Kabir strinse i denti. Si impose di non avere paura, doveva fare qualcosa per dare il tempo a Malia di recuperare Syrio e la spada e proteggere Saana … Si accorse che Terhim non lo stava guardando, poi udì la voce di Saana, solo che lei non gli stava parlando.
‘Il fuoco, ecco qual è il suo punto debole. Terhim può essere sconfitto soltanto col fuoco. Fa’ un passo indietro.’
Kabir indietreggiò e Saana innalzò una barriera di fuoco prima che il mago se ne rendesse conto e potesse contrattaccare. I due corsero verso Malia che aveva ingaggiato una lotto furibonda contro l’altro guerriero.
“Dobbiamo disarmarlo! Presto.” – e le due fate unirono le loro forze contro la figura mostruosa, colpendola più volte da entrambe le direzioni senza lasciarle il tempo di contrattaccare.
Kabir non poteva far altro che osservare la scena sperando che le due riuscissero a tornare il possesso della preziosa arma, e non si rese conto che Terhim era riuscito a disfarsi della barriera e puntava su di lui come un falco.
“Adesso è il tuo turno, moccioso!”
“Kabir, attento!” – Saana urlò così forte che persino il guerriero dall’armatura spaventosa guardò nella direzione del ragazzo e, prima che Kabir potesse decidere cosa fare per sopravvivere all’attacco, scattò fulmineo verso di lui e lo protesse col suo corpo. La violenza del colpo fu tale che entrambi furono scagliati contro la parete alle loro spalle.
“Nooooo” – fu tutto quello che udì prima di perdere i sensi.
Terhim adesso sghignazzava, aveva messo fuori combattimento il ragazzino e il gigante, la Fiamma del Drago era inerte, nessuno che potesse brandirla. Stava degustando la sua vittoria: gli restava da far fuori soltanto le due fate, ma, ne era certo, non sarebbe stato affatto un problema. Avanzò verso Saana, Malia era scivolata sul pavimento per stringere tra le braccia il suo amato. Sorrideva beffardo il mago, niente e nessuno ormai avrebbe potuto fermarlo, il cavaliere, chiunque fosse, giaceva a terra, privo di vita: la fiamma del Drago era inutile senza il suo campione.
Saana provò a respingerlo, ma lui fu più veloce e riuscì a colpirla di striscio,mentre le lacrime, copiose le oscuravano la vista.
Ma quando si apprestò a darle il colpo di grazia restò immobile con gli occhi spalancati, vuoti: senza vita. La lama della fiamma del Drago sbucò dal suo sterno, bruciando la carne intorno e le vesti, poi sparì con un rumore secco. Il corpo di Terhim cadde a faccia in giù con un tonfo sordo, poi prese fuoco piano e infine fu inghiottito dalle fiamme finendo per ridursi in cenere senza riuscire ad emettere nessun suono.
Kabir cadde a terra rovinosamente e, dopo un attimo di smarrimento, prese a singhiozzare forte. Una mano pallida e tremante si posò sulla sua.
“E’ finita” – gli disse.
“Sei viva.” – disse tirando su col naso – “Accidenti e io che pensavo di essermi liberato di te una volta per tutte.”
Malia si era accasciata anche lei, stremata, sul corpo immobile del suo amato, il quale proprio in quell’istante fece un sussulto ed aprì gli occhi: le rivolse un sorriso amaro, tinto di sofferenza e la strinse a sé più forte.
Quando Kalos giunse trafelato il cuore gli batteva all’impazzata, aveva paura di quello che avrebbe potuto vedere, ma il desiderio di sapere era più forte di qualunque angoscia. Quando però si rese davvero conto di quello che era accaduto fu devastato ancora di più di quello che aveva temuto, anche perché nemmeno se qualcuno gliel’avesse raccontato ci avrebbe mai creduto …
“Kerubin”
Kabir voltò lo sguardo nella stessa direzione di quello di Kalos, speranzoso di poter riabbracciare finalmente suo fratello, ma quando si accorse di quello che stava guardando, lanciò un urlo straziato e si precipitò verso il corpo dell’essere che lo aveva protetto. Non se n’era accorto, non si era reso conto, quando si era liberato dal peso di quel cavaliere ingombrante, ma adesso ... l’elmo si era sfilato nell’impatto e, anche se i tratti somatici erano stati mutati dalla magia o da chi sa cosa, non c’erano dubbi: quell’essere era Kerubin ed era lì, steso a terra, perché si era lanciato a proteggerlo, incurante del pericolo.
“No, come può essere? Non può essere, non può essere.” - singhiozzando continuò a stringerlo a sé e a scuoterlo, nel vano tentativo di risvegliarlo, che tutto si rivelasse un terribile sbaglio, ma lo sguardo arrossato e umido di suo padre lo riportò alla dura realtà.
Continuando a tremare, cinse il fratello con le proprie braccia. Lo sostenne e lo adagiò a terra. Si guardò attorno, smarrito e impaurito. Ogni forma di aiuto era impossibile, persino la magia era inutile. Avrebbe voluto dirgli quanto era stato ottuso e stupido, avventato e testardo, in passato, ma, sopra ogni cosa, avrebbe voluto dirgli quanto lo amava. Il dolore gli straziava il petto e non riuscì a proferire nessun’altra parola. Riusciva solo ad abbracciarlo, come lo abbracciava nelle notti in cui era solo un bambino.
Pianse lacrime amare ripensando ad ogni singolo momento in cui lo aveva allontanato, ferito, tradito, poi lo sguardo cadde sulle sue mani sporche di sangue e una triste verità si palesò nella sua mente, annebbiata dal dolore e dal senso di colpa: ormai, non erano più bambini ed era tutto, davvero finito.
Silenzio e una confortevole sensazione di calore.
Arya aprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte: dove si trovava? Per un attimo provò quella sensazione di smarrimento che assale quando i sensi non riconoscono ciò che li circonda. Si rese conto di essere distesa su qualcosa di morbido, pulito e profumato: un letto caldo, come non ne vedeva da un po’, ormai. Aveva quasi dimenticato quanto poteva essere piacevole quella sensazioni, ma allora perché avvertiva i residui di ciò che sembrava essere una strana angoscia? Aveva sognato? Era stata preda di un incubo? Lo era ancora? Si sollevò sui gomiti a fatica, i muscoli erano ancora sopraffatti dal lungo sonno che l’aveva colpita, fu allora che lo vide. Era in piedi, immobile davanti a lei, la mano destra stringeva saldamente un bastone e un sorriso a denti stretti gli comparve sul viso, stanco e tirato.
Si avvicinò piano zoppicando e le porse la mano libera, lei la toccò delicatamente: era ruvida e segnata dagli eventi. Lo tirò a sè tremante e i due finalmente si sciolsero in un caldo e sospirato lungo abbraccio. Lui la guardò intensamente, non sembrava felice, avrebbe preferito che le cose fossero andate diversamente.
Si alzò e andò adagio verso la finestra: le nuvole si stavano allontanando spazzate via dalla brezza leggera e il sole faceva timidamente capolino tra le cime delle montagna.
Stava nascendo un altro giorno, nonostante tutto.