Prologo
<<Non dimenticare queste…potrebbero esserti utili in metropolitana>> disse mia madre, porgendomi una confezione extra di salviettine igienizzanti, di quelle per neonati ovviamente.
Avrei voluto risponderle, farle notare che stavo andando a New York, in pieno centro, non in una periferia disagiata di qualche grande metropoli, ma lasciai correre notando il suo sguardo preoccupato.
Mi limitai a sorriderle, infilai le salviettine nello zaino e tornai a concentrarmi sulla valigia. Mia madre riusciva a farmi sempre una profonda tenerezza, pensai.
Finalmente era arrivato il momento. L’indomani avrei preso il primo aereo per New York, dove mi attendeva un nuovo lavoro e la tanto agognata indipendenza.
Avevo sempre sognato quel momento, il momento in cui avrei lasciato il mio paese. La mentalità chiusa, la propensione al pettegolezzo, le scarse prospettive lavorative, tutto lì mi stava stretto.
Al College ero stata fortunata, dato che avevo scelto un corso di studi , quello in Economia e Sostenibilità Ambientale, che non solo mi affascinava molto ma era anche il più lontano da casa. Ma solo adesso, con un contratto in mano, potevo dire di essere finalmente riuscita nel mio intento di allontanarmi definitivamente.
E non un contratto qualsiasi. Quando mi laureai col massimo dei voti, sapevo infatti che c’era solo un posto all'altezza delle mie aspettative: la LifeGreen, azienda leader nel settore degli investimenti in progetti eco-sostenibili oltreoceano, dove lavorava Karen Foster, figlia unica del fondatore dell’azienda.
Karen aveva tenuto una conferenza al College, durante il mio ultimo anno. Ci aveva raccontato della sua carriera, del suo primo progetto in Russia che aveva garantito fama e profitti all’azienda di famiglia, del suo volersi affermare indipendentemente dal cognome di suo padre, e mi aveva totalmente affascinata. La sua grinta, la sua determinazione, era una donna ambiziosa e padrona della sua vita e io volevo essere esattamente come lei.
Inoltre la LifeGreen era quanto di meglio potessi aspirare, considerato il mio percorso di studi. Si basava essenzialmente su un gruppo di persone, tra cui Karen, che realizzavano su carta dei progetti da presentare al cliente di turno (in genere imprenditori o comunque persone benestanti) che sceglievano se finanziare o meno la realizzazione materiale del progetto.
Questi progetti erano ovviamente legati alla sostenibilità ambientale ed al risparmio energetico, come si poteva intuire anche dal nome dell’azienda.
Fortunatamente il mio ottimo curriculum universitario, unito alla lettera di referenze del professore con cui avevo sostenuto la tesi il quale aveva collaborato con la LifeGreen, mi valsero un colloquio e la successiva offerta di lavoro proprio come assistente di Karen. Incredibilmente ce l’avevo fatta!
La valigia era pronta. Probabilmente superava, e di molto, il limite di peso consentito in aereo, ma non potevo rinunciare assolutamente a nessuna delle cose che avevo messo al suo interno. Eventualmente avrei imbarcato il bagaglio e pagato qualche sovrattassa, pazienza.
<<Ancora…sono due ore che prepari la valigia! >> s’intromise mio padre, appena entrato nella stanza.
Io e mio padre non avevamo mai avuto chissà quale rapporto.
Lui desiderava un figlio maschio che continuasse l’attività di famiglia, un’azienda agricola di piccole dimensioni. Ed invece ero nata io.
Una bimba, che fin da subito si era interessata più ai libri che alla terra, dalla salute cagionevole e quindi impossibilitata il più delle volte a seguirlo nelle sue attività.
I miei discorsi sulla sostenibilità ambientale, sulle energie rinnovabili, per lui erano sempre state stupidaggini, perdite di tempo. Sicuramente non argomenti che mi avrebbero garantito un buon lavoro, a suo dire. Non aveva mai accettato o condiviso le mie scelte, fermo com’era sulle sue convinzioni.
Questo lavoro era quindi anche la mia piccola rivincita. Gli stavo dimostrando finalmente che si sbagliava.
Scelte accademiche a parte, da quello che ricordavo della mia infanzia era sempre stato freddo e distaccato. Mai un abbraccio, mai un bacio, mai un complimento.
