detestava profondamente, Helsa Shagun e sua figlia Imane.
Helsa Shagun era la cugina del Sindaco, duchessa di Vaniant e madre della viziatissima Imane dai capelli di brace, coetanea di Jordan ma assai più calcolatrice di lei, nonché più crudele con i sottoposti.
Imane aveva avuto anche un fratello gemello, Romj, morto nel famoso crollo della cava quattro mesi prima, mentre insegnava a suon di frustate ad un ragazzino di 10 anni come spaccare le pietre; Jordan aveva esultato segretamente una volta venuta a conoscenza della ‘’tragedia’’, se non altro perché il bambino era riuscito a salvarsi scavandosi un cunicolo tra le macerie e scivolandoci dentro grazie alla sua esile figura.
“Sia dannato lui e tutta la sua famiglia!!!!” aveva gridato Helsa mentre Veloj la consolava annuendo, ma Jordan sorrideva dando loro le spalle.
Quella mattina le due donne erano raggianti ed elegantissime, come al solito.
Veloj le accolse ancora in vestaglia, frastornato dai bagordi della sera prima; per lui era sempre un piacere accogliere sua cugina e sua nipote, le quali lo avevano visto in situazioni ben peggiori.
Del resto era sempre il Sindaco, padrone incontrastato di tutto ciò che brulicava in quel misero pianeta deserto, gli era permesso tutto, anche infrangere l'etichetta.
Fece servire l’infuso freddo di Glich, una delle piante più rare di tutto il regno da cui i Vanatiani ricavano una bevanda deliziosamente rinfrescante.
Il Sole Rosso ruggiva già dalle prime luci dell’alba, ma era normale, accadeva sempre così quando la piccola nana blu si avvicinava all’orizzonte.
“I nostri Soli si avvicinano tra loro in questo periodo dell’anno” aveva spiegato una volta un giovanissimo Jonsy alla piccola Sacerdotessa:
“E’ per questo che emanano più calore del normale. Rimani qui nel mio laboratorio piccola Jordan, sentirai meno caldo”.
La piccola sorrideva e lo aiutava raccogliendo per lui viti, bulloni e progetti sparsi sul pavimento.
Invece quel mattino le due donne sembravano non accorgersi nemmeno dell’afa mentre sorseggiavano la loro bevanda ghiacciata.
“Allora che ne pensi Veloj? Hai avuto modo di rifletterci?” chiese Helsa a suo cugino.
“Certamente mia cara!” rispose lui "Il Glich è di tuo gradimento? Proviene dalle nostre cantine migliori..." chiese poi, sardonico.
“Oh andiamo, non tentare di cambiare discorso. Una soluzione del genere si adatterebbe perfettamente alle esigenze di entrambi, senza contare il prestigio che ne riceverebbe mia figlia. Non è mai accaduto che una Sacerdotessa regnasse su Vaniant, e tu lo sai. Ti serve un erede maschio, che possa diventare Sindaco.”
“Come siete noiosi!” esclamò improvvisamente Imane avvicinandosi a Veloj e saltando sulle sue ginocchia come una ragazzina:
“Jordan è sveglia? Posso andare a salutarla?”
“Non l’ho ancora vista stamattina, vai pure a chiamarla, dovrebbe essere in piedi da un pezzo”.
Imane sorrise maliziosamente allo zio e si diresse verso la scalinata che conduceva alle terrazze della Sacerdotessa.
Veloj la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulla lunga capigliatura rossa di lei, le ricordava in modo incredibile quella della sua defunta moglie.
“Forse hai ragione Helsa” ammise infine lui “Non c’è altra soluzione”.
Dopo una sola rampa di scale Imane si fermò per riprendere fiato.
Le stanze di sua cugina erano nel padiglione più alto, quello su cui, misteriosamente, cresceva ogni sorta di vegetazione o arbusto.
Da piccole abbiamo giocato su quella terrazza, pensò distrattamente.
“Ed ora è la sua prigione” concluse poi a voce alta con un risolino terribile, ricominciando a salire.
La prima cosa che la colpì fu la luce accecante che penetrava dalle finestre, nonostante il cielo fosse plumbeo ed i Soli coperti entrambi dalle nuvole.
Non ricordava un bagliore simile, sua madre avrebbe detto che Cygni, il loro Creatore, illuminava la sua Prediletta come nessun altro.
Le salì alla gola un rigurgito acido carico di un’invidia molto antica e radicata, aveva sempre detestato il ruolo che ricopriva sua cugina, aveva sempre detestato sua cugina.
“Ed eccola lì, tra i suoi fiori purpurei. Non indossa neanche le calzature’’ pensò non appena l’ebbe avvistata.
Aprì il suo parasole ed uscì all’aperto.
