Garret Burglair
Appartamento n°11
Garret.
Che evento: Garret. Quasi non mi riconosco. Sono parole che non sono abituato a sentire pronunciate dagli altri, piuttosto che dall'imbizzarrita Priora che vive ancora da qualche parte nel mio cervello, pronta a rimproverarmi come quando mettevo i gomiti sulla tavola da bambino. Tutt'altra cosa rispetto alla voci nei miei ricordi.
"...Garret!"
Dopo tanto tempo, per la prima volta finalmente sento qualcuno chiamarmi col mio nome, anche se il tono è lo stesso che si userebbe per mandare il tuo prossimo al diavolo piuttosto che (ri)minacciarlo. Per l'ennesima volta, aggiungerei, mentre faccio un passo oltre la porta del bagno, e sempre seguito da un'intonazione dotata dello stesso punto esclamativo usato da Viktoria, quello stesso che mi diverte tanto nel sentire la sua voce. La mia arzilla compagna - di cui ho il discutibile piacere di conoscere il nome - al momento è appostata alle mie spalle e, dopo avermi stilettato con la frase più arguta di sempre, mi ha ricambiato l'antifona: lei aspetta per il suo esperimento, impaziente, mentre io faccio un giro di ricognizione a vedere cosa potrebbe servirci - cosa che mi pare d'aver capito dalle sue parole sia totalmente inutile e superflua. Ma d'altronde cosa mi potevo aspettare da una ragazza che tira calci alle porte aperte? Avrei dovuto arrivarci prima anch'io.
In fondo, anche McGyver restava incompreso fino alla prima metà delle puntate del telefilm, dove il suo indaffararsi tra forcine, pinzette e mollette sembrava uno scherzo di cattivo gusto.
Fino a quando non riusciva a creare una bomba termonucleare con una cannuccia, beninteso.
L'unica consolazione che mi è rimasta è trovare un bagno del genere in un appartamento del genere: data l'assenza della cucina, devo ammettere la mia sorpresa di fronte a sanitari perfettamente normali ed europei, con l'unica nota dolente nell'assenza del bidet che, ahimè, si trova solo nell'area mediterranea del nostro caro e vecchio mondo - precisamente, nei dintorni di Spagna, Italia e Germania, tralasciando la Francia dove sembra che questo elemento fondamentale della pulizia ordinaria sia un mero optional.
In compenso, ci sono due lavelli che dovrebbero essere di dubbio gusto perfino per un giapponese amante delle caramelle al tonno e al wasabi. Tsukihime aveva certamente l'occhio per l'arte, ma quando a cromatismi avrebbe dovuto andare da un buon oculista e presentare le carte per un principio di daltonismo: andiamo, un bagno azzurro, sanitari bianchi splendenti... e ci piazzi dei lavelli grigi? I miei occhi rimproverano questa scelta con come unico motivo il latente disgusto che mi sta sorgendo a restare in quest'abitazione che, fortunatamente, sembra comunque ben provvista.
Niente detersivi in bella vista, purtroppo per me, ma solo una misera scatola di salviettine che comunque potrebbe tornare comoda. La intasco come il portatile, eliminando il sovrappiù della scatola di cartone per infilare i fazzolettini in una delle tante tasche a mia disposizione.
C'è altro di interessante, che non siano un water aperto in bella vista nella penombra e una vasca da bagno che potrebbe fare anche il caffè, a guardare da vicino marca e qualità. Gli armadietti delle medicine sono una risorsa fondamentale per ogni situazione e qui dentro ce ne sono ben due - cosa che mi fa pensare, dal momento, parlando di statistiche, una persona sana e non ipocondriaca tiene in media si e no quindici scatole di farmaci generici e quattro o cinque di specialistici tra antiemetici e antidolorifici. Cos'aveva il giapponese per preoccuparsi tanto della propria salute?
Un sorriso mi si allunga sulle labbra, mentre mi avvicino a guardare meglio l'armadietto meno distante dalla mia posizione, esattamente sopra lo scarico.
In realtà poco m'importa, purchè qualcosa ci sia.
Sarebbe tanto sperare nel Diazepam, ma qualsiasi cosa andrebbe bene. Ovatta, siringhe, cerotti, bende, pomate e medicine varie... qualsiasi flacone, vista l'eventualità, potrebbe fare la differenza tra la vita e una miserevole fine che voglio evitare a tutti i costi: non sarò un medico, ma un'intramuscolo credo ancora di poterla fare. Un'endovena, quello si che sarebbe un problema, ma non vedo il motivo di preoccuparsi ora, mentre il problema non sussiste. Meglio pensare a fare scorta, e se poi di farmaci ce ne saranno abbastanza, non è detto non possa anabolizzare anche la mia nuova "alleata", finchè mi conviene.
Facendo attenzione ai rumori, apro piano le ante di vetro smerigliato che mi nascondono nascondono alla vista confezioni e targhette.
Intasco tutto quello che trovo e che non sia chiaramente scaduto, già utilizzato o inutilizzabile, prima di voltarmi verso il secondo armadietto e passare alla seconda raccolta.
Questo bagno dopotutto presenta qualcosa di interessante, oltre alle salviettine. Se non avessi ascoltato il mio istinto, prima di passare al fantasioso esperimento della ragazza, avrei fatto una cattiva scelta, così come sarebbe errata quella di lasciare tutto quel ben di dio nel salotto. Se solo non ci fosse l'inconveniente-mostro, ovviamente.
Anche stavolta mi rifornisco di tutto ciò che trovo e che posso prendere, anche se mi lascia perplesso il fatto di non aver ancora trovato una sola traccia dell'agenda che cerco - la cosa che qua dentro ha maggior valore per me, nonostante i quadri e la fornitura che farebbero la fortuna di un uomo qualsiasi. Arrendermi al fatto di non averla trovata è fuori discussione, dev'essere da qualche parte. Ma prima, le medicine.
Finisco di chiudermi la giacca, che nonostante il portatile non è ancora troppo pesante da essere portata, e con ben poca fretta mi avvio di nuovo alla porta principale, chiudendomi alle spalle prima quella del bagno e poi, dopo un'attenta occhiata, anche quella della camera. Non prima di aver dato un lungo sguardo in cerca anche solo di un segnale, un minuscolo, piccolo indizio su dove sia quell'ammasso maledetto di carta e inchiostro che mi ha condotto in questo infimo pasticcio. Se lo vedo lo prendo, su questo non c'è dubbio - dovessi far aspettare la ragazza un'eternità o più.
Con un gesto nervoso e un duro raspare di gola, alzando le sopracciglia, torno infine da Viktoria. In un lieve cenno di nervosismo mi torco il polso, toccando e risistemando la giacca e i guanti nel tentativo di distrarmi dai quadri alle pareti che sicuramente valgono, ma non tanto quanto una fuga sicura e veloce da qui.
Temo di sapere già cosa vuole fare, vedendola con quel portapenne in mano. E temo anche non si renda esattamente conto del tipo di errore che sta per fare, e che non ne abbia considerate le conseguenze.
Spero tu abbia bene in mente cosa fare con quello.
Le parlo a voce bassa, con un sussurro rauco e incolore. Indico il portapenne con un cenno.
Ti copro.
Qualsiasi cosa lei decida di fare, cercherò di supportarla. Il mio bene, il suo bene - fino ad un certo punto.
Se però deciderà di attentare alla mia vita con una delle sue idiozie, spero sappia che il suo posto sarà fuori dalla porta.
E ce la voglio vedere poi, a bulleggiare col nostro amichetto comune.