Io, desiderosa delle sue attenzioni, avevo sempre cercato di compiacerlo. Ero brava a scuola, aiutavo in casa, non mi lasciavo distrarre dalle “cavolate da donne” come abiti e cosmetici. Ma i miei tentativi erano stati sempre vani e con gli anni avevo rinunciato.
Neanche quando mi laureai riuscii a strappargli un “Sono fiero di te”. Pazienza.
Lo guardai e annuii svogliatamente, poi, ignorandolo, guardai mia madre e cercai di rassicurarla.
<<Mamma, stai tranquilla ti prego. Andrà tutto bene e New York è una bella città non un covo di malviventi. Poi lo sai, non sarò da sola, vado a stare da Britt>>
Brittany, la mia migliore amica, era di New York. La conobbi il primo giorno di College. Era esattamente il mio opposto. Io seria, studiosa, ordinata quasi ai limiti del maniacale. Lei sfrenata, disordinata cronica, fissata con lo shopping e con tutto ciò che avesse a che fare con l’estetica.
Si era iscritta al College solo per far contenti i suoi genitori. Suo padre era un avvocato, come suo nonno e probabilmente mezzo ramo della sua famiglia. Lei aveva optato per Economia e Gestione d’impresa, sperando che lo sforzo per accontentare i suoi genitori le tornasse utile per aprire l’attività dei suoi sogni, un centro estetico. Ma l’università non le andava proprio giù, soprattutto considerato che aveva con i libri lo stesso rapporto che io avevo con la ceretta all’inguine.
Il caso volle che ci ritrovassimo a condividere la stanza, cosa che inizialmente mi lasciò alquanto contrariata, ma che ben presto si rivelò una vera manna dal cielo.
Io infatti, a causa dell’influenza di mio padre, avevo con gli anni scelto un look sempre più trasandato e da maschiaccio. Britt mi guardò con disgusto quando entrai la prima volta nella nostra stanza, e capì che la sua missione in quegli anni sarebbe stata trasformarmi da brutto anatroccolo in cigno.
Facemmo quindi un accordo: io l’avrei aiutata a studiare, solo l’indispensabile per conseguire la laurea col minimo sindacale, e lei mi avrebbe insegnato i segreti della cura estetica.
Così, tra un principio di contabilità ed uno smalto semipermanente, passarono gli anni di College.
Lei si laureò in tempo, con immensa gioia dei suoi genitori, mentre io ritirai la mia laurea con lode con capelli lucenti e un trucco perfetto. Ma soprattutto con maggiore sicurezza in me stessa e finalmente libera del peso schiacciante dell’opinione di mio padre.
A New York sarei andata a vivere da lei, almeno inizialmente. Lei era in viaggio, per un corso di Nail Art Alternativa tenuto in qualche parte sperduta del globo terrestre di cui non ricordavo il nome. Ne era venuta a conoscenza tramite una ragazza ad una seduta di Yoga ed erano partite insieme per quest’avventura, che più che un corso a me sembrava una vera e propria vacanza. Tuttavia lei si ostinava a dire che stava andando solo per accrescere il proprio bagaglio professionale, in vista dell’apertura del fantomatico centro estetico.
In ogni caso, dato che era via, avrei potuto occupare casa sua per almeno sei mesi, fino al suo rientro, e nel frattempo cercare una sistemazione definitiva. Il suo appartamento era troppo piccolo per viverci entrambe stabilmente e forse era meglio così, volevo i miei spazi. Ero sicura che presto avrei trovato una casa tutta mia.
L’unica condizione di Britt era che in sua assenza mi occupassi di Chanel, la sua gatta, che al momento era dalla vecchietta che abitava nell’appartamento di fronte.
Adoravo i gatti, quindi non sarebbe stato un problema.
Fortunatamente il momento della partenza arrivò presto. I miei, per lo più mia madre, insistettero per accompagnarmi all’aeroporto e già me la immaginavo in lacrime a salutarmi con tanto di fazzoletto bianco svolazzante. Il viaggio in macchina, in cui entrambi furono taciturni e non dissero una parola, non preannunciava nulla di buono.
Arrivammo con largo anticipo, feci la fila per il check in e sbrigai velocemente tutto il necessario.