“E’ stata colpa mia, Madame. Sono stata io a voler fare una corsa nel parco”
Madame De Poggi arricciò il labbro con aria schifata, come se si fosse in quel momento trovata di fronte due, tra i peggiori rifiuti dell’umanità.
Era la sua specialità quella di tentare di dominare la personalità delle allieve (e di sua figlia) servendosi di quelle espressioni di disprezzo, ma con Brunaldine non aveva mai avuto vita facile, così come non l’aveva avuta con le sue due sorelle, le gemelle, di cui aveva curato l’educazione prima di lei.
Nenette l’aveva soprannominata “Madame Cactus” e mai soprannome era stato più azzeccato, perché comunque facevi, lei riusciva a pungerti sempre.
Eleonora tremava ed ansimava sotto gli strali materni, e Madame De Poggi, fiera del suo risultato, infierì senza pietà:
“Vai a lavarti ed a mettere un vestito pulito, e fallo in fretta” la sua voce gelida, fece sì che la figlia corresse via spaventata.
Poi l’istitutrice mise in campo il medesimo sguardo, per rivolgersi alla sua alleva:
“Principessina, mi dispiace ma sarò costretta ad informare del vostro comportamento la contessa De Marsenne.”
“Si, Madame” si limitò a rispondere lei, con un sospiro di insofferenza prima di voltarsi sui tacchi, e raggiungere velocemente il suo studiolo
Qui, aprì il cassetto segreto del piccolo scrittoio in legno di rosa, ricordo della nonna Isabelle, e dopo aver velocemente tolto dal collo la catenella che reggeva le due piccole chiavi, la fece scivolare nel vano insieme alla pergamena stropicciata, prima di richiedere il cassetto con uno scatto. Aveva bisogno di calma per poter pensare, e quello non era il momento.
Poi, con l’aiuto della signora Steffenard, la più anziana delle sue cameriere, che si occupava di lei fin da quando era nata, si lavò e si pettinò e poco meno di mezz’ora dopo entrava nel salotto di sua madre.
Se c’era al mondo qualcuno che Brunaldine detestava, questa era proprio Elizaveta Mavrikievna Vasilickova, e non fu certamente felice di trovarla li'.
La imponente e vistosa signora, moglie del Rappresentante della Casa Regnante in Parlamento, Bolthizar Estheraczsy, migliore amico e compagno di cacce di suo padre, era markassese di nascita, apparteneva alla più alta nobiltà di quel lontano paese, nonché era cugina dell’imperatrice Alicia.
Tutte queste cose messe insieme, facevano sì che fosse ricevuta a corte con il più grande rispetto, nonostante ostentasse modi abbastanza grossolani, e non facesse altro che ricordare a chiunque, quanto i markassesi fossero superiori, per civiltà e cultura, a tutti gli altri abitanti del mondo emerso.
Brunaldine non ne era proprio del tutto convinta, almeno conoscendo lei, con quel suo vezzo di essere chiamata, alla moda del suo paese, con il nome ed il patronimico, invece che con il titolo nobiliare, in palese violazione dell’etichetta della corte di Wein.
Osservò, il suo abbigliamento, decisamente poco consono ad un the pomeridiano nel salotto di sua madre, e idoneo piuttosto, ad una festa agreste in un villaggio cosacco.
Fu a malincuore, ma nel rispetto della buona educazione, che però fece la sua bella riverenza di fronte alla signora markassese, che la ringraziò con un sorriso di ammirazione:
“cara Aurore, la nostra Brunaldine sta diventando sempre più bella. Proprio nei giorni scorsi l’imperatrice mi ha chiesto sue notizie, ed anche Volodia è ormai incantato da lei, mi diceva proprio prima di partire per le manovre, che…”
Sullo sfondo della stanza, Mathilde De Jaulle, una delle damigelle d’onore, soffocò una risatina, guadagnandosi uno sguardo severo da parte di M.me De Marsenne, che la riportò subito alla compostezza…