“Jordan, tesoooro!” la chiamò non appena ebbe varcato la soglia del padiglione.
Lei rispose pigramente voltandosi appena verso Imane, ma continuando a tenere gli occhi chiusi.
Sapeva del suo arrivo fin dall’alba, quando si era svegliata in un bagno di sudore ed ansia in preda ad un incubo molto realistico, suo padre che sposava sua cugina.
“Jordan, sono Imane, mi senti?”
Pensò che forse Jordan si era persa in una delle sue estasi mistiche e fosse lontana anni luce da lì,
persa in un limbo riservato agli adoratori di Cygni che lei non conosceva ne voleva conoscere.
Fece qualche passo verso di lei.
Ora poteva notare un altro particolare, i suoi capelli erano bagnati. Sicuramente aveva nuotato nella fontana del palazzo fino a pochi minuti prima, tanto che il suo vestito era ancora zuppo.
Jordan non era molto oculata nel suo consumo idrico, credeva che l’acqua ci sarebbe sempre stata, così come i due Soli e l’azzurra notte di Vaniant.
Finalmente si decise a rispondere al saluto.
“Felice mattinata cugina” disse in un sussurro.
“Felice mattinata Grande Sacerdotessa” rispose lei cercando di mantenere un tono di rispetto.
Non ricordava che fosse anche così spudoratamente bella.
“Perdonami se non mi sono fatta annunciare, avevo paura che dormissi” si scusò Imane.
Jordan sorrise a quella bugia ed un raggio di sole le illuminò una gota. Era dello stesso colore dell’alba nel deserto, quella che lei era riuscita a vedere solo in sogno, da bambina, la notte che sua madre era morta.
Poi, finalmente, dischiuse gli occhi e la guardò.
Il suo sguardo pietrificò il falso sorriso di Imane, sembrava di guardare attraverso un lago ghiacciato.
“Non ho dormito molto a dire il vero. Stavo cercando di meditare visto cosa mi aspetta stasera. C’è anche tua madre, dabbasso?” chiese Jordan, anche se già conosceva la risposta.
“Certamente, sai bene quanto ti è affezionata. Ti manda i suoi saluti e ti augura una splendida Giornata della Grande Cerimonia. Jordan stai tremando per caso?”
Jordan si alzò in piedi, cercando di calmarsi per non dare nell’occhio.
“Mi succede sempre quando prego, non allarmarti” rispose portandosi le mani al petto per tenerle ferme.
Dunque Imane aveva visto giusto, poco prima era entrata nel suo limbo religioso e adesso lei l’aveva costretta ad uscirne. Richiuse il suo ombrello e si avvicinò di un passo ancora.
“Adoro le tue mani. Così delicate, affusolate. Sono perfette!”
“Non dire sciocchezze” tagliò corto Jordan “Cosa ti porta quassù?”
L’altra, per tutta risposta, cominciò a ridere.
“Vuoi dire che non lo sai?”
“Voglio dire che mi sembra strano che tu abbia salito ben 249 gradini solo per venire a darmi il buongiorno!”
Imane sorrise, ma stavolta era un sorriso sincero.
“Non mi dirai che li hai contati?” chiese spavaldamente portandosi le mani sui fianchi.
“Ho il tempo di contare tutte le stelle del nostro cielo visto che sono confinata quassù” rispose guardando in terra, con falsa rassegnazione.
Imane cercò di convogliare il discorso altrove.
“E’ davvero incantevole quassù, possedete la torre più alta di tutta la città. Sai che te l’ho sempre invidiata?”
Jordan pensò che non era solo la torre ad attirare le attenzioni della duchessina.
“Puoi venire a trovarmi quando vuoi, eppure erano mesi che non ti facevi vedere” si lamentò.
Ma l’altra non rispose, si sdraiò invece sull’erba e sospirò.
“Che meraviglia, non si sente neanche una voce quassù. Potrei sicuramente abituarmi a questa calma…”
Le velate insinuazioni di Imane rimanevano nell’aria intorno a Jordan, la quale si spazientì definitivamente ed invitò la cugina ad avviarsi verso casa.
“Tu capisci, vero? Stasera mi aspetta una Cerimonia piuttosto faticosa. Quest’anno c’è stata più siccità del solito e poi, sai, il crollo della cava…”
“Già, il tumulo per Romj, come dimenticarsene…” si alzò spolverandosi il costoso abito con le mani.
Non sembrava che stesse parlando del fratello morto, piuttosto se ne rammaricava come si fa quando si perde una cosa da poco conto.
“Allora a presto mia cara” si accomiatò Imane
“A presto” rispose Jordan.
Poi fece qualche passo e scrutò il cielo, preoccupata.
“Se piovesse sarebbe tutto più facile” pensò tra se.