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Discussione: 1,3,7-trimetilxantina

  1. #11
    Mod cangiante L'avatar di Pey'j
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    Re: 1,3,7-trimetilxantina

    Disclaimer
    Questa parte di epilogo, purtroppo, non sarà accompagnata da foto perché il mio gioco si rifiuta di avviarsi. Dopo un mese di tentativi mi sono arreso e ho deciso di andare avanti anche senza foto perché *inserire insulti random qui* preferisco dare comunque una conclusione alla storia, seppur senza supporto visivo, piuttosto che mollare a metà il lavoro per la frustrazione. Comprendo che sia una lettura molto pesante senza immagini, perciò vi chiedo scusa in anticipo, ma ho provato davvero di tutto (tranne la reinstallazione, ma capitemi, non me la sento).

    Vi prego di tener presente che il testo è stato scritto con in mente un progetto ben preciso, ovvero quello di essere accompagnato da foto, ma spero risulti godibile anche senza di esse.


    _________________________________________________

    s a n g u e


    Anno CDLXIV (464) D.D.
    II Mese delle Rose
    I giorno di Mercurio


    Ogni storia ha un inizio, racconta il vecchio ai figli del Fulmine. Questa non fa eccezione.

    <<Tieni più alta la spada>>. È una giornata di sole nella Terra delle Tempeste, come non se ne vedevano da mesi, e i due giovani Urthadar, abituati a innumerevoli pomeriggi piovosi, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di uscire dal castello e passare del tempo all’aria aperta. <<Devi migliorare la presa. Se ti cade l’arma nel bel mezzo di uno scontro sei un uomo morto>>. Appena visti i primi raggi di luce, quella mattina, il giovane Parsival ha chiesto subito al loro padre il permesso di portare il fratello minore nel suo boschetto preferito, poco lontano da Capo Tempesta: una proposta che non ha mancato di sorprendere lord Valerius, dato che Parsival non è mai stato quel che si suol dire un fratello modello. Padre e madre lo hanno sempre favorito, come forse ogni genitore che considera un raro gioiello il proprio primogenito, e il rampollo non si è mai lamentato della situazione, anzi: spesso e volentieri si divertiva a tormentare Alistair, trovando sempre nuovi modi per fargli pesare il ruolo di secondogenito. Di Urthadar di scorta, nei giorni buoni, e di errore, ecco cosa sei, fratellino, solo un errore, in quelli meno buoni. Con l’età adulta, però, giunge anche la consapevolezza e il diciottenne Parsival è conscio di aver reso la vita di quel bambino un inferno. Perciò oggi ha deciso di dedicare al fratello la sua intera giornata, per allenarsi con le spade e magari, perché no, parlare un po’, scaldati dai primi tiepidi raggi di sole dei Mesi delle Rose.

    <<Prova a parare i miei colpi>>, la voce del ragazzo è ferma, ma si sforza, forse senza successo, di non risultare troppo severo. Parsival sa essere un ottimo Lord, quando suo padre è indisposto o lontano; un grande guerriero; un abile conversatore.
    Ma un buon fratello?
    Su quello, lo sa bene, deve ancora lavorare.

    <<Tu invece prova a non essere sempre così dannatamente irritante>>, la risposta di Alistair, pronunciata a denti stretti, è carica d’ira e risentimento. C’è tanta rabbia repressa nel cuore del fanciullo, una frustrazione che potrebbe avvelenare ciò che di più innocente esiste, se non controllata. Una frustrazione che spaventa il più grande. <<Sto solo tentando di aiutarti, Alistair>>, il sospiro è accompagnato da un sorriso sincero, l’ennesima dimostrazione di affetto che arriva, però, troppo tardi, perché il bambino gli ha già dato le spalle e ha raggiunto il loro maestro: l’uomo, silenzioso come sempre, li ha osservati seduto su un tronco per tutta la durata dell’allenamento. <<Dovreste ascoltare di più vostro fratello, piccolo lord>>, la sua voce è calda e gentile, rassicurante, proprio come ci si aspetta che sia la voce di un septon grasso e affabile come lui, con la testa che assomiglia a un Uovo bello rotondo. A Parsival piace, Alexius, nonostante non sappia quasi nulla di lui: è un uomo pacato, ragionevole e soprattutto non è un invasato come molti altri religiosi che l’hanno preceduto. Si è presentato alle porte del castello pochi mesi fa, chiedendo di parlare con suo padre e solo con lui: una richiesta strana, troppo insistente, che gli sarebbe costata cara se lord Valerius in persona non gli avesse permesso di entrare, conducendolo poi nel suo studio, senza portarsi dietro nemmeno le guardie della scorta. In realtà per Parsival un septon valeva l’altro, quindi non fece troppe domande quando suo padre annunciò alla corte che quello sconosciuto sarebbe rimasto con loro e avrebbe sostituito il prete precedente, passato a miglior vita da poche settimane. Ha sempre pensato che gli uomini di fede fossero tutti vecchi, noiosi e antipatici, ma per una volta il giovane Urthadar è contento di essersi sbagliato. Solo per una volta, sia ben chiaro: d’altronde l’orgoglio nutre la carne dei Fulmini tanto quanto il sangue.

    <<Lasciate stare, Alexius. Evidentemente non vuole imparare a difendersi dai nostri nemici>>. Ha tanta buona volontà, l’erede del Tuono, ma la pazienza non è mai stata uno dei suoi pregi: lascia cadere la spada a terra e si incammina verso il castello, senza neanche aspettare il bambino. Alistair, però, con la testa calda tanto quanto quella del fratello, si volta di scatto per conquistare l’ultima parola. <<Il mio unico nemico qui sei tu! Preferirei essere rapito dai Dreth piuttosto che sopportarti ancora!>>. Parsival si ferma, accusa il colpo come ha imparato a fare sul campo di battaglia e… sospira. La rabbia ha già lasciato spazio alla tristezza, una malinconia che gli avvolge cuore e stomaco in una morsa fin troppo stretta. Credeva fosse possibile risanare il rapporto con Alistair, lo stesso Alexius ha addirittura promesso di aiutarlo, ma inizia a pensare di aver sottovalutato la situazione: forse lo ha ferito troppo, in passato. Forse sono solo energie sprecate, energie che potrebbero essere spese per qualcosa di più utile. <<Cosa vuoi che faccia?>>, il giovane Fulmine si volta e parla al fratello con il cuore in mano, lo stesso cuore che sanguina ogni volta che percepisce tutto l’odio che quel bambino prova per lui. Un odio meritato, ma che non per questo fa meno male. <<Dimmelo, Alistair. Lo so che sono stato un mostro con te, ma ci sto provando a farmi perdonare. Sul serio>>. Lo guarda dritto negli occhi, iridi azzurre dentro iridi azzurre in cui ora non legge più rancore, bensì… confusione. Confusione? Confusione. La stessa che sta provando lui in questo momento. Sposta il suo sguardo sul viso di Alexius, sperando in una spiegazione, ma tutto ciò che ottiene è una timida risata, che mai come ora gli sembra fuori luogo.

    <<Non… non sei un mostro>>. La voce del bambino si è fatta piccola piccola, poco più di un sussurro. Parsival avanza verso di lui e gli si inginocchia davanti, per poterci parlare faccia a faccia, come mai ha fatto prima d’ora. <<Sei il mio nemico perché…>>, le guance del bambino si tingono di rosso, <<Tra poco sposerai Elissa e… anche io vorrei sposarla… ma se la sposi prima tu, io sono fuori dai giochi>>. Alexius non ce la fa più, si tiene la pancia per il troppo ridere e anche le labbra si Parsival si piegano in un sorriso dolce, perché tutto avrebbe immaginato, ma di certo non questo. <<Elissa è grande, Alistair. Anche lei ti vuole bene… ma non in quel modo>>. Non è ciò che voleva sentirsi dire, è palese dal broncio che compare sul suo viso. Parsival però è felice, felice come non lo era da tanto tempo. Suo fratello non lo odia… per ora, ad allentare quella morsa, basta questo. <<Voi lo sapevate, vero?>>, adesso si rivolge al septon, che si sta ancora riprendendo dalla grassa risata. <<Forse, mio lord. Forse>>. Il ragazzo torna in piedi, dà uno spintone a entrambi e recupera la sua lama da terra. <<Continuiamo. Se vuoi conquistare le ragazze devi saper combattere>>.

    Alistair però non lo raggiunge, sta guardando qualcosa oltre le sue spalle. <<Avete bisogno?>>, chiede Alexius, e allora anche Parsival si gira per scoprire chi li ha raggiunti. <<Lord Valerius desidera vedervi. Con una certa urgenza. Dice di aver ricevuto la visita di un certo Xerneas>>. Si tratta di uno dei tanti soldati della Saetta, che a quanto pare è venuto a porre fine alla loro giornata di svago. <<Va bene. Ci incamminiamo anche noi>>, non è troppo sorpreso da questa richiesta, Parsival, dato che suo padre desidera spesso che il septon sia al suo fianco durante incontri diplomatici di ogni sorta, ma quando cerca il viso di Alexius vi legge subito una certa preoccupazione. I suoi occhi osservano il soldato mentre si allontana e, quando ritiene che non possa più essere sentito, il prete si avvicina ai suoi protetti. <<Statemi vicini>>. Entrambi gli Urthadar annuiscono, confusi, e il trio comincia a rincasare accompagnato da uno strano silenzio, che poco si addice alla scenetta divertente di cui è appena stato protagonista.

