Anno CDLXXXVI (486) D.D.
I Mese del sole
I giorno di Saturno
Cammina ormai da ore per le strade della sua città, il Lord delle Tempeste.
Il battito del suo cuore, veloce, irregolare, è l’unico suono che gli fa compagnia: Capo Tempesta sta dormendo, cullata dall’oscurità della notte, e con lei i suoi abitanti. Si è assicurato di non essere seguito da nessuno, approfittando della stanchezza dei soldati dopo la grande festa della sera prima, e ora attraversa la piazza del mercato, ancora invasa dagli odori del giorno degli Dei, poi la via principale, con i calessi dei mercanti sul lato della strada, e infine raggiunge la sua meta: un piccolo vicolo, buio e stretto, nascondiglio perfetto per chi non vuole rivelare al mondo la propria presenza. Parsival si guarda intorno, sfruttando la flebile luce delle fiaccole, alla ricerca dell’uomo che dovrebbe incontrare. Un spettro del passato, incarnazione del mistero perpetuo che lo ha accompagnato per vent’anni e a cui non ha mai saputo dare una risposta. Ma forse, finalmente, è giunto il momento della resa dei conti.
<<Parsival>>, basta la sua voce a scatenare un insieme di reazioni: prima di tutto un brivido di freddo, che gli attraversa la schiena e raggiunge la base del capo, quasi come se fosse stato colpito da una morsa di ghiaccio; poi ansia, malessere, paura, che si fondono e gli opprimono il petto, contribuendo ad acuire quel perenne peso con cui si è rassegnato di dover spendere il resto della sua vita; infine, risentimento. Un risentimento forse non giustificato, ma che lo porta a stringere i denti e a doversi calmare in pochi secondi prima di potersi girare, per affrontare faccia a faccia colui che un tempo era il suo maestro. <<Grazie per essere venuto>>, non si sforza nemmeno di essere cordiale, sa che non ci riuscirebbe, e non è neanche sicuro che la situazione lo richieda. Ripensandoci, si pente anche di averlo ringraziato: è lui che gli sta facendo un favore, alla fine dei conti. È lui che ha bisogno delle sue informazioni. Ed è lui, gli Dei lo sanno, che ha commesso quell’errore madornale vent’anni fa. Questo si ripete da mesi, il Lord delle Tempeste, e vorrebbe poterlo credere davvero: convivere con la responsabilità della rovina della propria famiglia è più di quanto possa sopportare.
<<Non pensavo che il messaggio ti sarebbe arrivato. Ma dovevo provare… sapevo che tutto il rumore causato dalla morte di mio figlio ti avrebbe attirato a Capo Tempesta e diffondere la voce che l’omicidio poteva essere collegato a quello di mio padre è stato facile. Solo così saresti stato convinto a rimanere per qualche giorno… ovvero tutto il tempo che mi serviva per trovarti e farti recapitare la lettera>>. Ripete cose di cui Alexius, probabilmente, è già a conoscenza, ma Parsival sente il bisogno di demolire questo muro di ghiaccio che si è creato tra loro due. Non riesce a leggere il suo viso, celato dal buio e da un pesante cappuccio, e sente di trovarsi di fronte a un totale estraneo. Il che, a onor del vero, non è nemmeno così troppo lontano dalla realtà. <<Come ti ho anticipato nella lett… fermo, cosa stai facendo?>>, il Signore del Tuono indietreggia, seguendo il suo istinto, quando vede l’uomo avvicinarsi e allungare una mano, come se volesse afferrargli il braccio. Cerca il suo sguardo, ricacciando indietro il ricordo dei suoi occhi completamente bianchi e vuoti, ma non vi legge del rancore: solo… sorpresa. La stessa che prova anche lui quando realizza che il suo maestro non è minimamente invecchiato. <<Vuoi davvero parlare in questo vicolo angusto?>>, gli chiede, e prima che possa ricevere una risposta tocca la spalla di Parsival e chiude le palpebre, come per concentrarsi.
