Darcy Samantha Reaver
Hospital Brookheaven – Gruppo Quattro – Stanza 103
Dopo essermi congedata dal gruppetto della stanza 102, notando con la coda dell’occhio Greta Coli avviarsi per avvertire la dott.ssa Bertinelli, mi avvio, con passo svelto, verso la stanza 103, sperando di riuscir ad occuparmi di ogni possibile problema velocemente, così da tornare da Yuriko.
A pochi centimetri dalla maniglia sento un tonfo, un possibile gorgoglio e delle nuove urla d’aiuto –“Aiutoooo! Qualcuno mi sente?! Aiutatemi!!! Aiutooo!!” – e quest’insieme di cose mi spinge ad aprire velocemente la porta: ma nulla poteva prepararmi a quello che mi ritrovo di fronte.
Il tempo sembra rallentare improvvisamente.
I miei occhi sono immobili sulla figura del paziente 102 o... di quello che era il paziente 102.
La sua pelle cadaverica sembra esser stata grattata via in alcuni punti, gli occhi – “Perché ha ancora degli occhi?” – da quello che vedo sembrano essere dei buchi neri.
E poi del sangue è impiastricciato sul suo viso e sulle labbra... nel notare quest’ultimo particolare mi risveglio dalla sottospecie di catalessi in cui ero caduta ed il tempo prende a scorrere nuovamente.
Nel frattempo la luce si spegne e questa volta per non tornare, attivando così quelle d’emergenza: che non fanno altro che illuminare ancor più sinistramente la situazione.
La signora Atwood è a terra, la sedia rotelle è rovesciata a qualche centimetro da lei – probabilmente il tonfo che ho sentito poco prima –, abbandonata contro il letto, un rivolo di sangue le scende da una tempia.
Noto però che non è l’unico posto in cui vi è: infatti poco più sotto, tra il collo e la spalla, ci sono delle altre macchie e dallo stesso punto intravedo quello che potrebbe essere un morso.
Forse è svenuta o forse...
“Priorità Sam. Pensa alle priorità in questa situazione!”
Mi ripeto in testa, volgendo gli occhi verso la signorina Kirenko che sembra esser pietrificata dalla paura, ma che in questo momento è ancora cosciente ed in salute e potrebbe essere la prossima “vittima”.
“Dannazione! Cosa posso fare? Uno scontro fisico diretto è alquanto avventato e probabilmente non riuscirei neanche a fargli il solletico, però forse riuscirei a distrarlo quel tanto che basta per permettere alla Kirenko di uscire dalla stanza...”
Penso analizzando la stanza, in cerca di una soluzione migliore e meno suicida, facendo sì che i miei occhi si soffermino sulla sedia posta alla sinistra della porta.
Devo improvvisare e velocemente, come se fossi su di un palcoscenico e ci fosse un punto morto da riempire, prima che la platea si annoi.
Solo che in questo caso la mia vita è davvero in prima linea.
“Ora o mai più Sam!”
Mi dico decisa, sporgendomi per afferrare la sedia, trascinandola davanti a me, sperando di aver fatto abbastanza rumore da attirare l’attenzione della creatura - in questo momento è proprio così ai miei occhi - , prima di rivolgermi verso Mila, senza distaccare però gli occhi dal paziente "X".
«Mila! Ascoltami! Prendi la flebo o il cuscino e lanciaglielo contro e corri verso di me! »
La richiamo, utilizzando volontariamente il suo nome, cercando di risvegliarla dalla sua sorta di catalessi, sperando che riesca a muoversi e a seguire le mie istruzione.
Ma se ci riuscisse e però il cuscino o la flebo non dovessero in alcun modo “danneggiare” la creatura, almeno spero riescano a stordirla quel tanto che basta da permettere alla Kirenko di uscire dalla stanza.
Sta di fatto comunque che odio il fatto di dovermi basare su tutte queste “speranze”, invece che a fatti concreti che mi diano il 100% di riuscita, ma non c’è tempo da perdere e bisogna agire velocemente.
Ed essendo una situazione anomala, con un altrettanto soggetto anomalo, non si può mai sapere l’imprevedibilità di quello che può succedere o meno.
Solo sperare che il mio piano, buttato su in quattro e quattr’otto, funzioni.
Con l’orecchio percepisco dei passi avvicinarsi velocemente: forse le urla di Mila e la mia voce hanno richiamato l’attenzione della poliziotta Weasley (Olivia Walsh), che spero abbia sotto mano la sua pistola, nel caso la situazione peggiorasse.
Nel frattempo stringo di più lo schienale della sedia, unica protezione a mio vantaggio, indecisa se spingerla o meno contro di lui.
Ma i miei occhi si soffermano sulla signora Atwood: rischio di ferirla ulteriormente e non sono certa che sia morta e non posso fare questo ad un paziente.
“Prima pensiamo al – paziente 102 – e poi a soccorrere la signora Atwood... sperando che sia viva e che la saliva di lui non l’abbia contagiata con questo stramaledettissimo virus!”
Decido così di non lanciargli addosso la sedia.
Ma se la situazione lo dovesse richiedere non ci penserei due volte a spingere la sedia, cercando di mettere in un angolo o bloccare ogni tentativo di aggressione.
Se dovessi fare una scelta la farò e dopo, quando la situazione si sarà calmata, cercherò di rimettere insieme i pezzi.
Con la coda dell’occhio scorgo una figura avvicinarsi e mi sento sollevata.
Sollievo che svanisce, facendomi sgranare gli occhi, nel sentire il rombo di uno sparo, che mi assorda con un fischio.
“Ma Che Diavolo?!”
*Per la descrizione del morso della signora Atwood ho chiesto alla master, Daniela.