    Un silenzio che il giovane vorrebbe riempire in qualche modo, magari scherzando ancora con Alistair o chiedendo ad Alexius di raccontare una storia, eppure qualcosa gli dice che non è il momento adatto per ridere. Percepisce una strana pesantezza nell’aria, un sentore di pericolo che gli annoda lo stomaco e lo obbliga a camminare senza proferire parola e senza mai lasciare la mano del fratello.
    Giungono poco dopo davanti al portone del castello che si apre per loro, soldati e servitori si inchinano al futuro Lord delle Tempeste, ma lui ha occhi solo per il proprio maestro. Non comprende cosa stia succedendo, cosa Alexius tema, ma è certo che qualunque cosa sia non gli piaccia. Proprio per niente.
    Quando si trovano davanti alla loro meta, finalmente, Parsival non ne può più. Afferra il braccio dell’uomo e avvicina le labbra al suo orecchio, per evitare che Alistair e la scorta possano sentirlo. <<Che avete? Siete teso da quando abbiamo lasciato il bosco>>. Alexius però non risponde, finge di non averlo sentito e, liberatosi dalla presa, apre la pesante porta in acciaio che divide il locale dalla maestosa sala dominata dal Trono Aureo. Decine di arazzi coprono le sue mura: alcuni ritraggono i Signori del Tuono più importanti, quelli che hanno dedicato con successo la propria vita alla famiglia e l’hanno resa la potenza che è ora; altri rappresentano tempeste, mari agitati e nuvole cariche di elettricità. Parsival ha sempre pensato che questa ossessione per il Fulmine fosse esagerata, ma è abbastanza furbo da non farne parola con suo padre. Rapito dal ritratto di Lucian il Giusto, fondatore della dinastia, il ragazzo non si rende conto che Alexius e Alistair si sono ormai allontanati e si stanno avvicinando al trono su cui siede il Lord delle Tempeste. Li segue, in silenzio: al momento non sa che altro fare.

    <<Mio Lord>>, il tono del septon è rispettoso, ma il giovane Urthadar nota immediatamente che non ha neanche accennato un inchino. Sembra cauto, quasi incerto nella scelta delle sue parole. <<Sono qui, come avete richiesto>>. Valerius si sistema sul trono, quasi annoiato, fino a quando l’ombra di un ghigno appare sul suo volto: un mezzo sorriso talmente inquietante da far gelare il sangue nelle vene di Parsival. Suo padre è stato spesso severo, in passato, e non ha neanche mai mancato di spaventarlo quando lo riteneva utile, ma è la prima volta che prova una sensazione del genere al suo cospetto. <<Sono qui, come avete richiesto>>, tutti i presenti faticano a credere alle proprie orecchie quando il Signore del Tuono, alla stregua di un bambino capriccioso, ripete le stesse identiche parole del septon. Quella di Parsival è una reazione istintiva: corre verso il fratello e gli afferra le spalle, illudendosi di poterlo proteggere con questo semplice gesto, come se il contatto possa rassicurare un minimo entrambi. Il peso sul suo stomaco non accenna ad andarsene e anzi, aumenta col passare dei secondi: i soldati che li hanno seguiti si guardano l’un l’altro, confusi quanto e forse più di lui, inebetiti dallo strano comportamento di un uomo che ha sempre mostrato di essere composto, educato, fin troppo serio. L’Urthadar si alza, scende dal trono con una calma esasperante e osserva prima Parsival, poi Alistair, infine Alexius. Su di lui posa lo sguardo per più tempo, istanti che si confondono con ore e che sembrano non terminare mai.

    <<Cosa succede, padre?>>, chiede Parsival, cercando di nascondere il proprio timore. Ma sono parole al vento, perché lord Valerius pare non averlo sentito e continua a squadrare il suo maestro. Il primo ad agire è proprio il septon: sembra realizzare qualcosa e tenta di spezzare il contatto visivo, venendo però preceduto dall’Urthadar che, rapido come una saetta, porta le mani sulle sue guance e gli immobilizza la testa. Nessuno ha tempo di reagire, non i soldati, non i ragazzi, non Alexius: è questione di meri respiri. Valerius apre la bocca, spezzando finalmente quel ghigno sinistro che ha adornato fino ad ora le sue labbra, e senza lasciare le iridi del prete sussurra una semplice parola, un ordine che lascia completamente esterrefatti i due giovani Urthadar, gli unici abbastanza vicini per poterlo sentire chiaramente. <<Abbiamo dei conti in sospeso, no? È giunto il momento, Yvetal. Uccidimi>>. Un urlo abbandona la bocca di Parsival, un urlo disperato, straziante, che accompagna come una melodia la danza di Alexius: nella sua mano destra è comparso un pugnale, appuntito quanto uno spillo, che con un movimento pulito e veloce viene conficcato nel cuore del Signore del Tuono. Una risata malata si diffonde per le mura della sala, mentre un rivolo di sangue abbandona la bocca di lord Valerius. <<Andiamo!>>, un secondo prima Parsival è immerso nel giallo dell’oro e nel blu degli arazzi; un secondo dopo, intorno a sé, non vede altro che grigio. Il grigio di pietra, polvere e sporcizia, unici ornamenti delle segrete del suo castello, vuote da chissà quanti anni.

    Non sa come, non sa perché, ma ora lui e suo fratello si trovano in una cella, scura e angusta, e oltre le sbarre vi sono Alexius e suo padre, la lama che ancora trafigge il cuore del secondo. <<Padre!>>, il grido di Alistair sembra risvegliare dalla trance il septon, il cui viso si riempie di disgusto e che con un balzo all’indietro, un movimento fin troppo agile per un uomo della sua stazza, si allontana dal lord. Con quell’urlo, inoltre, il bambino ha anche attirato l’attenzione di Valerius. <<Alistair, mio figlio adorato. Parliamo così poco, io e te. C’è tanto potenziale in te, quel sangue ti rende forte. Ma… ah, sprecato. Peccato… peccato davvero>>. L’uomo cerca poi lo sguardo di Parsival, ed è allora che il ragazzo li vede con chiarezza: gli occhi del padre, una volta azzurri, hanno mutato colore. Sono rossi, di una sfumatura tanto particolare quanto innaturale. <<Tu, invece! Mio rampollo! Non vedo l’ora di divertirmi con te. Prima, però, devo occuparmi di quel traditore>>, la mano del lord indica Alexius, che ancora non sembra essersi del tutto ripreso dallo shock, ma che pare anche intenzionato a sfruttare la distrazione di… ormai a Parsival è chiaro: di qualsiasi cosa abbia sostituito suo padre. <<Sarai confuso. Lo capisco. Quel grassone si è dimenticato di dirti un po’ di cose. Tipo che tuo padre è proprio un impiccione, che non si fa mai gli affari suoi come dovrebbe! Ma rimedieremo presto! Te lo prometto! Sto per farti un dono, sai… un dono meraviglioso!>>, gli occhi del ragazzo sono colmi di lacrime, lacrime che sgorgano ancora più forti quando ai deliri del mostro si aggiungono anche le grida del septon. <<Non ascoltarlo! Non è più Valerius, c’è qualcun altro dentro di lui!>>. La sua vista è ormai sfocata, e l’Urthadar quasi non crede a ciò che vede: con un semplice movimento della mano l’essere che ha l’aspetto di suo padre genera un campo di forza color cremisi che, con una forza inaudita, scaraventa Alexius contro la parete.

    Alistair, terrorizzato, cerca di stringersi forte al fratello, ma l’attenzione di Parsival è dedicata completamente a ciò che sta avvenendo davanti a loro. Un’aura bianca ha cominciato a circondare le braccia del suo maestro, per poi diffondersi al busto, alle gambe, e infine alla testa, rivolta verso terra, con il viso nascosto. È un lamento, infine, a distrarlo, un rumore che non proviene dal bambino vicino a lui, bensì dal mostro che sta controllando suo padre. Ora anche quella cosa sta osservando il prete, e a Parsival sembra quasi di poter leggere del timore in quei tremendi occhi rossi. Poi, all’improvviso, le palpebre di Valerius si spalancano e allora il ragazzo riporta il suo sguardo sul septon: il volto non è più nascosto, è completamente visibile ed è illuminato da una luce candida che lo circonda completamente. Un lampo chiarissimo costringe i due Urthadar a coprirsi gli occhi e in pochi istanti l’aura bianca attorno all’uomo viene assorbita dalle sue iridi, che perdono il verde e, come diamanti colpiti dal sole, iniziano a brillare. Anche le pupille vengono presto inghiottite dal bianco, e un brivido attraversa la schiena di Parsival quando riesce finalmente a vedere con chiarezza lo sguardo del proprio maestro, svuotato di ogni umanità, di ogni sfumatura, di ogni colore. Sembra però deciso, quasi infuriato: non lo ha mai visto così prima d’ora. <<Sono stanco di te>>, la sua voce è diversa dal solito, fredda e sporca, <<Stavolta mi assicurerò di fare le cose per bene>>. L’uomo scatta, veloce come una lepre, contro il suo bersaglio; al tempo stesso una luce rossa viene liberata dalle mani di Valerius e prende la forma prima di una lama, poi di uno scudo, mentre il bianco tenta di oltrepassare la barriera cremisi, senza successo. Parsival tenta di seguire lo scontro, faticando non poco però a comprendere ciò che sta succedendo: non ha mai visto poteri del genere all’opera. Riconosce qualche tecnica, come il Tornado di Alexius o il teletrasporto, ma gran parte della magia utilizzata gli è completamente estranea.