È questione di pochi istanti: la strada, gli edifici e l’oscurità scompaiono nell’etere, che poi prende la forma di… di qualcosa di meraviglioso. Il lord non riuscirebbe a descrivere in altro modo ciò che lo circonda: la natura incontaminata, con arbusti e alberi di ogni colore, si stende per chilometri e chilometri per poi perdersi nell’orizzonte. Completamente rapito, Parsival si guarda intorno e nota solo in quel momento che dietro lui e Alexius vi sono delle rovine, apparentemente molto antiche ma ben conservate, invase anch’esse dalla vegetazione. <<Dove siamo?>>, la domanda è lecita, e l’uomo incappucciato gli sorride, come se avesse la risposta pronta da tempo immemore. Vi è, però, una punta di tristezza nel suo sguardo. <<Un tempo qui sorgeva la città di Ankaria. Ci troviamo… lontano da Dohaeris. Molto lontano>>. Ora anche Alexius sta guardando l’orizzonte, ma Parsival ha l’impressione che davanti i suoi occhi vi sia molto di più. <<Era una delle meraviglie del mondo antico, con i suoi edifici bianchi come l’avorio, i monumenti, le strade lastricate di marmo… qua, precisamente, sorgeva il tempio principale. Queste sono le sue rovine, le uniche che hanno resistito alla crudeltà del tempo, anche grazie alla mia manutenzione>>. Vorrebbe dire qualcosa, il Lord delle Tempeste, ma non riesce neanche ad aprire la bocca. Non è sicuro di quello che stia succedendo, o se stia effettivamente succedendo, perché sì, sospetta che potrebbe trattarsi di un sogno; eppure sembra tutto così vero, così reale. Assurdo, ma reale. <<Sono nato e cresciuto qui, nel tempio>>.
A queste parole, Parsival strabuzza gli occhi e cerca il viso di Alexius. <<Cosa?>>. Ha capito male, è ovvio: l’uomo ha parlato di rovine, di un’antica città e di un mondo che ormai non esiste più. Non è possibile che sia nato, né tantomeno cresciuto, in questo tempio. Certo, non è invecchiato rispetto a vent’anni fa… ma no, sicuramente vi è una spiegazione logica. Anche stavolta, però, Alexius sembra avere la risposta pronta e sorride al suo pupillo, come se si trovassero nuovamente nella biblioteca di Castello del Tuono e fossero impegnati con una delle loro vecchie lezioni. Come se non fossero passati vent’anni. Come se il sangue non avesse mai sporcato la loro vita. <<Ho molti più anni di quelli che dimostro, Parsival. Ho perso il conto… ma quando è nata la vostra Deirdre dell’Ovest avevo già visto fin troppi tramonti>>. Anche questa confessione viene accolta col silenzio. L’Urthadar continua a non proferire parola, ma non osa distogliere lo sguardo dal volto dell’uomo che si trova davanti. Migliaia di dubbi gli affollano la mente, dubbi su Alexius, su questo luogo, sul passato. Sono questi ultimi ad avere la meglio, e finalmente il Signore del Tuono si ridesta dal suo torpore: questa, se ne sta rendendo conto solo ora, è la sua occasione. L’occasione per dare un significato all’incubo di 22 anni fa, quell’incubo che non ha mai smesso di tormentarlo, che ha cambiato la sua vita per sempre. Quell’incubo che gli ha portato via un padre, un figlio, e un fratello.
<<Anche il mostro con gli occhi rossi è antico, vero? Ti conosceva>>, una domanda che nasconde un’altra domanda; il vero messaggio rimane nascosto tra le righe, ma Alexius lo recepisce forte e chiaro: è giunto il momento, raccontami tutto. <<Xerneas era… mio fratello>>. L’uomo incappucciato fa cenno all’Urthadar di seguirlo, e Parsival esegue il comando: il duo entra nelle rovine e si sposta davanti a un muro bianco, su cui il lord nota delle scritte incise che da lontano non aveva modo di vedere. O almeno, ipotizza che siano scritte, perché in realtà si tratta di simboli a lui sconosciuti, posti uno dopo l’altro, come se formassero delle parole. In totale, crede ve ne siano sette. <<Questo era il mio nome>>, Alexius indica una delle sette parole, precisamente la penultima a partire dall’alto. <<È scritto nella lingua che si parlava in questa regione. Si pronuncia Yvetal. Sotto, invece, vi è scritto Xerneas>>. Parsival non potrebbe mai dimenticare quel nome. <<Il mostro>>. Alexius annuisce. Non vuole, e non può, correggerlo: ha perso suo fratello tanti, tanti anni fa. Ciò che ne rimane è solo un male da estirpare. <<Come ha fatto ad assumere le sembianze di mio padre?>>. Un’altra domanda che, dopo tutto quel tempo, Alexius lo sa, merita una risposta. <<Per risponderti temo di dover partire dal principio>>, indica nuovamente le sette parole che, ormai è chiaro, corrispondono a sette nomi.
