VIVIENNE LANDGRAAB
Faccio un salto quando il portone alle nostre spalle si chiude da solo.
Carmen e il maggiordomo appaiono sulle scale e iniziano a parlare, spiegando perché siamo chiusi qui dentro e in che modo possiamo uscire.
Questa donna è pazza. Prima la caccia al tesoro, ora ci sequestra per un suo mero capriccio.
All’improvviso appare debole, é debole. Talmente tanto che vacilla e deve aggrapparsi al corrimano. La sento sibilare delle parole in direzione di qualcuno e poi chiede aiuto alla dottoressa Spencer per essere portata all’ospedale. Il maggiordomo le chiede il codice per aprire le porte...
<<Ma che cavolo...?!>> domando ad alta voce quando le luci si spengono improvvisamente. Calano il buio e il silenzio, non so quale dei due mi faccia più paura in questo momento. Sento due tonfi a breve distanza l’uno dall’altro e quando le luci si riaccendono rimango paralizzata: sono lì, in prima fila, e vedo più che bene ciò che ho davanti.
Ci metto un po’ a realizzare ciò che i miei occhi sbarrati stanno vedendo. Sembra tutto finto, sembra una foto del mio libro di anatomia. Carmen è sdraiata a terra, ai piedi delle scale, pallida. Del liquido rosso le esce dalla gola e le macchia il vestito. E’ una scena raccapricciante, il cuore mi batte forte per la paura, vorrei correre via ma i piedi sono inchiodati al pavimento e non riesco a distogliere gli occhi da quella macabra visione. Mi porto le mani alla bocca, come a soffocare un grido di terrore, ma è inutile: dalla mia gola non esce nemmeno un suono.
<<Qualcuno le ha tagliato la gola. Con chi ha cenato Carmen? Di che pesce parlava? Ha accusato altri sintomi?>> La dottoressa Spencer -credo- s’è avvicinata al corpo esangue e ha dato la sua diagnosi, investendo di domande il maggiordomo, che sembrerebbe ancora sotto shock. Il fidanzato di Carmen s’è fatto largo tra la ressa di ospiti accalcati attorno alle scale e ha preso a scuoterlo con violenza per cercare di ottenere delle risposte.
Io non so cosa fare, mi guardo attorno, smarrita, completamente incapace di parlare. Vedo l’orrore dipinto sul volto dei presenti e all’improvviso sento odore di sangue. Non è possibile, lo so bene, è solo una reazione irrazionale ma è più forte di me, sento le forze abbandonarmi mentre un conato mi sale dallo stomaco vuoto. Mi gira la testa vorticosamente. Il cuore ha preso a rimbombarmi nelle orecchie lento, e ora è l’unico rumore che sento; tutto il resto è solo un ronzio lontano. Sto per svenire, me ne rendo conto perché mi è già successo, così cerco di aggrapparmi più veloce che posso alla balaustra delle scale. Mi si appanna la vista finché tutto intorno a me diventa completamente nero, ho paura di svenire e cadere a terra. Chiudo gli occhi e cerco di respirare profondamente ma non è sufficiente. Mi siedo, la schiena appoggiata alle scale. Nel tentativo di rimanere cosciente, mi concentro sul respiro come mi hanno insegnato a lezione e il capogiro lentamente passa, ma non la paura. In un soffio, sussurro: <<E’ tra noi>>. Sarà per il terrore che questa banale considerazione mi suscita o per la sensazione di mancamento appena provata, ma non oso aprire gli occhi. Mi abbraccio le ginocchia e stringo forte. Voglio rimanere seduta, sul fresco pavimento di marmo, aprire gli occhi e scoprire che è tutto solo un incubo.