    <<Parsival>>, il sussurro di Alistair raggiunge le sue orecchie, <<Non mi sento… bene…>>, riesce a dire solo queste parole, il bambino, prima di perdere i sensi e svenire tra le braccia del fratello. È troppo: tutto questo è troppo persino per lui, per Alistair dev’essere semplicemente insopportabile. Lo prende in braccio e lo adagia con gentilezza sulla brandina, ma pochi istanti dopo un colpo lo fa sobbalzare: qualcuno è stato scaraventato contro le sbarre della cella. Il ragazzo si volta, con il cuore in gola. Si tratta di suo padre. <<Da vir sa, maleficarum sa>>, è Alexius che parla, mentre il ragazzo rimane immobile, come se fosse paralizzato. Trattiene anche il respiro, i suoi polmoni si sono tramutati in pietra. <<Zo dir sa, maleficarum sa>>. Ormai solo versi senza alcun significato abbandonano la bocca di lord Valerius, urla disperate, mostruose, che terrorizzano Parsival e lo costringono in ginocchio, tra i singhiozzi e altre lacrime. Vorrebbe solo scomparire, oppure semplicemente girarsi e ignorare quello che sta succedendo, ma non ci riesce: vuole capire. Vuole capire che cosa sta avvenendo davanti ai suoi occhi, perché al momento si sente un folle, il protagonista di un incubo senza capo né coda, eppure è abbastanza sicuro di essere sveglio. Ciò che riesce a vedere è la mano sinistra di Alexius attorno al collo di suo padre, e la destra sul suo petto, ora nudo, che disegna col dito un qualcosa che Parsival non riesce a distinguere a causa della visuale. Sembrano strani segni, forse un simbolo. <<Goditi le catene, questa volta per sempre>>.

    L’ultimo grido del mostro è disumano: rimbomba per le mura antiche delle segrete e sembra quasi far tremare le stesse fondamenta del castello. Anche Parsival urla, un tentativo di coprire quel lamento che però, se ne rende conto presto, fallisce miseramente. Senza accorgersene, ha anche chiuso gli occhi: quando torna il silenzio li riapre, ma non sa quanto tempo sia passato. <<Alexius>>, l’uomo è davanti a lui, oltre le sbarre, accasciato a terra sul corpo esanime di suo padre. <<Alexius, ti prego, rispondimi perché sono terrorizzato>>. Ma il septon sembra non sentirlo: si alza in piedi, prende lord Valerius per le spalle e lo sposta lontano dalla cella, posizionandolo con la schiena contro il muro. Ora Parsival riesce a vedere chiaramente lo strano disegno che Alexius ha tracciato sul suo petto. Sembra un simbolo che non riconosce, ed è rosso… rosso come il sangue. <<È vivo?>>, il ragazzo ha entrambe le mani attorno alle sbarre, sta cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione del prete. <<È sangue quello? Cosa significa?>>. Migliaia di domande gli invadono la mente, ma il septon sembra intenzionato a rispondere solo ad una. <<È morto. Mi spiace tanto, Parsival>>. L’Urthadar non è sicuro di aver sentito bene e rimane paralizzato, in un silenzio tombale, ma l’uomo continua, incurante della sua mancata reazione. <<Quello che parlava era uno spirito, Xerneas, lo ha posseduto e ha… cancellato la sua anima, non so come spiegartelo in altro modo. È così che fanno i maleficarum, e… davirsna>>, Parsival non riconosce l’ultima parola, ma la percepisce come un’imprecazione, <<Non so neanche perché te lo stia dicendo. Tra poco dimenticherai tutto>>.

    Quest’ultima frase, finalmente, ridesta il ragazzo dalla trance in cui era caduto. <<Cosa?>>, chiede, ma ancora una volta viene ignorato. <<Vuoi farmi dimenticare ciò che è successo? Vuoi farmi dimenticare la morte di mio padre?>>, una sfumatura di rabbia comincia a colorare la voce del giovane. <<Ne avresti davvero il coraggio?>>. Alexius lo osserva, per poi incatenare gli occhi dell’Urthadar ai suoi: sono di nuovo verdi. <<Guardami>>, gli ordina, ma Parsival comprende immediatamente ciò che sta per succedere e distoglie lo sguardo il più in fretta possibile. <<Parsival, guardarmi>>, insiste, il prete, ma ottiene un altro rifiuto. <<Se vuoi farmi dimenticare, dovrai uccidere anche me>>. La sensazione di essere stato tradito comincia a farsi spazio dentro di lui. <<Ti prego, Alexius. Se ti fidi un minimo di me… di noi, non cancellare la nostra memoria. Io… io non ho la minima idea di che cosa sia appena successo. Non sono sicuro di aver ancora realizzato che mio padre è morto, che sono il nuovo Lord delle Tempeste… padre, Dei, sei morto davvero>>, tenta di sopprimere dei singhiozzi, ma senza successo. <<Però non voglio vivere una menzogna. Voglio ricordarmi di questo giorno, voglio… voglio proteggere mio fratello. Quel mostro è già tornato una volta, giusto? Così hai detto. Devo ricordarmi quello che è successo per poterlo proteggere>>. Il septon sbuffa. <<Non succederà ancora, credimi>>. Ma Parsival rincara la dose. <<Per favore… lasciami questo ricordo. Merito di conoscere la verità sulla scomparsa di mio padre>>.

    Silenzio. Il silenzio è la risposta di Alexius per tanto, troppo tempo. Alla fine, però, è il cuore ad avere la meglio. <<Va bene>>. Un grazie abbandona la bocca dell’Urthadar, che può tornare a respirare. <<Ma ascoltami bene>>, il tono del prete è più serio che mai, <<Tu e tuo fratello non dovrete mai farne parola con nessuno. Confermate al comandante che ho ucciso io lord Valerius davanti al Trono Aureo, e che poi ho teletrasportato tutti e quattro nelle segrete perché volevo uccidere anche voi. Dipingetemi come un folle, o un sicario dei Dreth, non mi importa. Tanto non mi vedrete mai più>>. L’uomo gli dà nuovamente le spalle. <<Devo portare con me il cadavere>>. Parsival, stavolta, non riesce a trattenersi. <<Cosa? No. È stato un Lord delle Tempeste e come tale deve riposare nella cripta del castello>>. La sua voce è decisa, ferma come poche altre volte. Su questo, il nuovo lord, non transige. <<Non capisci, Parsival. Xerneas non è morto, è imprigionato nel… nel corpo di tuo padre. Quella runa non gli permette di abbandonarlo e gli impedisce di utilizzarlo a suo piacimento. è in trappola, insomma. Se la runa venisse spezzata, però, Xerneas sarebbe libero di nuovo e devo impedire a tutti i costi che accada. Perciò il cadavere viene con me>>. Il ragazzo comprende il suo discorso, ma non ha intenzione di arrendersi. Suo padre era un brav’uomo e merita una sepoltura degna del suo rango. Preferisce morire, Parsival, piuttosto che permettere ad Alexius di infangare in questo modo la sua memoria. <<Posso impedirlo anche io>>, ora il ragazzo è più calmo, l’adrenalina lo sta abbandonando e riesce a ragionare a mente fredda. È bene che si abitui, perché questo controllo sarà la sua unica àncora, nei giorni a venire. <<Nessuno ha mai osato violare il riposo dei miei antenati. Non vedo perché qualcuno dovrebbe venire a disturbare mio padre, e soprattutto aprire la sua tomba. Senza contare che la cripta è costantemente sorvegliata, e che ogni accesso esterno alla famiglia deve essere approvato dal sottoscritto, essendo io ora… beh, essendo il lord>>. Nuovi dubbi attanagliano il septon, ma l’affetto che provava per il suo amico e che prova per i suoi figli gli impedisce di esigere ciò che la logica impone. Quel calore umano che gli scalda il cuore sarà per sempre il suo vanto, e la sua maledizione. <<E sia>>. Un rumore lontano distrae entrambi: qualcuno si sta avvicinando, probabilmente i soldati mandati a cercarli.

    <<Abbi cura di tuo fratello>>. Ma Parsival ha ancora tante domande, domande a cui solo Alexius può rispondere. <<Aspetta! Chi sei? Perché quel mostro se l’è presa con mio padre? Non puoi lasciarmi così. Ho… ho bisogno di te>>, il panico gli sporca la voce, non è pronto a rimanere da solo e non è pronto ad affrontare tutte le sfide che incontrerà sul suo cammino. <<Non posso, ragazzo mio…>>. Una voce in lontananza segnala la fine del loro tempo. <<Abbi cura di lui>>, un altro bagliore, e Alexius scompare. La porta della cella si apre, come per magia, e Parsival si precipita sul cadavere di suo padre per coprire con del tessuto il simbolo sul suo petto. Nessuno deve sapere, lo ha promesso. E nessuno saprà.

    I soldati irrompono nelle segrete pochi istanti dopo, è il caos, ma la mente del giovane Urthadar è più lucida che mai. <<È andato da quella parte>>, mente, indicando alla sua destra, per poi ordinare ai suoi soccorritori di non avvicinarsi al corpo. Si alza in piedi e raggiunge il fratello, ancora sdraiato sulla panchina, ma decide di non disturbarlo. Che si goda queste ultime gocce di innocenza: al suo risveglio il mondo sarà un posto molto più oscuro. <<Ora siamo soli, Alistair. Siamo soli>>.
    Nel frattempo Alexius è già lontano, più lontano di quanto si possa immaginare, ma i suoi tormenti non lo abbandoneranno tanto presto. Tormenti dominati dal volto del suo amico, ferito, sporco di rosso; un amico che non meritava una fine tanto indegna, l’ennesima persona che ha pagato per i suoi fallimenti. Si domanda se la sua debolezza sia stata un errore, se costerà cara, non solo a lui, ma anche alle stesse persone che ha tentato strenuamente di proteggere. Si domanda se il ragazzo sarà in grado di sopportare un fardello del genere, un fardello che lui ha imparato a vestire come una corona, col tempo, ma che potrebbe rivelarsi troppo pesante per chi non è abituato a custodire segreti tra le epoche.