<<Oltre al mio e a quello di Xerneas, su questa parete sono scritti i nomi dei nostri fratelli. La nostra famiglia, di generazione in generazione, aveva sempre avuto l’onore di occuparsi del tempio, per questo io sono cresciuto qui. Nella nostra società non vi erano figure come i vostri septon, le uniche autorità religiose eravamo noi. Il nostro pantheon era composto da sette dèi, tutti maschi, e tradizione voleva che ogni primogenito della famiglia, il primo di sette fratelli, avesse a sua volta sette figli, tutti maschi. Non credo sia necessario specificare cosa accadeva nel caso nascesse una femmina>>. Ad Alexius basta uno sguardo per capire che può proseguire con il suo racconto. <<Già molti anni prima della mia nascita, il potere della mia famiglia aveva cominciato a rivaleggiare con quello dei re di Ankaria, fino ad allora la massima autorità politica. Mio padre, però, non era assolutamente intenzionato a impegnarsi in una guerra per il controllo della città: era un uomo di fede, dedito alla sua missione, e non desiderava il trono. Ma mio fratello Cobalion era di tutt’altro avviso>>. Il dito dell’uomo si sposta sul primo nome dell’elenco: è scritto con dei caratteri leggermente più grandi degli altri, e all’interno delle incisioni vi sono residui di un metallo bianco, che brilla al sole. <<Cobalion era il primogenito della mia generazione, e una volta morto mio padre avrebbe avuto tutto il tempo per combattere un’insulsa guerra e vincere il trono di Ankaria. Probabilmente lo avrei aiutato anche io, non avrei mai osato voltare le spalle alla mia famiglia. Ma Cobalion… non era sano. Parlava spesso da solo, o con gli dèi, spesso aveva delle vere e proprie crisi. Ma nonostante questo era anche incredibilmente carismatico>>. Parsival, ormai, pende dalle labbra del suo interlocutore. Sa che sta per ottenere le risposte che cerca da sempre.
<<Tentò di convincerci che era giunto il momento di prendere il posto che meritavamo di diritto a fianco dei nostri dèi. Niente più re a cui rispondere, niente più leggi umane da rispettare. “Ci agitiamo nelle nostre gabbie. Ci perdiamo nei sogni di gloria. È giunto il momento di sfidare i nostri padri e di spezzare le nostre catene”. Non dimenticherò mai queste parole… parole che riuscirono a convincere i miei fratelli>>. L’Urthadar comincia a capire la piega che sta prendendo il racconto. <<Uccise vostro padre?>>, chiede schietto, completamente rapito dalla storia per preoccuparsi del tatto. <<Sì, all’inizio. Poi vi furono altre vittime. Avvenne tutto in una notte, qui, nel tempio. Ma Cobalion aveva messo a punto il Cammino, così lo chiamava, con mesi di anticipo: il massacro finale fu semplicemente la conclusione del rito. Figli, mogli… vennero eliminati tutti>>. Il silenzio regna per qualche minuto, fino a quando Parsival non trova il coraggio di esprimere il suo cordoglio. <<Non so cosa dire… se non che mi dispiace>>. Ed Alexius gli regala un sorriso, a metà tra il grato e l’amaro, per poi riprendere a parlare. <<È passato tanto tempo… ho trovato la mia pace>>, poi, di nuovo, la serietà torna sul suo viso. <<Fin da subito mi ero opposto a quella folle idea. Cobalion parlava del rango di divinità… ma gli dèi sono ben altro, lui voleva semplicemente trasformarci in mostri. E ci è riuscito, coi miei fratelli. Sono diventati… abomini, esseri senza corpo, dei parassiti. Maleficarum, da Maleficar, il nome della nostra famiglia. Ma con me… con me sapeva di non avere speranze. Quindi incaricò Xerneas di convincermi, dato che era il fratello a cui ero più legato. Eravamo gemelli>>. Parsival strabuzza gli occhi, per l’ennesima volta da quando si trova in queste rovine, e non riesce a trattenersi. <<Gemelli?>>. Alexius prima sospira, e poi annuisce. <<Sì. Ma neanche lui fu in grado di convincermi. Il Cammino richiedeva il sacrificio del proprio primogenito… e amavo troppo mio figlio per commettere un atto del genere. Fatto sta che nessuno prese bene il mio rifiuto, in particolare Xerneas. Come ti ho detto... sette dèi, sette fratelli. Non riuscivano ad accettare che avrebbero intrapreso il Cammino solo in sei>>. Continua a parlare, l’uomo incappucciato, ma la mente del Lord delle Tempeste rimane concentrata su una sola frase: Il Cammino richiedeva il sacrificio del proprio primogenito. E finalmente, proprio come in un puzzle, pezzo dopo pezzo il disegno comincia da apparire.
