Erano ormai trascorse quasi tre settimane da quando le porte delle prigioni si erano aperte e mi stavo faticosamente adattando alla ritrovata libertà in un posto che mi era totalmente estraneo, anche se non potevo affermare che non fosse piacevole. Non ero tornata ad Asshai, non mi sentivo ancora pronta a mettere piede là dove la famiglia Feralys aveva fatto il bello ed il cattivo tempo, dove mi avrebbero guardata con lo sguardo severo di chi giudica e mi avrebbero rifiutato sdegnatamente il saluto.
Ogni mattina indugiavo sulla veranda, lo sguardo correva rapido oltre le colline, verso sud, nella vana attesa di un qualcosa che neppure io sapevo dire cosa fosse o forse solo con la speranza a breve termine che mia madre non si presentasse a colazione con la sua aria perennemente infuriata.
La nostra nuova casa, mia e di Illyria, si trovava esattamente al centro di un piccolo podere, sul poggio più elevato di una distesa ondeggiante di verdi colline e vasti prati di papaveri e girasoli. Non era propriamente un’abitazione modesta, ma nemmeno si poteva definire una reggia come la Rocca di Asshai, si trattava più che altro di un aristocratico villino di campagna. In fin dei conti a me piaceva, non avevo bisogno della grandiosità e della magnificenza di quattro pareti per continuare a tessere il filo rosso che mi portavo dietro fin dagli ultimi giorni alla Torre. Prima di andar via dalle prigioni di Doaheris Gildas mi aveva pregato di non cercarlo per non compromettere la sua situazione con Astor, che avrebbe trovato lui un modo per contattarmi quando sarebbe stato sicuro di non essere scoperto e, a malincuore, fui costretta a promettere di non fare passi falsi.
Nonostante tutto, ogni giorno era più difficile del precedente, la vita con mia madre era tutt’altro che tranquilla, ogni mattina appena sveglia cominciava a rovesciarmi addosso tutte le sue frustrazioni e credo che stesse cercando un modo, avrebbe fatto qualunque cosa per tornare ad essere la potente strega che era una volta. Ammetto che mi dava una certa soddisfazione vederla invecchiata di colpo e priva delle sue armi di persuasione più pericolose, anche se restava comunque una vipera da cui stare bene alla larga.
Proprio per questo motivo mi ero ritagliata un angolino tutto mio, nella mansarda, illuminata da un grande abbaino dove sedevo a leggere o a pensare, molto più spesso ad osservare quello che accadeva fuori. Intorno alla casa sorgeva un piccolo borgo di pochi casolari, tutti abitati da famiglie modeste o da donne rese vedove dalla guerra; dall’abbaino riuscivo a scorgere il rettangolo di muro di mattoni grezzi, un po’ rovinato dalle intemperie e lo scorcio del cortile di una vecchia casetta, mentre il resto restava nascosto dalle rigogliose fronde di un abete che cresceva sul retro dell’abitazione.
Ci viveva un’anziana signora, curva e tutta rughe che, sotto la pelle raggrinzita ed indurita dal sole, nascondeva anni di sofferenze di una dura vita di campagna. Si svegliava molto presto, dava da mangiare alle sue poche galline e ne recuperava le uova, rientrava in casa, svolgeva i suoi mestieri e poi tornava ad occuparsi dell’orticello, il tutto facendo lunghe chiacchierate ad alta voce con se stessa. La osservavo spesso, durante la giornata, e immaginavo come potessi essere io alla sua età: sola, triste e piena di rimpianti? Mi sarei ridotta a parlare da sola sotto gli sguardi sardonici e i ghigni dei giovani che sarebbero passati davanti a casa mia per sbeffeggiare quell’inutile vecchia che una volta era una strega. Magari, ad essere fortunata, non sarei mai arrivata alla sua età …
Un giorno, spinta dalla curiosità, chiesi a Sybille, la figlia del fabbro, che ci faceva da governante da quando eravamo arrivate lì, se conoscesse la storia di quella donna. Era una mattina, la foschia rendeva l’aria poco limpida per guardare la macchia rossa dei papaveri a sud e non riuscivo a trovare un libro che mi soddisfacesse, ricordo che la ragazza fece una smorfia eloquente, come se non si sentisse a suo agio a raccontarne la storia, ma io volevo sapere quindi mi raccontò quello che sapeva della sua vita.