    Ignora, Alexius, che Parsival rispetterà la parola data fino al giorno della sua morte, e che sarà invece l’innocenza a tradire la sua fiducia. Ignora, Alexius, che altri oseranno, altri pagheranno, e altri soffriranno. Ignora che la sua scelta metterà in moto un eco che verrà percepito a distanza di anni, con nuove vittime protagoniste della stessa, solita vecchia storia. Perché se c’è una cosa che non ha mai imparato, Alexius, è che l’essere umano è sempre uguale. Perché una volta che comincia a sgorgare è difficile fermare il sangue.

  2. #12
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    Re: 1,3,7-trimetilxantina

    Anno CDLXXXVI (486) D.D.
    III Mese delle Rose
    II giorno di Giove


    Non ama attendere, la signora delle tempeste. D’altronde è naturale: chi combatte da sempre con le unghie e con i denti per ottenere ciò che desidera ad un certo punto perde la capacità di accontentarsi. Ma lei, forse, quel dono non l’ha mai avuto.
    Riflette sul suo passato, sul percorso che l’ha portata lì, in quel momento, nella sala più lussuosa del castello più imponente della regione, e tante ombre si affollano nel suo cuore. Ma lei ha imparato a sfruttarle, a renderle la propria arma: le ha trasformate nei gradini della scala che l’ha portata a regnare tra agi e ricchezze. E non è stata una scalata facile, ma questo la donna non lo ammetterà mai, nemmeno a se stessa: ha bisogno di credere che sia invincibile per poter raggiungere quello che brama. È nata sotto il segno del tuono, come tanti altri, ma non aveva di certo intenzione di rimanere nell’anonimato a lungo: ha cambiato il proprio destino, ha versato sudore e sangue, lacrime e vomito, è venuta al mondo come un’Urthadar qualunque, figlia di un ramo cadetto della famiglia, e lo abbandonerà come l’unica Urthadar degna di essere ricordata. Questo è il suo disegno. Questo è il suo futuro. Questo è ciò che guida la sua mano quando pugnala con la sua lama preferita il cuore del giovane, il secondo in pochi mesi, un innocente attratto con l’inganno, uno dei tanti soldati che hanno giurato di proteggere la sua famiglia da ogni pericolo ignari che un cancro si fosse già diffuso in quelle stanze dorate. O, più precisamente, nelle loro fondamenta, sepolto nella cripta.

    <<Zo dir sa, maleficarum sa>>, sussurra al suo orecchio, accompagnando con il suo dolce tono di voce il viaggio del malcapitato verso i campi Elisi. Ma quelle parole, pronunciate in una lingua dimenticata, non sono per lui. Il corpo ormai senza vita crolla a terra: non rimane altro che un involucro di carne, pronto ad accogliere il vero ospite della serata. <<Da vir sa, maleficarum sa>>. La donna si china, sollevando però la gonna: preferirebbe non sporcarsi il vestito, ha un invitato speciale e desidera apparire come una buona padrona di casa. Immerge un solo dito, l’indice, nella pozza di sangue che si è creata vicino ai suoi piedi, come un’artista che bagna il proprio pennello e si prepara a dipingere. Poi, con movimenti controllati e sicuri, disegna un simbolo sul collo del sacrificio. Si tratta di una runa antica, probabilmente abbandonata per il suo inquietante potere, ma non da chi è disposto a oltrepassare ogni limite per soddisfare il proprio egoismo. <<Ho spezzato il sigillo, maleficarum. Sei libero>>. Le linee tracciate si illuminano di cremisi e poi è questione di pochi secondi: la vita torna ad abitare quel corpo, ma è una vita diversa da quella che l’ha appena abbandonato, una vita antica e oscura, che appartiene a un’epoca ormai lontana.

    La donna torna in piedi, si allontana da ciò che si illude di poter controllare e assiste al miracolo, silenziosa, concentrata. È vanesia, ma non stolta: sa perfettamente a che gioco sta giocando e conosce i rischi. Il cadavere si alza davanti ai suoi occhi, come se non fosse successo niente. <<Ko borte sa, da vorte sa>>, la voce è identica a quella del soldato, ma non è la stessa entità. <<Va mi koder sa, vo noker sa. Scruta la mia mente, maleficarum, e ricorda la mia lingua>>. Il tono è imperioso, forse per manifestare una vana sicurezza, perché è ben cosciente del fatto che chi ha di fronte potrebbe disintegrarla con un semplice schiocco delle dita. Ma la creatura, invece, esegue l’ordine: d’altronde non ha nulla da perdere, e per chi ha l’eternità a disposizione ogni distrazione equivale a un po’ di sano divertimento. Le sue iridi si tingono di rosso e alla signora delle tempeste manca la forza nelle gambe per un istante, un brevissimo secondo nel quale lo spirito vaga nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, nelle sue conoscenze e in tutto ciò che la rende la persona che è. <<Elissa>>, assapora il suo nome, lo ripete più volte, forse lo incuriosisce. <<Questo corpo era vuoto al momento del mio arrivo. è una grave offesa, sai, invitare un dio in un cadavere. È umiliante>>. Per un istante il dubbio si insinua dentro Elissa, si domanda se ha fatto la cosa giusta, se ha azzardato troppo, ma il suo sangue freddo ha presto la meglio: il maleficarum, ricorda, non può che esserle grato. Lo ha salvato da una prigionia senza fine. Deve solo sperare che la gratitudine sia un sentimento che la creatura è ancora in grado di provare.

    <<Se hai letto i miei pensieri, sai che conosco molto bene la tua razza, così come le pratiche di colui che desidera eliminarti. Ti ho sottratto a una gabbia che ti stava troppo stretta, penso che tu possa perdonarmi la nuova, temporanea dimora>>. Lo spirito cambia espressione, diventa più serio, più attento: Elissa non è un’entità millenaria, ma ha vissuto esperienze e affrontato sfide che pochi altri umani possono anche solo lontanamente concepire. La sa bene, il maleficarum, gli è bastato un solo secondo per fare sua l’intera vita della donna che si trova di fronte. È un insetto, paragonato a lui, ma un insetto che non deve essere sottovalutato. Uno di quelli piccoli, ma che se ti punge ti uccide col suo veleno. <<Bene>>, si guarda intorno, questo castello non gli è estraneo, ma gli effetti della runa faticano a scomparire, <<Mi hai donato la libertà, posso donarti la mia attenzione, e il mio nome. Mi chiamavano Xerneas>>. La donna annuisce: non è un’informazione nuova, ha indagato a fondo insieme ad Alistair e sapeva perfettamente chi stesse evocando. <<Lo sai già, però>>. E sa perfettamente che è come un libro aperto per lui. Ma tutti i suoi studi, tutte le sue ricerche… hanno portato a questo momento. Elissa ha sacrificato fin troppo per sprecare l’occasione che gli Dei le stanno offrendo. Dei che, chissà, magari approvano i suoi desideri e la sua sete di gloria: giunge veramente a pensarlo, la Urthadar, tanto cieca l’ha resa il suo egoismo.

    <<Quello che ti chiedo in cambio della libertà è semplice>>. Il dado è tratto, non si torna indietro. <<Voglio diventare come te>>. Xerneas, divertito, non può che apprezzare l’ardore della donna. <<Desidero avere la tua magia e le tue conoscenze. Desidero replicare ciò che tu e i tuoi fratelli avete osato secoli fa. So che è possibile, ogni rito può essere ripetuto, con il dovuto impegno, e ho studiato il vostro. Per questo so che necessito del tuo aiuto>>. Non sta mentendo, il maleficarum lo sa: ha visto anche questo, nei suoi ricordi. <<Hai già provato. E hai fallito>>. Non si scompone, Elissa. Non permetterà alla rabbia di porsi tra lei e il suo obiettivo. <<Pochi mesi fa, sì. Ho tentato di intraprendere il cammino da sola, bagnandomi del sangue del primogenito, come scritto nelle pergamene. Ma mio figlio Valerius si è rivelato più di quanto io sia in grado di gestire>>. Xerneas la ascolta in silenzio: rimembra quel nome, ma riesce a dargli un volto nuovo solo grazie ai ricordi della donna. Quanto tempo è passato? Mano a mano che la runa scompare la memoria, lentamente, comincia a tornare. Ricorda il suo viaggio verso quel luogo nei panni di un mercante, lo sguardo spaventato dell’uomo conosciuto come il Signore del Tuono, i suoi tentativi di rifiutare il meraviglioso regalo che gli stava donando. Ricorda che lo aveva già visto, quel volto, tanti anni prima. Ricorda un ragazzo e un bambino, abbracciati, impauriti, ricorda i loro nomi e li identifica con gli stessi nomi custoditi nella memoria di Elissa. E infine ricorda Yvetal, colui che ha tradito il sangue. Il reietto che si era illuso di poter vivere una menzogna. <<Sono passati 22 anni>>, non è una domanda: Elissa lo comprende, perciò rimane in silenzio. <<Il bambino ti ha aiutato. Alistair. Beh, non era più un bambino quando ti ha raccontato di me>>. Non serve negare. Non serve confermare. Xerneas sa che è la verità. <<Povero, povero Parsival, quanti complotti alle sue spalle>>, si sente di nuovo se stesso, il maleficarum: il potere del sigillo è ormai un’ombra di ciò che era. Non è particolarmente sorpreso, inoltre, dalla richiesta della donna. Tanti mortali hanno chiesto lo stesso dono a lui e ai suoi fratelli: d’altronde è stata proprio la Hybris a trasformarlo in quello che è ora, quindi conosce perfettamente il senso di oppressione tipico della condizione umana. Nessuno, però, è mai stato soddisfatto. Non si diventa un dio solo perché lo si desidera, Xerneas lo sa bene, e il cammino che conduce al rito finale è arduo: ritiene inconcepibile che questa donna abbia anche solo pensato di poterlo portare a termine senza il suo aiuto.