<<Hai detto… hai detto che sono diventati… esseri senza corpo. Significa che….>>, ormai Parsival sta sussurrando; forse per paura, forse per rispetto, forse perché la nausea che avverte lo costringe a pesare ogni parola che pronuncia. <<Significa che dopo aver eliminato i propri cari uccisero anche se stessi. Abbandonarono i propri corpi e diventarono puro spirito: immortali, certo, ma maledetti. Per interagire con il mondo materiale, infatti, sono costretti a possedere altri corpi… è così che sono sopravvissuti di epoca in epoca>>. Il Signore del Tuono potrebbe terminare da solo il racconto: ha capito, ormai, qual è la conclusione. <<E tu vuoi eliminarli, vero? Tutti?>>. Alexius annuisce, con le labbra piegate in una smorfia che l’Urthadar non riesce bene a interpretare. Forse è questo l’unico, vero tasto dolente dell’uomo che si trova di fronte. O forse si tratta di tutt’altro: come può un semplice umano, d’altronde, comprendere la mente di chi si porta millenni sulle spalle? <<Pochi giorni dopo il massacro, Xerneas tentò di uccidermi. Aveva trovato la mia famiglia e si era impossessato del corpo di mio figlio>>. Di nuovo il silenzio. Non serve altro. <<Spero tu possa perdonarmi il lungo racconto, ma era giunto il momento che venissi a sapere cosa è davvero successo a Valerius. E meritavi la storia completa>>.
Gli occhi di Parsival, colmi di gratitudine, non riescono a trattenere una lacrima. <<La mia strada e quella di tuo padre si sono incrociate quando eri ancora in fasce. Ero sulle tracce di Xerneas da anni e… beh, lui sulle mie. Una volta imprigionati tutti i nostri fratelli, infatti, la sua ira era diventata tale da convincerlo a uscire dalle ombre per trovarmi e uccidermi prima che io potessi occuparmi anche di lui. Valerius si mise in mezzo>>. Prima di continuare, Alexius solleva una mano e la pone sulla fronte di Parsival. Le rovine si perdono nell’oscurità, e l’oscurità si tramuta in immagini: all’inizio sfocate, ma poi, piano piano, sempre più definite. <<Stavamo combattendo poco lontano dal confine di Dohaeris, nella Terra delle Tempeste. Mi ero rifugiato in un piccolo borgo, dove speravo che Xerneas non mi avrebbe raggiunto: avevo appena trovato e imprigionato Cobalion dopo secoli di caccia e avevo bisogno di riprendermi. Sia fisicamente… che mentalmente. Ma ovviamente Xerneas era venuto a saperlo e volle approfittare della mia debolezza>>. Li vede, Parsival, quei maledetti occhi rossi che non ha mai dimenticato. Li vede e facendosi strada dal passato riescono a graffiarlo, a farlo sentire debole, inutile. Non comprende se le emozioni che prova siano le sue, o quelle di Alexius. <<Probabilmente sarei morto senza l’intervento di tuo padre. Comparve dal nulla, con un piccolo plotone di soldati al seguito, e riuscì a tenere testa a Xerneas con il mio aiuto. Tentai il Rito del Vincolo, ovvero… ciò che mi hai visto fare al cadavere di tuo padre, ma riuscì a fuggire prima che riuscissi a completare la runa>>. I ricordi di uno si mischiano con quelli dell'altro. <<Praticamente tuo padre, in pochi mesi, era stato in grado di scoprire quasi tutto sull’esistenza dei maleficarum e sulle leggende che li circondano, leggende che fortunatamente considerò vere. Gli era giunta voce di un bandito che tormentava i paesi della sua regione, un bandito estremamente pericoloso e con una caratteristica particolare: il colore degli occhi, rossi come il sangue>>. Nel rivedere suo padre in quelle immagini, gli occhi di Parsival si riempirono di lacrime. <<Da quel semplice dettaglio riuscì ad avvicinarsi alla verità più di ogni altra persona che abbia mai conosciuto, e a salvarmi la vita. Per la prima volta dopo secoli i ruoli si erano invertiti. Il suo tempismo fu miracoloso: ho davvero creduto che fosse opera degli Dei. Gli stessi Dei che, per burlarsi di me, hanno permesso al tempio di crollare tranne che per questa parete, su cui è inciso il mio fallimento>>.