    Ma la verità è che i suoi fratelli sono ormai sparsi per il mondo, imprigionati in umilianti prigioni di ossa, e lui è rimasto solo. Lo era già prima della sua prigionia, lo è stato per molto tempo, e l’ultima sconfitta gli è servita da lezione: il suo nemico è troppo potente, e per ottenere la sua vendetta ha bisogno di una mano. Xerneas, però, non si accontenta facilmente. <<Avresti fallito anche se tuo figlio non fosse riuscito a fuggire>>, parole che colgono impreparata Elissa e le fanno gelare il sangue nelle vene, perché la signora delle tempeste è abituata a trovare conforto solo nel controllo. <<Ho visto, dentro di te, l’odio che nutri per il ragazzo. Il sangue del primogenito è necessario, lo richiede il rito, ma la chiave del cammino è il sacrificio: il sacrificio del primogenito, tra il resto, e poi di se stessi. La morte di Valerius sarebbe una liberazione per te, non un sacrificio. Non funziona così>>. Cosa chiederle, però? Cosa potrebbe valere come primo sacrificio? Ma soprattutto, cosa lo farebbe divertire? È una domanda difficile a cui rispondere, quest’ultima, soprattutto per qualcuno come lui.

    Alla soluzione, infatti, non ci arriva grazie alla logica, ma la trova per caso, quando percepisce qualcosa che fino ad allora non era riuscito a individuare. Una terza presenza, infinitamente più debole, a malapena viva, ma che fa loro compagnia dall’inizio della conversazione. Il maleficarum si avvicina alla donna, le accarezza il ventre e le sue iridi si tingono nuovamente di rosso: sta usando il suo potere più grande, il più occulto, ma Elissa non lo verrà mai a sapere. Sta scrutando ciò che è precluso agli esseri umani, ciò che molti si vantano di conoscere, ma che solo la sua razza può spiare con gli occhi color cremisi. <<Tuo figlio andrà bene>>. Il silenzio, per molto tempo, viene interrotto solo dal rumore lontano dei tuoni. <<Val->>, <<Non Valerius, quello che porti in grembo>>.

    Il silenzio cala nuovamente nella stanza. La donna sospettava, ormai da qualche settimana, di essere incinta, e le parole di Xerneas non lasciano spazio a molte interpretazioni. <<Andrò a cercare il tuo primogenito, e prenderò possesso del suo corpo. So che conosci gli effetti della possessione, ma non temere, il tuo corpo mortale sarà solo un brutto ricordo dopo il Cammino. Quando tuo figlio sarà adulto tornerò da te, ti porterò il sangue di Valerius e mi permetterai di impossessarmi del secondogenito. Sarà lui il tuo sacrificio. Quando sarò dentro di lui, infine, terminerai il Cammino con il mio aiuto. Servirà una lunga preparazione, ma avremo tempo per discuterne quando sarò nel corpo di tuo figlio. Per quanto riguarda Parsival e Alistair...>>, un altro sorriso compare sulle sue labbra, <<Non credo sia necessario specificare che non c’è spazio per loro in questo disegno>>.

    Elissa, che lo ha ascoltato attentamente, non proferisce parola a lungo. Sta riflettendo su quello che le è stato chiesto.
    Quattro vite, nulla di più, nulla di meno: tre vite oltre a quella che credeva di dover rubare.
    La prima generata dal suo grembo, la seconda legata a lei dal matrimonio, mentre quella di Alistair è l’unico motivo per cui ora si trova davanti a un dio, lo stesso dio che le sta offrendo l’agognato potere. La fine della sua dinastia in cambio di ciò che cerca, di ciò che ha cercato, di ciò che continuerebbe a cercare se rifiutasse il dono dello spirito.
    Sarà l’ultima Urthadar. La più potente. Colei che verrà ricordata dalla storia.
    <<Accetto>>, non prova gioia, la signora delle tempeste, ma sa che nel suo ventre sta crescendo colui che le permetterà di raggiungere la gloria. Lo accarezza, con dolcezza: ora comprende il significato del Cammino. Tenterà di donare una buona vita, seppur breve, a quel bambino.

    Xerneas le sorride, china il capo in segno di saluto e si allontana ancora in quel corpo che lo disgusta, che gli ricorda la sua gabbia, i suoi limiti. Ma trova la forza di resistere, perché ora sa quanto divertimento lo attende. Un divertimento che lo condurrà dritto alla vendetta che desidera dal momento della sua nascita, quando un debole uomo rifiutò il dono dei propri fratelli.
    I suoi occhi rossi lo hanno visto. Non con chiarezza, ma è riuscito a spiare qualcosa, ad avere un assaggio di quello che vivrà il bambino in quel grembo, e che poi vivrà lui stesso: era una guerra, ne è sicuro. Uno scontro fratricida, tema a lui caro, e battaglie all’ultimo sangue. Morte, dolore, sofferenza: altre sue passioni. I protagonisti: figli di Dei che non venera. Una donna di ghiaccio, una di fuoco, una chioma dorata. Una sorella ribelle, occhi di una serpe, un cuore diviso in due e un uomo del nord. Facce confuse e destini segnati, di cui ha letto solo il sunto della trama, come si fa con un buon libro prima di acquistarlo. Ma soprattutto, prima di tutto questo, ha visto l’odio di un ragazzo per la propria madre, e l’ombra dell’omicidio sul quel cuore che ancora non si è formato. Abbandona la magione soddisfatto, il maleficarum, sicuro di aver appena concluso l’affare del secolo: tanto divertimento, un’intero regno da conquistare a disposizione per la sua vendetta, e un debito che non sarà mai costretto a ripagare. Tornerà tra molti anni da un matricida orfano e solo, per reclamare ciò che gli spetta: un corpo potente che lo porterà faccia a faccia con Yvetal, un corpo che spera di poter portare alla guida di un enorme esercito. Questo crede, perché nulla di ciò che ha visto glielo fa dubitare e ignorerà fino a quando sarà troppo tardi lo scherzo che il Fato ha intenzione di riservargli, l’evolversi caotico di eventi che nemmeno con il suo immenso potere è riuscito a prevedere. Un intreccio disegnato dagli Dei, quelli veri, che lo condurrà alla sua condanna finale.

    Elissa, invece, rimane nella sala più lussuosa del castello più imponente della regione, ora adornata anche di morte, con solo le sue colpe a farle compagnia. Ma non le pesano troppo. D’altronde è naturale: chi combatte da sempre con le unghie e con i denti per ottenere ciò che desidera ad un certo punto perde la capacità di provare rimorso.
    Si domanda, tra sé e sé, quanto ci vorrà esattamente prima della sua apoteosi. Spera pochi anni: non ama attendere, la signora delle tempeste. Nella sua bocca, però, sente già il sapore del sangue.

  3. #13
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    Anno CDLXXXVI (486) D.D.
    I Mese del sole
    I giorno di Saturno


    Cammina ormai da ore per le strade della sua città, il Lord delle Tempeste.
    Il battito del suo cuore, veloce, irregolare, è l’unico suono che gli fa compagnia: Capo Tempesta sta dormendo, cullata dall’oscurità della notte, e con lei i suoi abitanti. Si è assicurato di non essere seguito da nessuno, approfittando della stanchezza dei soldati dopo la grande festa della sera prima, e ora attraversa la piazza del mercato, ancora invasa dagli odori del giorno degli Dei, poi la via principale, con i calessi dei mercanti sul lato della strada, e infine raggiunge la sua meta: un piccolo vicolo, buio e stretto, nascondiglio perfetto per chi non vuole rivelare al mondo la propria presenza. Parsival si guarda intorno, sfruttando la flebile luce delle fiaccole, alla ricerca dell’uomo che dovrebbe incontrare. Un spettro del passato, incarnazione del mistero perpetuo che lo ha accompagnato per vent’anni e a cui non ha mai saputo dare una risposta. Ma forse, finalmente, è giunto il momento della resa dei conti.

    <<Parsival>>, basta la sua voce a scatenare un insieme di reazioni: prima di tutto un brivido di freddo, che gli attraversa la schiena e raggiunge la base del capo, quasi come se fosse stato colpito da una morsa di ghiaccio; poi ansia, malessere, paura, che si fondono e gli opprimono il petto, contribuendo ad acuire quel perenne peso con cui si è rassegnato di dover spendere il resto della sua vita; infine, risentimento. Un risentimento forse non giustificato, ma che lo porta a stringere i denti e a doversi calmare in pochi secondi prima di potersi girare, per affrontare faccia a faccia colui che un tempo era il suo maestro. <<Grazie per essere venuto>>, non si sforza nemmeno di essere cordiale, sa che non ci riuscirebbe, e non è neanche sicuro che la situazione lo richieda. Ripensandoci, si pente anche di averlo ringraziato: è lui che gli sta facendo un favore, alla fine dei conti. È lui che ha bisogno delle sue informazioni. Ed è lui, gli Dei lo sanno, che ha commesso quell’errore madornale vent’anni fa. Questo si ripete da mesi, il Lord delle Tempeste, e vorrebbe poterlo credere davvero: convivere con la responsabilità della rovina della propria famiglia è più di quanto possa sopportare.