Alexius interrompe il contatto e in un istante il Signore del Tuono torna al presente, tra le rovine, senza nemmeno provare un briciolo di confusione. Si sente come se si fosse appena svegliato dopo un sogno estremamente nitido. <<Credi nei miei Dei?>>, la domanda gli viene spontanea, ed è dettata da una sincera curiosità. L’uomo gli sorride, ma anche stavolta Parsival non riesce a interpretare appieno la sua espressione. <<Credo in tutti gli Dei, Parsival. Più di quanti tu possa immaginare. Però credo di più in ciò che, dopo secoli di esistenza, riesce ancora ad affascinarmi: gli esseri umani. Gli Dei sono statici, immobili nella loro perfezione. Noi siamo… frenetici, pieni di sfumature. Liberi di autodeterminarci. E liberi di sbagliare>>. Al Lord delle Tempeste basta uno sguardo per comprendere il vero significato dietro le parole di Alexius. <<Tu sai, vero?>>. Non serve nemmeno confermare. <<La magia che uso per cacciare i miei fratelli è strettamente collegata al mio sangue. Quando la runa è stata spezzata l’ho avvertito dentro di me, come se mi avessero pugnalato dritto al cuore. Ma non avevo modo di sapere quale dei sei maleficarum fosse stato liberato… poi, però, mi sono giunte le voci della morte di tuo figlio ed è arrivata la tua lettera>>. Ed è così che giunge il momento, per Parsival, di rivelare al proprio maestro il suo fallimento. Di condividere i suoi peccati, che lo feriscono più di una corona di spine.
<<Valerius non è morto>>, i ruoli, ora, sembrano essersi invertiti: l’uomo incappucciato strabuzza gli occhi e guarda il più giovane con aria interrogativa, mentre il Signore del Tuono cerca il coraggio di continuare. <<Alexius, io… la verità è che dopo la morte di nostro padre, non ho più saputo controllare Alistair>>. Racconta di come si siano allontanati sempre di più, della freddezza dello stesso bambino che, il giorno della tragedia, lo aveva assicurato di non odiarlo, di quanto sia stato arduo crescere un Alistair colmo di risentimento, di rancore, verso di lui e verso la bestia che si è portata via il loro ultimo genitore. Racconta di come quell’anima innocente sia diventata sempre più scura, macchiata dal peccato di cui è stata vittima, e racconta di una distanza trasformata in abisso dall’interferenza di Elissa. <<Pochi mesi fa ho trovato strani libri nella biblioteca di mia moglie. Libri su antiche leggende, sulla magia estranea a Dohaeris. Ho trovato una pergamena, scritta in una lingua a me sconosciuta, con il testo accompagnato da un disegno di due occhi rossi. A quel punto non avevo più molti dubbi, Alistair le aveva parlato di Xerneas. Sono andato nella cripta, a controllare la tomba di nostro padre… non era più sigillata>>. Alexius accoglie queste notizie col silenzio. <<Sono certo che mio fratello non avrebbe mai osato violare il cadavere di nostro padre, ma Elissa… lo ha manipolato. È stata in grado di trasformare il suo odio nei confronti di quella figura con gli occhi rossi in una specie di… per quanto possa essere un pensiero malato, credo che Alistair abbia iniziato a venerarlo. Mia moglie è pericolosa, Alexius, più pericolosa di qualunque spirito antico desideri attentare alla mia vita>>.
<<Ho provato a indagare, a scoprire cosa avessero in mente… fino a quando, una notte, mentre ero nel mio studio, un urlo disperato ha svegliato tutto il castello. Pochi secondi dopo è comparso mio figlio, completamente sporco di sangue, pallido come un cencio e con un taglio sulla gola>>. Le lacrime ormai sgorgano senza controllo dagli occhi del Tuono, mentre l’antico non riesce neanche a sbattere le palpebre, tanto è sconvolto. <<Il suo primogenito. Voleva intraprendere il Cammino>>, un sussurro che si perde nel racconto sempre più agitato di Parsival. <<Mi ha guardato dritto negli occhi, Alexius. Mi ha guardato, non ha fiatato ma mi ha guardato, era quella la sua richiesta di aiuto. E io… che gli Dei mi perdonino>>, tenta di sopprimere i singhiozzi, senza successo, <<Io ho abbassato lo sguardo. E quando l’ho rialzato, gli occhi azzurri di mio figlio non c’erano più. Gli occhi del bambino che ho visto crescere erano scomparsi per sempre, ed è comparsa mia moglie, con in mano una lama insanguinata>>. Non riesce più a fermarsi, il Lord delle Tempeste: ha trattenuto dentro di sé troppi segreti, per troppi anni. Troppe ultime gocce, troppi vasi traboccati: e la terra, ormai, è piena di cocci. <<Ero terrorizzato. Terrorizzato da Alistair, da Elissa, da Xerneas. Avevo la mente completamente vuota, davanti a me vedevo solo il cadavere di mio padre, con due rubini al posto degli occhi. Sono stato un cordardo, lo so, Dei… non ho alcuna giustificazione. Ma ero solo, completamente solo. E non sono riuscito a combattere per mio figlio>>. A questo punto Parsival si aspetta una punizione. Si aspetta violenza, insulti, di tutto; quello che non si aspettava, però, era la mano del suo maestro sulla sua spalla.
<<L’impotenza dovuta all’essere soli fa più male di una freccia nello stomaco>>, gli dice, pacato, con il tono di un padre amorevole. <<Pensavo… quando ho sentito di tuo figlio, pensavo che Xerneas fosse fuggito nel suo corpo, e che ovviamente aveste mascherato la realtà. Invece… la verità è molto più spaventosa>>. Alexius è sicuro di ciò che crede, non ha bisogno di altre prove. <<Tua moglie ha intrapreso il Cammino. Il Cammino è… è il rito che ha trasformato i miei fratelli in maleficarum. E il primo passo del Cammino è il sacrificio del proprio primogenito>>. Parsival annuisce: aveva già collegato le due cose durante il racconto dell’antico. <<Probabilmente, dopo che il suo piano è fallito, ha spezzato la runa del vincolo e poi ha evocato Xerneas per chiedergli aiuto. Per recuperare Valerius e per… continuare il Cammino>>. Esattamente ciò che il lord non voleva sentire. <<Alexius, ti prego>>, non pregava nessuno da anni, il Tuono, non ne aveva più avuto bisogno. L’ultima volta che quelle due parole hanno lasciato la sua bocca erano rivolte alla stessa persona. <<Non so cosa fare. Non sono sicuro di poter fare nulla. Anche se ordinassi la morte di Elissa, cosa che non posso fare, senza scatenare uno scandalo, non potrei salvare Valerius: ormai tuo fratello sarà già sulle sue tracce>>. L’uomo incappucciato sa già quale sarà la conclusione del discorso, e ascolta in silenzio, con il cuore sempre più pesante.