    <<Non pensavo che il messaggio ti sarebbe arrivato. Ma dovevo provare… sapevo che tutto il rumore causato dalla morte di mio figlio ti avrebbe attirato a Capo Tempesta e diffondere la voce che l’omicidio poteva essere collegato a quello di mio padre è stato facile. Solo così saresti stato convinto a rimanere per qualche giorno… ovvero tutto il tempo che mi serviva per trovarti e farti recapitare la lettera>>. Ripete cose di cui Alexius, probabilmente, è già a conoscenza, ma Parsival sente il bisogno di demolire questo muro di ghiaccio che si è creato tra loro due. Non riesce a leggere il suo viso, celato dal buio e da un pesante cappuccio, e sente di trovarsi di fronte a un totale estraneo. Il che, a onor del vero, non è nemmeno così troppo lontano dalla realtà. <<Come ti ho anticipato nella lett… fermo, cosa stai facendo?>>, il Signore del Tuono indietreggia, seguendo il suo istinto, quando vede l’uomo avvicinarsi e allungare una mano, come se volesse afferrargli il braccio. Cerca il suo sguardo, ricacciando indietro il ricordo dei suoi occhi completamente bianchi e vuoti, ma non vi legge del rancore: solo… sorpresa. La stessa che prova anche lui quando realizza che il suo maestro non è minimamente invecchiato. <<Vuoi davvero parlare in questo vicolo angusto?>>, gli chiede, e prima che possa ricevere una risposta tocca la spalla di Parsival e chiude le palpebre, come per concentrarsi.

    È questione di pochi istanti: la strada, gli edifici e l’oscurità scompaiono nell’etere, che poi prende la forma di… di qualcosa di meraviglioso. Il lord non riuscirebbe a descrivere in altro modo ciò che lo circonda: la natura incontaminata, con arbusti e alberi di ogni colore, si stende per chilometri e chilometri per poi perdersi nell’orizzonte. Completamente rapito, Parsival si guarda intorno e nota solo in quel momento che dietro lui e Alexius vi sono delle rovine, apparentemente molto antiche ma ben conservate, invase anch’esse dalla vegetazione. <<Dove siamo?>>, la domanda è lecita, e l’uomo incappucciato gli sorride, come se avesse la risposta pronta da tempo immemore. Vi è, però, una punta di tristezza nel suo sguardo. <<Un tempo qui sorgeva la città di Ankaria. Ci troviamo… lontano da Dohaeris. Molto lontano>>. Ora anche Alexius sta guardando l’orizzonte, ma Parsival ha l’impressione che davanti i suoi occhi vi sia molto di più. <<Era una delle meraviglie del mondo antico, con i suoi edifici bianchi come l’avorio, i monumenti, le strade lastricate di marmo… qua, precisamente, sorgeva il tempio principale. Queste sono le sue rovine, le uniche che hanno resistito alla crudeltà del tempo, anche grazie alla mia manutenzione>>. Vorrebbe dire qualcosa, il Lord delle Tempeste, ma non riesce neanche ad aprire la bocca. Non è sicuro di quello che stia succedendo, o se stia effettivamente succedendo, perché sì, sospetta che potrebbe trattarsi di un sogno; eppure sembra tutto così vero, così reale. Assurdo, ma reale. <<Sono nato e cresciuto qui, nel tempio>>.

    A queste parole, Parsival strabuzza gli occhi e cerca il viso di Alexius. <<Cosa?>>. Ha capito male, è ovvio: l’uomo ha parlato di rovine, di un’antica città e di un mondo che ormai non esiste più. Non è possibile che sia nato, né tantomeno cresciuto, in questo tempio. Certo, non è invecchiato rispetto a vent’anni fa… ma no, sicuramente vi è una spiegazione logica. Anche stavolta, però, Alexius sembra avere la risposta pronta e sorride al suo pupillo, come se si trovassero nuovamente nella biblioteca di Castello del Tuono e fossero impegnati con una delle loro vecchie lezioni. Come se non fossero passati vent’anni. Come se il sangue non avesse mai sporcato la loro vita. <<Ho molti più anni di quelli che dimostro, Parsival. Ho perso il conto… ma quando è nata la vostra Deirdre dell’Ovest avevo già visto fin troppi tramonti>>. Anche questa confessione viene accolta col silenzio. L’Urthadar continua a non proferire parola, ma non osa distogliere lo sguardo dal volto dell’uomo che si trova davanti. Migliaia di dubbi gli affollano la mente, dubbi su Alexius, su questo luogo, sul passato. Sono questi ultimi ad avere la meglio, e finalmente il Signore del Tuono si ridesta dal suo torpore: questa, se ne sta rendendo conto solo ora, è la sua occasione. L’occasione per dare un significato all’incubo di 22 anni fa, quell’incubo che non ha mai smesso di tormentarlo, che ha cambiato la sua vita per sempre. Quell’incubo che gli ha portato via un padre, un figlio, e un fratello.

    <<Anche il mostro con gli occhi rossi è antico, vero? Ti conosceva>>, una domanda che nasconde un’altra domanda; il vero messaggio rimane nascosto tra le righe, ma Alexius lo recepisce forte e chiaro: è giunto il momento, raccontami tutto. <<Xerneas era… mio fratello>>. L’uomo incappucciato fa cenno all’Urthadar di seguirlo, e Parsival esegue il comando: il duo entra nelle rovine e si sposta davanti a un muro bianco, su cui il lord nota delle scritte incise che da lontano non aveva modo di vedere. O almeno, ipotizza che siano scritte, perché in realtà si tratta di simboli a lui sconosciuti, posti uno dopo l’altro, come se formassero delle parole. In totale, crede ve ne siano sette. <<Questo era il mio nome>>, Alexius indica una delle sette parole, precisamente la penultima a partire dall’alto. <<È scritto nella lingua che si parlava in questa regione. Si pronuncia Yvetal. Sotto, invece, vi è scritto Xerneas>>. Parsival non potrebbe mai dimenticare quel nome. <<Il mostro>>. Alexius annuisce. Non vuole, e non può, correggerlo: ha perso suo fratello tanti, tanti anni fa. Ciò che ne rimane è solo un male da estirpare. <<Come ha fatto ad assumere le sembianze di mio padre?>>. Un’altra domanda che, dopo tutto quel tempo, Alexius lo sa, merita una risposta. <<Per risponderti temo di dover partire dal principio>>, indica nuovamente le sette parole che, ormai è chiaro, corrispondono a sette nomi.

    <<Oltre al mio e a quello di Xerneas, su questa parete sono scritti i nomi dei nostri fratelli. La nostra famiglia, di generazione in generazione, aveva sempre avuto l’onore di occuparsi del tempio, per questo io sono cresciuto qui. Nella nostra società non vi erano figure come i vostri septon, le uniche autorità religiose eravamo noi. Il nostro pantheon era composto da sette dèi, tutti maschi, e tradizione voleva che ogni primogenito della famiglia, il primo di sette fratelli, avesse a sua volta sette figli, tutti maschi. Non credo sia necessario specificare cosa accadeva nel caso nascesse una femmina>>. Ad Alexius basta uno sguardo per capire che può proseguire con il suo racconto. <<Già molti anni prima della mia nascita, il potere della mia famiglia aveva cominciato a rivaleggiare con quello dei re di Ankaria, fino ad allora la massima autorità politica. Mio padre, però, non era assolutamente intenzionato a impegnarsi in una guerra per il controllo della città: era un uomo di fede, dedito alla sua missione, e non desiderava il trono. Ma mio fratello Cobalion era di tutt’altro avviso>>. Il dito dell’uomo si sposta sul primo nome dell’elenco: è scritto con dei caratteri leggermente più grandi degli altri, e all’interno delle incisioni vi sono residui di un metallo bianco, che brilla al sole. <<Cobalion era il primogenito della mia generazione, e una volta morto mio padre avrebbe avuto tutto il tempo per combattere un’insulsa guerra e vincere il trono di Ankaria. Probabilmente lo avrei aiutato anche io, non avrei mai osato voltare le spalle alla mia famiglia. Ma Cobalion… non era sano. Parlava spesso da solo, o con gli dèi, spesso aveva delle vere e proprie crisi. Ma nonostante questo era anche incredibilmente carismatico>>. Parsival, ormai, pende dalle labbra del suo interlocutore. Sa che sta per ottenere le risposte che cerca da sempre.

    <<Tentò di convincerci che era giunto il momento di prendere il posto che meritavamo di diritto a fianco dei nostri dèi. Niente più re a cui rispondere, niente più leggi umane da rispettare. “Ci agitiamo nelle nostre gabbie. Ci perdiamo nei sogni di gloria. È giunto il momento di sfidare i nostri padri e di spezzare le nostre catene”. Non dimenticherò mai queste parole… parole che riuscirono a convincere i miei fratelli>>. L’Urthadar comincia a capire la piega che sta prendendo il racconto. <<Uccise vostro padre?>>, chiede schietto, completamente rapito dalla storia per preoccuparsi del tatto. <<Sì, all’inizio. Poi vi furono altre vittime. Avvenne tutto in una notte, qui, nel tempio. Ma Cobalion aveva messo a punto il Cammino, così lo chiamava, con mesi di anticipo: il massacro finale fu semplicemente la conclusione del rito. Figli, mogli… vennero eliminati tutti>>. Il silenzio regna per qualche minuto, fino a quando Parsival non trova il coraggio di esprimere il suo cordoglio. <<Non so cosa dire… se non che mi dispiace>>. Ed Alexius gli regala un sorriso, a metà tra il grato e l’amaro, per poi riprendere a parlare. <<È passato tanto tempo… ho trovato la mia pace>>, poi, di nuovo, la serietà torna sul suo viso. <<Fin da subito mi ero opposto a quella folle idea. Cobalion parlava del rango di divinità… ma gli dèi sono ben altro, lui voleva semplicemente trasformarci in mostri. E ci è riuscito, coi miei fratelli. Sono diventati… abomini, esseri senza corpo, dei parassiti. Maleficarum, da Maleficar, il nome della nostra famiglia. Ma con me… con me sapeva di non avere speranze. Quindi incaricò Xerneas di convincermi, dato che era il fratello a cui ero più legato. Eravamo gemelli>>. Parsival strabuzza gli occhi, per l’ennesima volta da quando si trova in queste rovine, e non riesce a trattenersi. <<Gemelli?>>. Alexius prima sospira, e poi annuisce. <<Sì. Ma neanche lui fu in grado di convincermi. Il Cammino richiedeva il sacrificio del proprio primogenito… e amavo troppo mio figlio per commettere un atto del genere. Fatto sta che nessuno prese bene il mio rifiuto, in particolare Xerneas. Come ti ho detto... sette dèi, sette fratelli. Non riuscivano ad accettare che avrebbero intrapreso il Cammino solo in sei>>. Continua a parlare, l’uomo incappucciato, ma la mente del Lord delle Tempeste rimane concentrata su una sola frase: Il Cammino richiedeva il sacrificio del proprio primogenito. E finalmente, proprio come in un puzzle, pezzo dopo pezzo il disegno comincia da apparire.