<<Proteggi mio figlio. Salvalo dai miei errori. Non riportarlo a casa, non sarebbe al sicuro, ma… proteggilo>>. Vorrebbe rifiutare, Alexius. Vorrebbe poter inseguire suo fratello senza distrazioni, senza il peso di avere la morte di un ragazzo sulla coscienza. Ma nel suo animo, spezzato in due, alla fine prevale la parte che ancora non riesce a perdonare i propri sbagli. Si stringono la mano, i due uomini, entrambi lacerati dal passato e dai propri tormenti: sono figli di epoche differenti, ma lo stesso rimorso li divora. Il rimorso di non essere stati in grado di salvare la propria famiglia. Il rimorso di essere rimasti soli al mondo, perseguitati dal sangue che, nonostante gli sforzi, non riescono a lavare via. <<Andiamo a casa>>, un secondo prima i due vecchi amici si trovano tra le rovine del tempio, e quello dopo sono tornati nel vicolo angusto di Capo Tempesta, ora vagamente rischiarato dalle prime luci dell’alba. È giunto il momento di dirsi addio, pensa il Signore del Tuono, convinto che non vi sia altro da dire. <<Sarò per sempre tuo debitore>>, pronuncia queste ultime parole, e poi gli dà le spalle, illudendosi di essere pronto ad affrontare i mostri che vivono nel suo castello. <<Aspetta>>, non si muove, l’uomo incappucciato, attende che sia l’altro a girarsi; e una volta ottenuta la sua attenzione comincia ad avvicinarsi, lentamente, come un leone che non vuole spaventare la propria preda.
<<Lo hai chiamato come tuo padre>>. L'Urthadar si limita ad annuire, senza proferire parola. Ed è allora che l'antico prende la sua decisione.
<<Guardami, Parsival>>, cerca il suo sguardo azzurro, così simile a quello del padre, così diverso dal rosso che lo aveva corrotto. Ha letto troppo dolore in quegli occhi, un dolore che conosce molto bene, un dolore di cui si libererebbe volentieri, se potesse. Ma gli è precluso: è questa la sua maledizione, ed è questo il suo vanto. Porterà con onore anche il fardello di Parsival, se significherà donare almeno a uno dei due una vita non felice, ma almeno serena.
Negli occhi del lord si alternano sorpresa, paura, rabbia: infine, però, la gratitudine ha la meglio.
E stavolta l’Urthadar non distoglie lo sguardo. Stavolta accetta il suo destino, come si è pentito di non aver fatto vent’anni fa.
Un grazie sussurrato abbandona le sue labbra, mentre Alexius inizia a raccontargli la storia di Parsival Urthadar. Gli parla di una vita agiata, senza le difficoltà della povertà, ma non per questo completamente priva di ostacoli; gli parla dell’omicidio di suo padre, perpetrato da un folle che soleva essere il suo maestro, a cui però non ha assistito perché ha perso i sensi prima della sua morte; gli parla di Alistair, suo fratello, la cui mente per trovare pace ha inventato storie di demoni dagli occhi rossi, e se mai gliene farà parola Parsival saprà rispettare il suo dolore, ancora forte dopo anni dalla tragedia; gli parla di una moglie che non ama, ma a cui vuole bene, di un figlio ribelle che meritava di morire e di un cuore lacerato da un rimorso puramente umano. Instilla odio, dove serve, e tolleranza, dove la ritiene necessaria.
Come ogni storia anche questa ha una fine, e Alexius ordina a Parsival di tornare a casa e di dimenticarsi di lui: un nuovo giorno lo aspetta, e la Terra delle Tempesta ha bisogno del proprio lord nel pieno delle sue forze. Come ogni storia anche questa ha una fine, una fine che si protrarrà ancora per troppi anni, e che vedrà Alexius vegliare su una nuova famiglia, con un rischio troppo alto di fare la stessa fine della sua.
Ogni storia ha una fine, racconta il vecchio ai figli del Fulmine. Questa, anche se non sembra, non fa eccezione. È nata dal sangue, si è nutrita di sangue, è cresciuta nel sangue. E Alexius sa, lo ha sempre saputo, nel suo cuore, che la sua conclusione potrà essere scritta solo col sangue.
Anno DXIV (514) D.D.
I Mese delle Foglie
III Giorno degli Dei
Terminato il racconto, nella sala del trono aureo regna solo il silenzio.
I due fratelli si guardano.
Petyr osserva Alexius.
<<Altro che veleno>>, commenta il falso tuono, cercando gli unici occhi non azzurri nella stanza. <<Quella stronza dovevo farla sbranare dai cani>>.