    <<Hai detto… hai detto che sono diventati… esseri senza corpo. Significa che….>>, ormai Parsival sta sussurrando; forse per paura, forse per rispetto, forse perché la nausea che avverte lo costringe a pesare ogni parola che pronuncia. <<Significa che dopo aver eliminato i propri cari uccisero anche se stessi. Abbandonarono i propri corpi e diventarono puro spirito: immortali, certo, ma maledetti. Per interagire con il mondo materiale, infatti, sono costretti a possedere altri corpi… è così che sono sopravvissuti di epoca in epoca>>. Il Signore del Tuono potrebbe terminare da solo il racconto: ha capito, ormai, qual è la conclusione. <<E tu vuoi eliminarli, vero? Tutti?>>. Alexius annuisce, con le labbra piegate in una smorfia che l’Urthadar non riesce bene a interpretare. Forse è questo l’unico, vero tasto dolente dell’uomo che si trova di fronte. O forse si tratta di tutt’altro: come può un semplice umano, d’altronde, comprendere la mente di chi si porta millenni sulle spalle? <<Pochi giorni dopo il massacro, Xerneas tentò di uccidermi. Aveva trovato la mia famiglia e si era impossessato del corpo di mio figlio>>. Di nuovo il silenzio. Non serve altro. <<Spero tu possa perdonarmi il lungo racconto, ma era giunto il momento che venissi a sapere cosa è davvero successo a Valerius. E meritavi la storia completa>>.

    Gli occhi di Parsival, colmi di gratitudine, non riescono a trattenere una lacrima. <<La mia strada e quella di tuo padre si sono incrociate quando eri ancora in fasce. Ero sulle tracce di Xerneas da anni e… beh, lui sulle mie. Una volta imprigionati tutti i nostri fratelli, infatti, la sua ira era diventata tale da convincerlo a uscire dalle ombre per trovarmi e uccidermi prima che io potessi occuparmi anche di lui. Valerius si mise in mezzo>>. Prima di continuare, Alexius solleva una mano e la pone sulla fronte di Parsival. Le rovine si perdono nell’oscurità, e l’oscurità si tramuta in immagini: all’inizio sfocate, ma poi, piano piano, sempre più definite. <<Stavamo combattendo poco lontano dal confine di Dohaeris, nella Terra delle Tempeste. Mi ero rifugiato in un piccolo borgo, dove speravo che Xerneas non mi avrebbe raggiunto: avevo appena trovato e imprigionato Cobalion dopo secoli di caccia e avevo bisogno di riprendermi. Sia fisicamente… che mentalmente. Ma ovviamente Xerneas era venuto a saperlo e volle approfittare della mia debolezza>>. Li vede, Parsival, quei maledetti occhi rossi che non ha mai dimenticato. Li vede e facendosi strada dal passato riescono a graffiarlo, a farlo sentire debole, inutile. Non comprende se le emozioni che prova siano le sue, o quelle di Alexius. <<Probabilmente sarei morto senza l’intervento di tuo padre. Comparve dal nulla, con un piccolo plotone di soldati al seguito, e riuscì a tenere testa a Xerneas con il mio aiuto. Tentai il Rito del Vincolo, ovvero… ciò che mi hai visto fare al cadavere di tuo padre, ma riuscì a fuggire prima che riuscissi a completare la runa>>. I ricordi di uno si mischiano con quelli dell'altro. <<Praticamente tuo padre, in pochi mesi, era stato in grado di scoprire quasi tutto sull’esistenza dei maleficarum e sulle leggende che li circondano, leggende che fortunatamente considerò vere. Gli era giunta voce di un bandito che tormentava i paesi della sua regione, un bandito estremamente pericoloso e con una caratteristica particolare: il colore degli occhi, rossi come il sangue>>. Nel rivedere suo padre in quelle immagini, gli occhi di Parsival si riempirono di lacrime. <<Da quel semplice dettaglio riuscì ad avvicinarsi alla verità più di ogni altra persona che abbia mai conosciuto, e a salvarmi la vita. Per la prima volta dopo secoli i ruoli si erano invertiti. Il suo tempismo fu miracoloso: ho davvero creduto che fosse opera degli Dei. Gli stessi Dei che, per burlarsi di me, hanno permesso al tempio di crollare tranne che per questa parete, su cui è inciso il mio fallimento>>.

    Alexius interrompe il contatto e in un istante il Signore del Tuono torna al presente, tra le rovine, senza nemmeno provare un briciolo di confusione. Si sente come se si fosse appena svegliato dopo un sogno estremamente nitido. <<Credi nei miei Dei?>>, la domanda gli viene spontanea, ed è dettata da una sincera curiosità. L’uomo gli sorride, ma anche stavolta Parsival non riesce a interpretare appieno la sua espressione. <<Credo in tutti gli Dei, Parsival. Più di quanti tu possa immaginare. Però credo di più in ciò che, dopo secoli di esistenza, riesce ancora ad affascinarmi: gli esseri umani. Gli Dei sono statici, immobili nella loro perfezione. Noi siamo… frenetici, pieni di sfumature. Liberi di autodeterminarci. E liberi di sbagliare>>. Al Lord delle Tempeste basta uno sguardo per comprendere il vero significato dietro le parole di Alexius. <<Tu sai, vero?>>. Non serve nemmeno confermare. <<La magia che uso per cacciare i miei fratelli è strettamente collegata al mio sangue. Quando la runa è stata spezzata l’ho avvertito dentro di me, come se mi avessero pugnalato dritto al cuore. Ma non avevo modo di sapere quale dei sei maleficarum fosse stato liberato… poi, però, mi sono giunte le voci della morte di tuo figlio ed è arrivata la tua lettera>>. Ed è così che giunge il momento, per Parsival, di rivelare al proprio maestro il suo fallimento. Di condividere i suoi peccati, che lo feriscono più di una corona di spine.

    <<Valerius non è morto>>, i ruoli, ora, sembrano essersi invertiti: l’uomo incappucciato strabuzza gli occhi e guarda il più giovane con aria interrogativa, mentre il Signore del Tuono cerca il coraggio di continuare. <<Alexius, io… la verità è che dopo la morte di nostro padre, non ho più saputo controllare Alistair>>. Racconta di come si siano allontanati sempre di più, della freddezza dello stesso bambino che, il giorno della tragedia, lo aveva assicurato di non odiarlo, di quanto sia stato arduo crescere un Alistair colmo di risentimento, di rancore, verso di lui e verso la bestia che si è portata via il loro ultimo genitore. Racconta di come quell’anima innocente sia diventata sempre più scura, macchiata dal peccato di cui è stata vittima, e racconta di una distanza trasformata in abisso dall’interferenza di Elissa. <<Pochi mesi fa ho trovato strani libri nella biblioteca di mia moglie. Libri su antiche leggende, sulla magia estranea a Dohaeris. Ho trovato una pergamena, scritta in una lingua a me sconosciuta, con il testo accompagnato da un disegno di due occhi rossi. A quel punto non avevo più molti dubbi, Alistair le aveva parlato di Xerneas. Sono andato nella cripta, a controllare la tomba di nostro padre… non era più sigillata>>. Alexius accoglie queste notizie col silenzio. <<Sono certo che mio fratello non avrebbe mai osato violare il cadavere di nostro padre, ma Elissa… lo ha manipolato. È stata in grado di trasformare il suo odio nei confronti di quella figura con gli occhi rossi in una specie di… per quanto possa essere un pensiero malato, credo che Alistair abbia iniziato a venerarlo. Mia moglie è pericolosa, Alexius, più pericolosa di qualunque spirito antico desideri attentare alla mia vita>>.

    <<Ho provato a indagare, a scoprire cosa avessero in mente… fino a quando, una notte, mentre ero nel mio studio, un urlo disperato ha svegliato tutto il castello. Pochi secondi dopo è comparso mio figlio, completamente sporco di sangue, pallido come un cencio e con un taglio sulla gola>>. Le lacrime ormai sgorgano senza controllo dagli occhi del Tuono, mentre l’antico non riesce neanche a sbattere le palpebre, tanto è sconvolto. <<Il suo primogenito. Voleva intraprendere il Cammino>>, un sussurro che si perde nel racconto sempre più agitato di Parsival. <<Mi ha guardato dritto negli occhi, Alexius. Mi ha guardato, non ha fiatato ma mi ha guardato, era quella la sua richiesta di aiuto. E io… che gli Dei mi perdonino>>, tenta di sopprimere i singhiozzi, senza successo, <<Io ho abbassato lo sguardo. E quando l’ho rialzato, gli occhi azzurri di mio figlio non c’erano più. Gli occhi del bambino che ho visto crescere erano scomparsi per sempre, ed è comparsa mia moglie, con in mano una lama insanguinata>>. Non riesce più a fermarsi, il Lord delle Tempeste: ha trattenuto dentro di sé troppi segreti, per troppi anni. Troppe ultime gocce, troppi vasi traboccati: e la terra, ormai, è piena di cocci. <<Ero terrorizzato. Terrorizzato da Alistair, da Elissa, da Xerneas. Avevo la mente completamente vuota, davanti a me vedevo solo il cadavere di mio padre, con due rubini al posto degli occhi. Sono stato un cordardo, lo so, Dei… non ho alcuna giustificazione. Ma ero solo, completamente solo. E non sono riuscito a combattere per mio figlio>>. A questo punto Parsival si aspetta una punizione. Si aspetta violenza, insulti, di tutto; quello che non si aspettava, però, era la mano del suo maestro sulla sua spalla.

    <<L’impotenza dovuta all’essere soli fa più male di una freccia nello stomaco>>, gli dice, pacato, con il tono di un padre amorevole. <<Pensavo… quando ho sentito di tuo figlio, pensavo che Xerneas fosse fuggito nel suo corpo, e che ovviamente aveste mascherato la realtà. Invece… la verità è molto più spaventosa>>. Alexius è sicuro di ciò che crede, non ha bisogno di altre prove. <<Tua moglie ha intrapreso il Cammino. Il Cammino è… è il rito che ha trasformato i miei fratelli in maleficarum. E il primo passo del Cammino è il sacrificio del proprio primogenito>>. Parsival annuisce: aveva già collegato le due cose durante il racconto dell’antico. <<Probabilmente, dopo che il suo piano è fallito, ha spezzato la runa del vincolo e poi ha evocato Xerneas per chiedergli aiuto. Per recuperare Valerius e per… continuare il Cammino>>. Esattamente ciò che il lord non voleva sentire. <<Alexius, ti prego>>, non pregava nessuno da anni, il Tuono, non ne aveva più avuto bisogno. L’ultima volta che quelle due parole hanno lasciato la sua bocca erano rivolte alla stessa persona. <<Non so cosa fare. Non sono sicuro di poter fare nulla. Anche se ordinassi la morte di Elissa, cosa che non posso fare, senza scatenare uno scandalo, non potrei salvare Valerius: ormai tuo fratello sarà già sulle sue tracce>>. L’uomo incappucciato sa già quale sarà la conclusione del discorso, e ascolta in silenzio, con il cuore sempre più pesante.

    <<Proteggi mio figlio. Salvalo dai miei errori. Non riportarlo a casa, non sarebbe al sicuro, ma… proteggilo>>. Vorrebbe rifiutare, Alexius. Vorrebbe poter inseguire suo fratello senza distrazioni, senza il peso di avere la morte di un ragazzo sulla coscienza. Ma nel suo animo, spezzato in due, alla fine prevale la parte che ancora non riesce a perdonare i propri sbagli. Si stringono la mano, i due uomini, entrambi lacerati dal passato e dai propri tormenti: sono figli di epoche differenti, ma lo stesso rimorso li divora. Il rimorso di non essere stati in grado di salvare la propria famiglia. Il rimorso di essere rimasti soli al mondo, perseguitati dal sangue che, nonostante gli sforzi, non riescono a lavare via. <<Andiamo a casa>>, un secondo prima i due vecchi amici si trovano tra le rovine del tempio, e quello dopo sono tornati nel vicolo angusto di Capo Tempesta, ora vagamente rischiarato dalle prime luci dell’alba. È giunto il momento di dirsi addio, pensa il Signore del Tuono, convinto che non vi sia altro da dire. <<Sarò per sempre tuo debitore>>, pronuncia queste ultime parole, e poi gli dà le spalle, illudendosi di essere pronto ad affrontare i mostri che vivono nel suo castello. <<Aspetta>>, non si muove, l’uomo incappucciato, attende che sia l’altro a girarsi; e una volta ottenuta la sua attenzione comincia ad avvicinarsi, lentamente, come un leone che non vuole spaventare la propria preda.

    <<Lo hai chiamato come tuo padre>>. L'Urthadar si limita ad annuire, senza proferire parola. Ed è allora che l'antico prende la sua decisione.
    <<Guardami, Parsival>>, cerca il suo sguardo azzurro, così simile a quello del padre, così diverso dal rosso che lo aveva corrotto. Ha letto troppo dolore in quegli occhi, un dolore che conosce molto bene, un dolore di cui si libererebbe volentieri, se potesse. Ma gli è precluso: è questa la sua maledizione, ed è questo il suo vanto. Porterà con onore anche il fardello di Parsival, se significherà donare almeno a uno dei due una vita non felice, ma almeno serena.
    Negli occhi del lord si alternano sorpresa, paura, rabbia: infine, però, la gratitudine ha la meglio.
    E stavolta l’Urthadar non distoglie lo sguardo. Stavolta accetta il suo destino, come si è pentito di non aver fatto vent’anni fa.
    Un grazie sussurrato abbandona le sue labbra, mentre Alexius inizia a raccontargli la storia di Parsival Urthadar. Gli parla di una vita agiata, senza le difficoltà della povertà, ma non per questo completamente priva di ostacoli; gli parla dell’omicidio di suo padre, perpetrato da un folle che soleva essere il suo maestro, a cui però non ha assistito perché ha perso i sensi prima della sua morte; gli parla di Alistair, suo fratello, la cui mente per trovare pace ha inventato storie di demoni dagli occhi rossi, e se mai gliene farà parola Parsival saprà rispettare il suo dolore, ancora forte dopo anni dalla tragedia; gli parla di una moglie che non ama, ma a cui vuole bene, di un figlio ribelle che meritava di morire e di un cuore lacerato da un rimorso puramente umano. Instilla odio, dove serve, e tolleranza, dove la ritiene necessaria.
    Come ogni storia anche questa ha una fine, e Alexius ordina a Parsival di tornare a casa e di dimenticarsi di lui: un nuovo giorno lo aspetta, e la Terra delle Tempesta ha bisogno del proprio lord nel pieno delle sue forze. Come ogni storia anche questa ha una fine, una fine che si protrarrà ancora per troppi anni, e che vedrà Alexius vegliare su una nuova famiglia, con un rischio troppo alto di fare la stessa fine della sua.

    Ogni storia ha una fine, racconta il vecchio ai figli del Fulmine. Questa, anche se non sembra, non fa eccezione. È nata dal sangue, si è nutrita di sangue, è cresciuta nel sangue. E Alexius sa, lo ha sempre saputo, nel suo cuore, che la sua conclusione potrà essere scritta solo col sangue.





    Anno DXIV (514) D.D.
    I Mese delle Foglie
    III Giorno degli Dei


    Terminato il racconto, nella sala del trono aureo regna solo il silenzio.
    I due fratelli si guardano.
    Petyr osserva Alexius.
    <<Altro che veleno>>, commenta il falso tuono, cercando gli unici occhi non azzurri nella stanza. <<Quella stronza dovevo farla sbranare dai cani>>.
    Our wills and fates do so contrary run

  4. #14
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    Re: 1,3,7-trimetilxantina

    Premetto che, nonostante non ci siano foto ed il testo è molto corposo, la lettura non è affatto pesante, anzi, sai coinvolgere dall'inizio alla fine. Leggevo ed il tutto si svolgeva tramite immagini nella mia mente, il mio vuole essere un complimento, perché è una qualità quella di saper trasmettere le scene ad un livello visivo, attraverso un testo, forse mi sono spiegata de merda, ma tanto mi hai capita U_U
    Comunque... alla faccia del casotto u_u Mentre leggevo dei maleficarum, mi è tornata alla mente quel pezzo di Valerius, dove ricordava di essersi trovato in una sala piena di occhi rossi, un ricordo che non pensava gli appartenesse ed ecco spiegato chi erano. Finalmente abbiamo un quadro sulle origini di questi esseri, bellissima tutta la storia, molto particolare (ammettilo u_u per i sette ti sei ispirato a Got). Anche qui sei riuscito a farmi immaginare tutto lo scenario, non abbiamo mai avuto spunti visivi al riguardo, tutto con un alone mistico e divino. All'inizio non avevo capito un bel niente di nonno Valerius (il vero nonno), mi sono domandata cosa gli fosse preso in presenza di Uovo (lo chiamerò sempre uovo), tutta la scena è stata descritta benissimo, ho immaginato tutto lo sconcerto negli occhi dei figli. ALISSA! ALISSA, NO! NON SI FA! Sapevo che era una stronza, ma... l'ho trattata, non ci sono parole, è un maleficarum in vita, malvagità pura. Aspettavo la soluzione di quello sguardo tra Valerius ed il padre, ricordo che mi ci soffermai parecchio quando lessi la scena dal punto di vista del primo, ho ipotizzato tante cose, ma non mi sono avvicinata alla soluzione u_u Scusami se non riesco a commentare tutto con dovizia (decentemente), le informazioni sono state tante ed ho il cervello in tilt. L'espressione finale di Aiden è il TOP! Comunque, ora ho un pessimo presentimento u_u brutto brutto, ci hai fornito tutti gli elementi per capire cosa dovranno affrontare Aiden e Valerius e non mi piace per niente u_u Mi affido al tuo buon senso per trovare una soluzione con il finale felice U_U MA TU NON SEI DA " E VISSERO TUTTI FELICE E CONTENTI", quindi ti odio a prescindere u_u
    No vabbè, tutto bellissimo, confermi la tua bravura sia nel creare personaggi che nel delineare una Bg complessa ma lineare. Aspetto con ansia il seguito

 

 
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